«Il cuore di Israele è verso l’Ucraina, ma la testa guarda anche a Mosca». La guerra, l’Occidente e Putin. Intervista a Sergio DellaPergola

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Fra Russia e Ucraina c’è una guerra nuova, ma anche memoria delle pagine più tragiche del popolo ebraico. Sullo sfondo, Unione Europea e Nato. E Israele. Genocidio in Ucraina? «Un divario assolutamente impossibile». La crisi delle esportazioni? «Bisogna stare attenti a possibili contraccolpi, anche in Egitto». Considerazioni geopolitiche? «La Russia è padrona della Siria. L’interesse di Israele è anzitutto la propria difesa e sopravvivenza». Intervista a tutto tondo con Sergio DellaPergola.


» Español (Zenit)


Fin dai primi momenti dell’attacco della Russia all’Ucraina sono state evocate pagine drammatiche che appartengono alla storia del popolo ebraico e di tutti noi. Ma anche un possibile ruolo di mediazione di Israele. Narrazioni fra le pieghe, che rischiano di venire messe in sordina.

Ne parlo con Sergio DellaPergola, professore emerito all’Università ebraica di Gerusalemme, insignito del Marshall Sklare Award nel 1999, commendatore all’Ordine della Solidarietà Italiana dal 2005, ufficiale all’Ordine della Repubblica Italiana dal 2006, insignito del Michael Landau Prize nel 2013. Nato a Trieste e cresciuto da bambino profugo in Svizzera, poi a Milano e laureato a Pavia, è oggi considerato il massimo esperto sulla popolazione ebraica mondiale, sia israeliana sia della diaspora.

Professor DellaPergola, riferendosi alle ragioni dell’attacco all’Ucraina, il presidente russo Putin ha parlato di «genocidio» nel Donbass e della necessità di «denazificare» l’Ucraina. Ci sono, secondo lei, i presupposti per queste scelte di linguaggio?

No, assolutamente no. Putin ha sorpreso un po’ tutti, certamente me, per delle decisioni e anche delle dichiarazioni che purtroppo dimostrano una perdita assoluta di contatto con la realtà e anche di delirio, per certi aspetti. È molto preoccupante alla luce dei ricordi tragici che abbiamo in Europa di simili figure, che dopo molti anni al potere sono arrivate a compiere stragi e atti pazzeschi di genocidio. Putin sta un po’ ricalcando questa falsariga. È una persona che è al potere da molti anni e che, come succede, perde il contatto con la realtà.

Nel Donbass sono presenti fortissime minoranze russe o di lingua russa, e fra l’altro, anche la popolazione ebraica di quella regione è più di lingua russa che non di lingua ucraina. Sarebbe ipotizzabile un discorso di egemonia culturale: nel senso che, supponiamo, entro i propri confini l’Ucraina potrebbe volere imporre la presenza dello Stato ucraino e della sua cultura, laddove ci sono minoranze di un’altra lingua o cultura. Quello delle minoranze all’interno di Stati multiculturali è un problema ben noto. Però, da qui a parlare di genocidio c’è un divario assolutamente impossibile, è una retorica politica che ha semplicemente lo scopo di giustificare l’intervento armato per stabilire un predominio che non ha nulla a che fare con la cultura.

Il desiderio di predominio è molto chiaro, è emerso anche esplicitamente: la ricostruzione di una nuova versione dell’Unione Sovietica, ossia la re-incorporazione delle Repubbliche che nel ’91 sono diventate Stati indipendenti. L’Ucraina, alcune parti della Georgia, la Moldova e la sottile fascia territoriale della Transnistria, per non parlare di quello che può succedere in Kazakistan. Poi la Bielorussia, che di fatto è uno Stato satellite, quasi parte integrante della Russia, con la figura di Lukashenko, piuttosto grottesca.

Più preoccupante è la possibile situazione degli Stati baltici, nel frattempo incorporati in Unione Europea e Nato. Ciò che invece è già avvenuto, ed è molto grave, è l’annessione della Crimea, che è passata abbastanza tranquillamente anni fa e che è stata un po’ la prova del gioco. Come sempre, la giustificazione di chi attacca è di essere stato attaccato in qualche modo. In parte è paranoia e in parte è politica. Tutto ciò ricorda in maniera molto sinistra la politica di Hitler: prima le annessioni, poi la richiesta di uno “spazio vitale” e infine un attacco militare. È da vedere se l’altra parte – l’Occidente, la Nato, l’Unione Europea – sia disposta o sia in grado al momento necessario di contrapporre una reazione militare e scatenare un conflitto di portata mondiale.

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Quanti sono oggi gli ebrei in Ucraina?

Bisogna mettersi d’accordo sulle definizioni. Tutti i numeri sono giusti, ma bisogna capire a chi ci si riferisce. Semplificando, c’è una popolazione ebraica propriamente detta, coloro che si identificano come ebrei e punto. Questa è valutabile oggi attorno alle 45mila persone in Ucraina, senza includere le varie migliaia che fanno una specie di pendolarismo da Israele, con un lavoro lì e uno in Ucraina e una doppia abitazione. Gli ebrei propriamente detti sono diminuiti in maniera drammatica a partire dal 1990 in seguito all’emigrazione di centinaia di migliaia di persone, soprattutto verso Israele, ma anche verso Germania, Stati Uniti, Canada, Australia e altri Paesi.

C’è poi il dato che è possibile costruire attorno alla Legge del Ritorno. Si tratta dello strumento legale israeliano che attribuisce la facoltà di immigrare in Israele e di ricevere la cittadinanza e tutti i diritti connessi non solo a chi è ebreo, ma anche a figli o nipoti di ebrei, a sposi e spose, senza necessariamente essere personalmente appartenenti all’ebraismo. Questo allarga enormemente la cerchia, anche fino alle 200mila persone. Cifre superiori, anche fino a mezzo milione, sono irrealistiche.

Qual è la condizione della minoranza ebraica in Ucraina?

L’Ucraina ha un passato piuttosto tragico e di gravi aggressioni alla comunità ebraica, soprattutto negli anni ’20, con decine di migliaia di vittime. L’Ucraina non è certamente il terreno più fertile per una presenza ebraica ed è tuttora caratterizzata da forti pregiudizi antisemiti. Il 90% degli ebrei ha lasciato l’Ucraina non appena si sono aperti i confini.

Negli anni c’è stata una maggiore democratizzazione nel Paese, pur nel conflitto fra le due parti, quella filo-occidentale e quella filo-russa. Va anche detto che la maggioranza della popolazione ebraica all’inizio del conflitto si trovava nella zona più orientale, di influenza russa. Gli ebrei che sono rimasti sono quelli meglio integrati. È il caso di Zelensky: quando una persona diventa Presidente della Repubblica è impegnata a rimanere, non ad emigrare. Come lui, chi ha buoni ruoli nella società e si considera – si considerava – abbastanza soddisfatto di essere ebreo in Ucraina.

Zelensky è di famiglia ebraica, ma anche il primo ministro in carica fino a pochi anni fa, Groysman, aveva legami personali con l’ebraismo. Possiamo parlare di un protagonismo inedito, di una pagina nuova nella storia dell’Ucraina?

Impossibile pensare ad un protagonismo. Beh, chiunque si occupa di politica è affetto da protagonismo, è un tratto di carattere (ride). Ma in questo caso è semplicemente un fenomeno sociale, normali processi ascensionali. Nella politica, nell’università, nell’industria. Attesta, sì, un certo processo di integrazione nella minoranza ebraica, ma non più di questo.

Israele è forse l’unico Paese occidentale – annoverandolo nello schieramento occidentale – a poter vantare relazioni privilegiate sia con Mosca sia con Kiev, tanto per ragioni storiche quanto geopolitiche ed economiche. Un ruolo ora scomodo, che forse gli impedisce di assumere una posizione più dura nei confronti dell’iniziativa militare russa. Ma, al tempo stesso, il canale aperto con entrambe le parti fa pensare che il governo Bennett potrebbe assumere un ruolo nel dialogo di pace. Come la vede?

Indubbiamente questo è vero. Intanto, ci sono centinaia di migliaia di persone in Israele che sono sia di provenienza ucraina che russa, insieme sono il gruppo etnoculturale relativamente maggiore in Israele. Esiste un legame che è anche familiare e di continuità di rapporti con le persone. Al di là di questo, ci sono poi diversi fattori.

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Innanzitutto il fatto che Russia e Ucraina sono fortissimi esportatori di materie prime e materiali e anche grandissimi compratori. Israele importa un’enorme quantità di grano, come molti altri Paesi, soprattutto l’Egitto. Io penso con preoccupazione al fatto che l’Egitto importi il 70% del proprio grano dall’Ucraina: nel momento in cui si interrompesse l’importazione il prezzo del pane salirebbe e questo potrebbe voler dire la rivoluzione in Egitto. Bisogna stare attenti a questi possibili contraccolpi. Ma ci sono anche il carbone e alte fonti di energia, che sostengono l’industria tecnologicamente molto avanzata di Israele. Un conflitto fra due Paesi di questo genere per Israele è un problema economico che in prospettiva causa un aumento dei prezzi, in certa misura grave, e che potrebbe avere qualche contraccolpo politico.

Ci sono poi considerazioni relative al rapporto fra Israele e la sola Russia. La Russia al momento è padrona della Siria e su questo piano l’interesse di Israele è anzitutto la propria difesa e sopravvivenza, guardando ai propri confini. La Siria è il canale terrestre attraverso cui le forniture dall’Iran arrivano fino in Libano e alimentano Hezbollah. Per Israele questa è una priorità militare e di sicurezza, nella misura in cui la Russia ha una forte posizione di controllo in Siria, ad esempio dello spazio areo. Pensiamo: Israele ha svolto diverse operazioni aree e ripetuti bombardamenti contro basi militari iraniane in Siria e punti di logistica nelle forniture di armamenti a Hezbollah. Questo è stato fatto in parte con il beneplacito silenzioso e il non intervento dell’aviazione russa che si trova in Siria.

Su questo c’è stata una lunga conversazione fra il primo ministro Bennett e Putin nella visita del primo a Mosca e si è trovata una specie di modus vivendi che permette a Israele di continuare a limitare le perdite e i danni, che pure ci sono, anche nella situazione esplosiva al confine settentrionale. Quindi, pur essendo il cuore di Israele verso l’Ucraina, la testa guarda anche a Mosca. Questo è un grossissimo dilemma, che va risolto in qualche modo.

A suo tempo, Bennett aveva già proposto a Putin una mediazione, che è stata rifiutata seccamente. Ora la mediazione viene proposta da Zelensky. Se Putin l’accetta, cosa improbabile, Israele potrà svolgere un ruolo utile, ma non potrà certamente da sola prendere delle iniziative e risolvere il problema. All’Onu Israele voterà contro la Russia, ovviamente, però lo farà mandando un rappresentante di basso rango diplomatico per segnalare qualcosa, cioè che non è coinvolto in prima linea in questa campagna, ma che comunque si riserva alcune cartucce per il futuro.

C’è il rischio che Israele si trovi ad essere “la Svizzera” di questo conflitto, anche a livello finanziario, per esempio in tema di sanzioni contro la Russia?

C’è un rischio di questo genere, almeno in teoria. Anche il cielo di Israele è ancora aperto ai voli di tutti. Mantenendo i rapporti con tutti i Paesi in conflitto, in un certo senso Israele lascia una porticina aperta anche all’aggressore.

Non avevo pensato all’immagine della Svizzera, che conosco perfettamente. C’è qualcosa che potrebbe portarci da quella parte. D’altra parte, non penso che nella seconda guerra mondiale il peggiore degli attori sia stato la Svizzera. Ci sono stati attori peggiori, e su questo bisognerebbe concentrarsi.

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Secondo me il grosso problema non è però Israele, ma l’Occidente. La domanda è: esiste l’Occidente? Tre punti di domanda! Non è chiaro. Nel momento in cui Putin, in un atto sconsiderato, travalicasse il confine ed entrasse in conflitto con i Paesi baltici o con la Polonia, Stati dell’Unione Europea e della Nato, a questo punto ci sarebbe l’obbligo di reazione. Biden l’ha detto: un solo millimetro di questi territori e dovremo intervenire. Ma l’Europa vuole intervenire? L’Italia o un altro Paese sono disposti a combattere per l’Estonia? Le risposte non mi sono chiarissime. Viene messa in gioco l’esistenza stessa dell’Unione Europea, un’entità che ha le sue fragilità, e la stessa esistenza della Nato.

Fra i luoghi presi di mira dall’offensiva russa c’è anche la torre della televisione di Kiev. La struttura si trova vicino al Baby Yar, luogo simbolo dello sterminio di oltre 30 mila ebrei durante la seconda guerra mondiale. Il presidente ucraino Zelensky non ha tardato a sottolineare questo «ritorno» della storia. L’attacco russo non sembra, però, diretto nello specifico agli ebrei. O sì? C’è quantomeno dell’indifferenza verso alcuni luoghi simbolo?

Baby Yar è il simbolo di uno dei più orrendi massacri della seconda guerra mondiale e quindi uno dei maggiori simboli della Shoah e della distruzione di 6 milioni di ebrei. È vero, c’è una prossimità fisica con la torre delle comunicazioni e immagino che le forze russe volessero colpire quella. Non penso che l’obiettivo fosse il memoriale di Baby Yar. Non penso all’intenzionalità, l’intenzionalità mi sembra un po’ eccessiva. Però il risultato dell’azione, da un punto di vista simbolico, è paradossale, colossale e ci riporta nuovamente a questi parallelismi, che sono abbastanza agghiaccianti, se ci pensiamo.

Le comunità ebraiche potranno avere un ruolo nel futuro dell’Ucraina dopo il conflitto? Un’ulteriore spinta verso l’Europa, forse? Un freno all’ingresso nella Nato, se guardiamo alla politica di Israele? C’è una qualche concordia, in questo senso, nelle comunità ebraiche in Ucraina?

Il cercare un ruolo della minoranza ebraica nella grande politica è stato un grave errore, spesso unito ad un’ipotesi di complottismo che va condannato alla radice. La comunità ebraica in Ucraina è culturalmente molto assimilata, molto integrata, quindi non ha nessun ruolo, se non gli individui, che possono riuscire meglio o peggio, vedi Zelensky.

Certamente, però, ci sono alcune cose che si possono dire. L’interesse della comunità ebraica è di un’Unione Europea forte. Esiste un interesse verso l’armonia, la pace, la stabilità, la circolazione delle idee, delle persone e dei beni. Le faccio un esempio: al momento della Brexit, secondo i sondaggi la maggioranza della comunità ebraica inglese ha votato contro. In questo senso, è possibile che la maggioranza degli ebrei in Ucraina sarebbe, in linea di massima, favorevole ad un’associazione all’Unione Europea. Certamente l’Unione Europa è preferibile alla Russia in termini di livello socio-economico e di libertà. La Russia non è vista con amicizia, in generale, per l’aggressività, per i ricordi dello stalinismo, del Partito Comunista Sovietico e della dittatura.

Il vedere però, una presenza ebraica come attore politico in Ucraina è assolutamente da escludere, tanto più che al suo interno ci sono divisioni: elementi molto religiosi e non, elementi di destra e di sinistra, c’è un po’ di tutto. Non esiste “l’ebreo”. È un concetto antisemita. Esistono ebrei che hanno loro idee, loro organizzazioni, loro confitti, per quanto ci possano essere interessi comuni, che sono gli interessi delle persone libere, che preferiscono la democrazia alla dittatura.

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6 commenti su “«Il cuore di Israele è verso l’Ucraina, ma la testa guarda anche a Mosca». La guerra, l’Occidente e Putin. Intervista a Sergio DellaPergola”

  1. Grazie davvero. Grazie Simone e grazie al professore Della Pergola. Questa bella intervista espone tutto il dramma di legami che dovrebbero essere solo di amicizia e di sviluppo reciproco, di prosperità e fortificare il discorso della pace e diventano invece fonte di ambiguità, impedendo un discorso di verità: il cuore verso l’Ucraina e la testa verso Mosca.
    fra’ François de la Salle – fra’ Sereno

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  2. Mi felicito con te, caro Simone, e con l’illustre prof. Della Pergola. Ex malo bonum? Perchè non pensarlo? Forse sta per nascere una terza metamorfosi dell’Europa. la prima (1950) segnò la riconciliazione tra Francia e la Germania, la seconda la riconciliazione della Germania con la Polonia, ora siamo di fronte ad un universalismo generativo, in cui tutte le molteplici radici cristiane d’occidente e oriente dimostreranno di non essersi perse nei calcinacci della guerra, ma sono vive e possono generare i nuovi ulivi della speranza.

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