Giovanni Paolo II in Perù: teologia della liberazione e un’alternativa ai preti sposati

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Prenderà il via domani, giovedì 18 gennaio, la tappa peruviana del primo viaggio apostolico di Francesco in questo 2018. Un itinerario intenso in un Paese attraversato da una profonda crisi politica e sociale, durante il quale il Pontefice avrà modo di incontrare popolazione, vescovi, sacerdoti, religiosi e seminaristi (come già in Cile non mancheranno i Gesuiti), ma anche i popoli dell’Amazzonia, in quella che è la patria della Teologia della liberazione e dei viri probati. La stessa che nel 1985 affronta anche Giovanni Paolo II, a modo suo.

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Papa Wojtyla visita il Perù nel febbraio 1985 come parte del viaggio apostolico in Venezuela, Ecuador e Trinidad-Tobago. È la prima visita di un Pontefice in Perù e il 1° febbraio 1985 durante il discorso della cerimonia di benvenuto all’aeroporto di Lima-Callao, ricordando i 500 anni dall’evangelizzazione delle terre peruviane, Giovanni Paolo II evoca «l’esigenza di costruire urgentemente un nuovo uomo latinoamericano e peruviano, più forte nella sua fede, più giusto, più solidale, più rispettoso dei diritti altrui, mentre difende e rivendica il proprio più cristiano e più umano». Un programma pastorale e sociale perseguito durante l’intero viaggio anche attraverso alcuni temi ricorrenti e del quale, ad oltre 30 anni di distanza, viene da chiedersi quanto sia stato conseguito.

Teologia della liberazione e dottrina sociale
Sul volo che lo porta da Roma a Caracas Wojtyla è chiaro: «Non parlerò molto della Teologia della liberazione in Perù. Questa teologia interessa un gruppo ristretto di persone. Nella maggior parte dei miei incontri vedrò gente semplice, che sa ben poco di questa teologia». In realtà in più di un’occasione nei discorsi del Pontefice emergono riferimenti più o meno espliciti alla Teologia della liberazione, più volte confrontata e contrapposta alla dottrina sociale della Chiesa. È il caso della Messa celebrata il 1° febbraio 1985 nella Plaza de Armas di Lima, durante la quale Giovanni Paolo II si sofferma sulle sofferenze patite dai sacerdoti «davanti a ogni forma di ingiustizia, di abuso dei potenti, di violenza che maltratta i deboli e i piccoli». Un sentimento al quale si è da più parti tentati di rispondere con la Teologia della liberazione, ma al quale secondo il Papa deve corrispondere il rifiuto di «qualsiasi tentativo di secolarizzare la […] vita religiosa, […] di coinvolgerla in progetti socio-politici che devono esserle estranei». Non è difficile scorgervi un riferimento alla Teologia della liberazione, che viene infatti esplicitamente menzionata dal Pontefice poco oltre nel medesimo discorso quando, nel ricordare i «validi orientamenti» elaborati dai vescovi peruviani in merito, ricorda «che Cristo è l’uomo nuovo […]. Solamente in lui troveremo la verità totale sull’uomo, che lo renderà libero interiormente ed esteriormente in una comunità libera». Il febbraio 1985 durante il quale si consuma la visita di Giovanni Paolo II in Perù in effetti segue di poco la pubblicazione di un documento sulla Teologia della liberazione a firma dei vescovi peruviani nel quale, pur rivendicando un «clamore di giustizia» per una «situazione di povertà che è disumana: salari bassissimi, disoccupazione, denutrizione, aumento della mortalità infantile, recrudescenza di malattie che si credevano superate», i prelati prendono le distanze da una teologia «che, nata nella nostra terra, si è diffusa e radicata in altri popoli fratelli». Nel plaudere al documento, Giovanni Paolo II ricorda i «legami molto forti» che intercorrono fra evangelizzazione, promozione umana, sviluppo e liberazione già individuati da Paolo VI. Al contempo, in occasione dell’incontro con i poveri a Villa el Salvador, il Pontefice sottolinea che la Chiesa «offre la sua dottrina sociale come animatrice di autentiche vie di liberazione». Rievocando di fronte all’episcopato del Perù la figura di san Toribio de Mongrovejo, protagonista della prima evangelizzazione del Nuovo Mondo e patrono dei vescovi dell’America Latina, Giovanni Paolo II ne ricorda il ruolo di «autentico precursore della liberazione cristiana» in Perù, esempio di «giusto equilibrio tra immanenza e trascendenza» nell’opera pastorale delle Chiese particolari. Sulle malintese forme di liberazione il Pontefice torna nell’appello rivolto agli uomini della lotta armata pronunciato il 3 febbraio 1985 ad Ayacucho. «Tutti siamo stati testimoni – afferma in quell’occasione Wojtyla – di come gruppi di uomini, proponendosi di reagire a situazioni sociali frustranti, promettono vie di liberazione, scatenando a volte conflitti e violenze che alla fine producono solo maggiori frustrazioni e più grande dolore». Citando il documento della Congregazione per la dottrina della fede, della quale al tempo è prefetto il card. Joseph Ratzinger, l’Instructio de quibusdam aspectibus “Theologiae Liberationis” (Istruzione su alcuni aspetti della “Teologia della liberazione”), il Papa invita la Chiesa in Perù a ricordare che «un impegno nella liberazione non ispirato al proposito di verità, di giustizia e all’amore senza esclusivismi, non accompagnato da azioni a favore della riconciliazione e della pace, non è cristiano». Di fronte ai numerosi contesti di povertà materiale e spirituale Giovanni Paolo II rivendica l’opzione preferenziale della Chiesa a favore dei poveri. «Un’opzione preferenziale, si noti bene: di conseguenza, non un’opzione esclusiva o escludente, infatti il messaggio di salvezza è rivolto a tutti. Un’opzione inoltre basata essenzialmente sulla parola di Dio e non su criteri forniti dalle scienze umane o da ideologie contrapposte, che con frequenza riducono i poveri a categorie socio-politiche o economiche astratte».

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Misericordia
Amore e giustizia tornano in un altro tema ricorrente del viaggio di Giovanni Paolo II in Perù, particolarmente caro a Francesco: la misericordia. Wojtyla ne parla espressamente ai sacerdoti il 1° febbraio, invitandoli ad esercitare con generosità il ministero sacerdotale anche attraverso «la misericordia che perdona nel sacramento della Penitenza». Lo stesso giorno, incontrando i giovani all’ippodromo di Monterrico di Lima, il Papa li invita a «stare sempre vicini a coloro che soffrono e devono saper scoprire nelle proprie afflizioni e in quelle dei fratelli il valore salvifico del dolore, la forza evangelizzatrice di ogni sofferenza». La misericordia diviene perciò «l’aspetto più autentico dell’amore, è la pienezza della giustizia. D’altra parte l’amore misericordioso non è una semplice compassione nei confronti di colui che soffre, ma un’effettiva ed affettiva solidarietà con tutti gli afflitti. […] La misericordia non è passività, ma azione decisa in favore del prossimo che nasce dalla fede». Il tema della misericordia è riproposto dal Papa due giorni dopo, in occasione dell’incontro con i malati e gli anziani a Callao. Sull’esempio di Cristo, che «si accostò agli ammalati con amore e tese loro la sua mano misericordiosa, affinché ravvivassero la loro fede e anelassero più profondamente alla piena salvezza», i cristiani sono chiamati a vedere negli ammalati «un segno della dignità umana» e a «servirli, come genuina espressione d’amore per l’uomo».

Amazzonia: ambiente, cultura, ma soprattutto fede
Al pari di Giovanni Paolo II, venerdì 19 gennaio Francesco si intratterrà in due occasioni con i popoli dell’Amazzonia: in mattinata presso il Coliseo regional Madre de Dios e all’ora di pranzo al Centro pastorale Apaktone. L’incontro di Wojtyla con gli indigeni dell’Amazzonia, al tempo 12 famiglie linguistiche e 60 gruppi etnici, risale al 5 febbraio 1985. Nel ricordare la missione universale affidata da Cristo alla Chiesa e l’opera dei numerosi pionieri dell’evangelizzazione del Perù, il discorso del Pontefice si sofferma a più riprese sulle legittime rivendicazioni delle popolazioni autoctone peruviane e amazzoniche, motivate «dalla dignità di ogni uomo come immagine di Dio con un destino eterno» e rese pressanti dai numerosi problemi educativi e sanitari, nonché dalle tante «piaghe di ordine culturale, sociale e politico che, in definitiva, derivano dal peccato». Nel perseguire la difesa dei propri diritti, però, Giovanni Paolo II richiama i popoli dell’Amazzonia ad aderire al modello di Cristo. «Difendete, sì, i vostri boschi, le vostre terre, la vostra cultura come qualcosa che legittimamente vi appartiene, ma senza dimenticare la comune condizione di figli di uno stesso Dio, che ripudia la violenza, la vendetta, l’odio».

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Celibato e viri probati: fino all’ultima cartuccia
Nel rivolgersi ai rappresentanti dei popoli dell’Amazzonia il Pontefice ricorda anche i numerosi laici cristiani attivi fra gli indios. «Sono quelli che chiamate con il significativo nome di “animatori di comunità cristiane”, che condividono la responsabilità della catechesi e dell’evangelizzazione con i vostri vescovi, sacerdoti e religiose». In merito alla risaputa scarsità di clero in terra amazzonica, Giovanni Paolo II offre la propria soluzione. «Confido che le vostre comunità si apriranno alla chiamata del Signore che invita i suoi figli al pieno servizio ecclesiale, al ministero sacerdotale e alla vita consacrata. […] Fate in modo che le vostre famiglie, santificate dal sacramento del matrimonio, diventino luoghi di preghiera e di vita cristiana – Chiese domestiche – dove sia possibile ascoltare la voce del Signore attraverso la vocazione sacerdotale e religiosa». Un rimedio tutt’altro che inedito e che, senza scomodare fantasiosi escamotage, appartiene alla plurisecolare tradizione della Chiesa. Sul celibato Giovanni Paolo II si era soffermato anche pochi giorni prima, nell’omelia della Messa celebrata nella Plaza de Armas di Lima. Ricordando la «solitudine in paesi isolati» sofferta da molti sacerdoti, il Pontefice domanda loro di coltivare la dimensione eucaristica e di rinnovare «continuamente e gioiosamente la […] donazione nel celibato». Chiare anticipazioni di quanto Giovanni Paolo II avrebbe affermato di lì a cinque anni in occasione dell’VIII Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi (27 ottobre 1990) in merito all’ordinazione sacerdotale dei cosiddetti viri probati, uomini di provata fede ma sposati, della quale si è recentemente tornati a parlare, in special modo nella Chiesa brasiliana: «Questa soluzione non è da prendersi in considerazione e al problema posto occorre rispondere con altri mezzi. Come è noto, la possibilità di fare appello a dei viri probati è troppo spesso evocata nel quadro di una propaganda sistematica ostile al celibato sacerdotale. Tale propaganda trova il sostegno e la complicità di alcuni mass media». Insomma, pochi o tanti, sacerdoti e celibi “fino a sparare l’ultima cartuccia”, come recita il motto dell’esercito peruviano.

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