Fioriscono i rapporti fra Cina e Santa Sede. Che all’Expo di Pechino porta erbe e inculturazione

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Due Expo, due temi, un solo padiglione. Ovvero come sono cambiati, nello spazio tra due Fiere, i rapporti fra Cina e Santa Sede.

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Da “Città migliore, vita migliore” a “Vivere green, vivere meglio”. Ad accomunare le due Expo in Cina, rispettivamente del 2010 e del 2019, sembra essere soltanto l’assonanza fra i temi scelti per le edizioni. In dieci anni molto è cambiato nel posto occupato dalla Cina sullo scacchiere internazionale. Anche nei rapporti con la Santa Sede.

È stato presentato pochi giorni fa il padiglione che il Vaticano ha realizzato per l’Expo orticola in corso a Pechino fino al 7 ottobre. In accordo con il luogo dell’evento e con il tema “green” dell’edizione, il padiglione della Santa Sede offre atmosfere orientali, colori soffusi, effetti di luce e splendide orchidee. Non manca, poi, la cultura in senso più tradizionale. Antichi testi provenienti dalla Biblioteca Apostolica Vaticana testimoniano le proprietà medicinali di erbe e piante, insieme alla riproduzione di un dipinto di Peter Wenzel, Adamo ed Eva nel Paradiso Terrestre, conservato nei Musei Vaticani e caratterizzato dal singolare profluvio di piante ed animali che vi è raffigurato. Spazio è concesso anche ai moderni ritrovati scientifici, con una serra high tech per coltivazioni al coperto, interpretazione in chiave tecnologica del biblico Fiat lux. Il tutto con un occhio all’enciclica Laudato si’ di Francesco, al centro anche di un simposio sull’ambiente che sarà ospitato all’interno della struttura.

Nel complesso, il padiglione della Santa Sede all’Expo di Pechino 2019 risponde allo stile già adottato dal Vaticano nelle ultime Esposizioni, quella universale di Milano 2015 e quella internazionale di Antana (Kazakhstan) 2017. Ma va anche ben oltre, collocandosi in un cammino in corso da tempo e che precede di molto questo pontificato. «A livello religioso il dialogo è iniziato, tra la Chiesa ufficiale e la Chiesa cosiddetta clandestina, ed è stato un lavoro lungo», ha dichiarato il card. Gianfranco Ravasi, già commissario di tutti e tre i padiglioni e presidente del Pontificio Consiglio della Cultura. «Questo che avverrà durante l’Expo [in Cina, NdR] è un dialogo di altro tipo, squisitamente culturale, e ha il compito di creare un’atmosfera in cui sia possibile parlare un po’ di più di un possibile incontro, non solo in ambito religioso, ma nel campo dell’arte, della cultura e della ricerca scientifica». L’avvicinamento in chiave culturale al Celeste Impero appartiene alla Compagnia di Gesù e – almeno in parte – al resto della Chiesa da 400 anni, dai tempi cioè di padre Matteo Ricci e degli altri gesuiti che aprirono alla presenza cristiana all’interno dei confini del gigante d’Oriente facendo leva sull’interesse dei cinesi per la cultura scientifica occidentale: un tratto dell’inculturazione.

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Se in quattro secoli molto è cambiato – a cominciare da un gesuita sul soglio pontificio, dopo le feroci critiche per i metodi della Compagnia di Gesù in Cina e la soppressione settecentesca dell’ordine – anche in dieci anni le novità non mancano. Andando indietro all’ultima edizione cinese dell’Expo, quella di Shanghai del 2010, ci si accorge infatti di quanto siano mutati i rapporti fra Cina e Santa Sede. Non solo allora il Vaticano non era stato presente all’evento – né tanto meno era stato invitato, come invece questa volta – ma le relazioni si caratterizzavano per un particolare violenza polemica.

Era il dicembre 2010, infatti, quando lo scontro raggiungeva uno dei suoi apici, con la condanna da parte della Santa Sede dell’ordinazione illecita di Guo Jincai a vescovo di Chengde, forzata dall’Associazione patriottica (la sedicente “Chiesa cattolica cinese”, sotto controllo governativo) contro il volere della Santa Sede, che denunciava «gravi violazioni alla libertà religiosa» nel Paese. Soltanto tre anni prima, in una Lettera ai cattolici in Cina, Benedetto XVI precisava che «il progetto di una Chiesa “indipendente”, in ambito religioso, dalla Santa Sede è incompatibile con la dottrina cattolica». All’iniziativa dell’Associazione patriottica si accompagnavano sequestri, minacce e punizioni ai danni della comunità cattolica cinese in comunione con Roma, costretta alla clandestinità.
Dal canto suo, l’allora portavoce del Ministero degli Esteri cinese, Hong Lei, accusava il Vaticano di promuovere «restrizioni della libertà religiosa e intolleranza».

Se ancora oggi diverse cronache riferiscono della distruzione di numerose chiese cattoliche in Cina da parte del governo comunista, la Santa Sede ha scelto di imboccare con decisione la via del dialogo, anche a prezzo del sacrificio. Solo due giorni fa, intervenendo alla conferenza internazionale sul tema “1919-2019. Speranze di pace tra Oriente e Occidente” tenutasi all’Università del Sacro Cuore di Milano, il segretario di Stato vaticano, card. Pietro Parolin, chiariva gli odierni rapporti fra Santa Sede e Cina. «Tutti conosciamo i profondi travagli che hanno segnato la vita della Chiesa cattolica in Cina nel corso dell’ultimo secolo. Da tali acute sofferenze, grazie a Dio, però non sono nate due Chiese, perché in tutti i cattolici cinesi, a qualsiasi comunità essi appartenessero, è rimasto vivo il sentimento della piena comunione con il Vescovo di Roma, così come il desiderio di amare e servire la propria Patria. Alla base di tante tensioni non vi sono state, infatti, differenze teologiche, quanto piuttosto due differenti modi di affrontare la complessità del contesto storico e politico».

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Nell’immagine: Wenzel Peter, Adamo ed Eva nel Paradiso Terrestre, 1745-1829, olio su tela, Città del Vaticano, Musei Vaticani.

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