«Verità, verosimile, post-verità». Nel suo ultimo appuntamento da arcivescovo di Milano con i giornalisti in occasione della memoria di san Francesco di Sales, il card. Angelo Scola sceglie di affrontare un controverso tema d’attualità. Curiosa anche la coincidenza con la festa di san Tommaso, apostolo per eccellenza della realtà fattuale. Ad accompagnare il Cardinale un ensemble tutto targato Rai, con Daria Bignardi, direttrice di Rai Tre, Carlo Verdelli, direttore dimissionario dell’informazione Rai, e Massimo Bernardini, autore e conduttore di “TvTalk”. A fare da cornice ancora una volta l’Istituto dei ciechi di via Vivaio, particolarmente adatto al tema di quest’anno. Ben più grave della cecità fisica è infatti la cecità di fronte alla verità, specialmente nell’informazione. «Sta a vedere che la post-verità ricorderà a tutti noi che esiste la verità – scherza il card. Scola, che si confessa non a proprio agio con la tecnologia – in un tempo che sembra averla dimenticata».
«Un nodo che viene al pettine, specialmente in Italia». A dirlo Daria Bignardi, intervenuta all’incontro invece dell’indisposta Lucia Annunziata. Post-verità che, non da ultimo, è di per sé una mostruosità etimologica, che si colloca tutt’altro che “dopo” la verità, ma che sempre più spesso con il fatto reale non ha nulla a che fare. «Ciò che cambia rispetto alla bugia è il contesto sociale e culturale, al quale non sembra più importare quale sia la verità». Ad aggravare la situazione è l’illusione di potersi tutti ritagliare un proprio gradimento di pubblico, anche solo mediaticamente, in un modo o nell’altro.
Quale modello di condotta, allora? Il card. Scola propone il Francesco di Sales dell’Introduzione alla vita devota, il santo della denuncia del giudizio temerario, «un’itterizia spirituale che, agli occhi di coloro che ne sono affetti, trasforma tutte le cose in cattive». Scrive Francesco di Sales: «Isacco aveva detto che Rebecca era sua sorella, Abimelech vide che gioiva con lei, ossia che l’accarezzava con tenerezza, e subito concluse che era sua moglie: un occhio maligno avrebbe invece pensato che era la sua amante, o caso mai, se realmente era sua sorella, che erano due incestuosi. Abimelech segue l’interpretazione più benevola del fatto. Bisogna agire sempre in questo modo, Filotea, interpretando sempre in favore del prossimo; e se un’azione avesse cento aspetti, tu ferma sempre la tua attenzione al più bello».
Contro la post-verità «non si tratta dell’ossessione di mettere nuove regole, ma di far emergere la persona nella sua interezza», spiega il card. Scola. Rimettere in piedi il soggetto della comunicazione, quell’Io «scartato – per usare un termine caro a papa Francesco – nell’epoca moderna. È il punto di partenza del dialogo, insieme all’umiltà e ad un ascolto che si lascia fecondare». Grande è poi l’importanza del face to face, come nella visita del Cardinale alla Diocesi di Milano, «quasi ultimata».
Un argomento particolarmente sentito nella Chiesa, e non solo perché è sulla Verità che essa fonda la sua esistenza. Il pontificato di Francesco, infatti, come e più dei precedenti è ostaggio da anni di una cattiva informazione, di quel filtro messo tra il fatto e l’interpretazione, spesso di parte, fino ad arrivare alla completa invenzione. Contrappasso, forse, di un Pontefice particolarmente votato alla comunicazione. Emblematiche le – presunte – “aperture” da prima pagina attribuite a Francesco, dalle nozze gay all’aborto, passando per il sacerdozio femminile. L’ultimo paradosso? La post-verità sulle post-verità. Fake news doppio carpiato.
È successo pochi giorni fa, dopo l’intervista del Papa a Tertio. Importanti agenzie di stampa, fra le quali Reuters, davano risalto alla condanna del Papa al «peccato della diffusione di false notizie». Francesco, però, non l’ha mai detto. Nell’intervista al settimanale cattolico belga, infatti, il Pontefice ha sì parlato di peccati nel campo dell’informazione, ma con riferimento all’abitudine di scoprire «qualcosa che è vero, ma che è già passato, e per il quale forse si è già pagato con il carcere, con una multa o con quel che sia. Non c’è diritto a questo. Questo è peccato e fa male». Non necessariamente notizie false, quindi, ma vecchie colpe riesumate ad arte. Quando la memoria giornalistica supera quella di Dio. E anche la fantasia.
Problema nuovo o vecchia abitudine dell’uomo alla bugia? Da non sottovalutare è la portata economica delle cosiddette post-verità, con personaggi e luoghi della comunicazione che, specialmente in rete, hanno costruito la propria, piccola, fortuna sulle menzogne. «Quasi sempre prima di una post-verità c’è una pre-bugia», sottolinea Carlo Verdelli. «Notizie false più interessanti delle noiosa verità, in grado di incendiare i cervelli». È il passaggio dalla società della ragione a quella dell’emozione, sempre più spesso indifferente alla realtà fattuale. Fattoidi attraenti, spacciati per rivelazioni nella dittatura del “Mi Piace”, epoca in cui verità e verità presunte durano lo spazio di uno sbalzo d’umore.
Preoccupante anche la portata sociale della post-verità. Una ricerca dell’Istituto Toniolo rivela ad esempio che il 25% dei giovani non sono in grado di riconoscere le notizie false che trovano diffusione in rete. Ancora più significativo è che dei restanti due terzi che si professano più avveduti, l’11% si dichiara comunque d’accordo con quanto affermano le post-verità, pur essendo consapevole della loro falsità. Siamo alla deriva sociale del concetto di verità? E quale margine resta per la Verità assoluta?
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