È stato ordinato ieri pomeriggio, in una cattedrale di Cremona gremita e battuta dalla pioggia, il nuovo arcivescovo di Ferrara-Comacchio, mons. Gian Carlo Perego. Per lui tanta memoria e qualche lacrima.
Come quelle provocate dal ricordo della casa familiare, ad Agnadello, paesino della campagna cremonese. A testimonianza di quella fase della vita del nuovo arcivescovo la mamma, seduta in prima fila in Cattedrale. E poi l’oratorio – «una seconda casa» – e le prime esperienze da chierichetto, accompagnando don Luigi, il parroco locale, nella visita alle famiglie. Gesti di carità che in futuro sarebbero rimasti nel suo cuore e nella sua esperienza di pastore. Una su tutte, quella fatta alla metà degli anni Ottanta alla parrocchia del Cambonino, periferia di Cremona. Quasi una terra di missione, «senza chiesa e senza oratorio, ma con tanti ragazzi e giovani: una palestra di vita». Sono gli anni del vescovo Enrico Assi, un modello cui ispirarsi.
Di storia e memoria parla anche lo stemma di mons. Perego, nel quale, accanto ai simboli dei patroni della Chiesa di Ferrara e Comacchio, campeggia il motto “Gaudium et spes”: un chiaro rimando alla dottrina del Concilio Vaticano II, che dice già di un programma di governo, ma anche del documento conciliare che più di ogni altro è un punto di riferimento per la pastorale migratoria. Un altro elemento cardine, c’è da scommetterci, del nuovo corso della diocesi di Ferrara-Comacchio del dopo Negri.
Un impegno esemplificato anche dalla consegna a mons. Perego, durante la cerimonia di ordinazione, del pastorale che fu di mons. Geremia Bonomelli, vescovo di Cremona e soprattutto degli emigranti italiani, per i quali alla fine dell’Ottocento fonda un’Opera che ne garantisca l’assistenza spirituale e sociale anche dopo l’espatrio.
Non solo ricordi da mettere nel proprio bagaglio – una vita in due valigie, come nel libro scritto per la Migrantes dalla giornalista Anca Martinas – ma anche qualcosa da lasciare ad una Chiesa, quella di Cremona, dalla quale mons. Perego sente di aver ricevuto tanto. Un dono singolare, che dice della passione del nuovo arcivescovo per lo studio e i libri: una “Vita di sant’Omobono”, patrono di Cremona, pubblicata a Madrid nel 1719. Un’opera meritevole di studi più approfonditi e per mancanza di tempo mai del tutto completati dal nuovo arcivescovo, per i quali il testimone passa ora alla diocesi retta da mons. Napolioni. Un piccolo pezzo di storia dal quale separarsi, che verrà presto colmato dalle tante storie nella nuova diocesi. Per parte loro, a giudicare dalle voci che corrono fra i banchi della Cattedrale, i nuovi fedeli sono impazienti di iniziare a scriverle.
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