E se le famiglie dei gay fossero quelle di origine? Per un’interpretazione “incidentata”

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Le persone omosessuali hanno il diritto di essere in una famiglia oppure di farsi una famiglia? Non è lo stesso. Perché se fossimo di fronte a una “rivoluzione”, lo saremmo anzitutto nella coerenza personale di papa Francesco.

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Non ho visto “Francesco”, il docu-film del regista russo-statunitense Evgeny Afineevsky, che nelle ultime ore ha trovato il modo di uscire da un certo anonimato del Festival del Cinema di Roma. Poco male, verrebbe da dire, perché ormai la discussione si è spostata dalla penombra delle sale alle luci della platea mediatica, dove rimbalzano onnipresenti due citazioni tratte dal film (i virgolettati sono nella versione proposta da Avvenire): «Le persone omosessuali hanno il diritto di essere in una famiglia. Sono figli di Dio. Nessuno dovrebbe essere estromesso o reso infelice per questo» e «Ciò che dobbiamo creare è una legge di convivenza civile. In questo modo sono coperti legalmente. Mi sono battuto per questo».

Il tema dell’omosessualità è ghiotto – tanto più con la legge contro omofobia e transfobia ancora nell’aria, già bocciata dai vertici della Conferenza Episcopale Italiana. E come era immaginabile, secondo un vecchio copione la discussione si è già animata, coinvolgendo vecchi e nuovi media. È perciò sul piano mediatico che è necessario portare l’analisi.

Un primo aspetto. Il film gode del riconoscimento ufficiale da parte degli ambienti della Santa Sede, con il previsto conferimento del Premio “Kinéo Movie for Humanity Award” nei Giardini Vaticani, per aver promosso temi sociali e umanitari. Difficile immaginare, quindi, un disconoscimento tardivo.

Un secondo aspetto. Evgeny Afineevsky, che si definisce un «ospite indesiderato» in Russia, non è nuovo ad affondi nel tema dell’omosessualità. Anzi, la pellicola del suo debutto come regista, “Oy Vey! My Son Is Gay!” (“Oy vey! Mio figlio è gay!”), del 2009, racconta la storia di una famiglia ebrea alle prese con – novità – l’omosessualità del figlio. Un plot tutt’altro che inedito, ma che ha collezionato oltre 23 premi negli Stati Uniti e nel mondo.

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Nella carriera cinematografica di Evgeny Afineevsky c’è comunque di più (“Winter on Fire” e “Cries from Syria”, per esempio), così come in “Francesco”. Anzi, a ben vedere se nella maggior parte dei casi i due ormai celebri passaggi che riguardano l’omosessualità vengono proposti insieme, quasi fossero un’unica frase pronunciata dal Pontefice (così su Avvenire), alcune fonti attente delle prime ore li indicavano, invece, come due momenti di discussione distinti, sebbene sul medesimo tema.

Proprio questo apre a nuove interpretazioni, più in linea con il pensiero fino ad ora espresso da papa Francesco e con il tradizionale magistero della Chiesa. Non c’è dubbio che le persone con tendenze omosessuali siano «figli di Dio», al pari di ogni altro individuo da sempre venuto al mondo su questa terra. Che «le persone omosessuali hanno il diritto di essere in una famiglia» e che «nessuno dovrebbe essere estromesso o reso infelice», invece, è tema decisamente più delicato, facile a strumentalizzazioni.

I più ci hanno letto l’approvazione di Francesco acché le persone omosessuali formino una propria famiglia, secondo le proprie inclinazioni, magari aggiungendovi dei “figli”. Questa, sì, sarebbe una rivoluzione, prima di tutto nella coerenza personale di Francesco. Lo stesso, è bene ricordarlo, che denunciò con forza, e parlando a braccio, quanto «oggi si parla di famiglie diversificate, di diversi tipi di famiglia. Sì è vero: famiglia è una parola analoga, si dice anche “la famiglia delle stelle”, “la famiglia degli animali”. Ma la famiglia immagine di Dio è una sola, quella tra uomo e donna».

Anche in tema di coppie omosessuali e bambini, il Pontefice ha più volte rivendicato che «occorre ribadire il diritto dei bambini a crescere in una famiglia, con un papà e una mamma capaci di creare un ambiente idoneo al loro sviluppo e alla loro maturazione affettiva. Continuando a maturare nella relazione, nel confronto con ciò che è la mascolinità e la femminilità di un padre e di una madre, e così preparando la maturità affettiva. Ciò comporta al tempo stesso sostenere il diritto dei genitori all’educazione morale e religiosa dei propri figli. E a questo proposito vorrei manifestare il mio rifiuto per ogni tipo di sperimentazione educativa con i bambini» (Discorso al Bice, Ufficio internazionale cattolico dell’infanzia, 11 aprile 2014). Pretese che sono anche delle teorie del gender e che il Papa ha accostato a quelle del nazismo.

Di contro, più volte in passato papa Francesco si è espresso in favore di un coinvolgimento affettivo e pastorale delle persone omosessuali, in particolar modo in famiglia e in parrocchia. Famiglia sì, dunque, ma quella di origine, con i genitori invitati a non abbandonare a sé stessi – ma a vigilare – figli che manifestino tendenze «disordinate» (Catechismo docet). È emblematico, in tal senso, l’atteggiamento proposto dal Papa alle famiglie: «Poi, in quale età si manifesta questa inquietudine del figlio? Una cosa è quando [la tendenza omosessuale] si manifesta da bambino, quando ci sono tante cose che si possono fare con la psichiatria per vedere come sono le cose; un’altra cosa è quando si manifesta dopo i 20 anni o cose del genere. Ma io mai dirò che il silenzio è il rimedio».

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Nessun silenzio, dunque, tanto in famiglia quanto nella comunità cristiana, e da ambo le parti: due Chiese – l’una domestica, l’altra locale – che si compenetrano e sono chiamate alle proprie responsabilità. Anche l’ultima delle numerose telefonate private attribuite a papa Francesco e rilanciata in queste ore, con evidente tempismo, dai media internazionali sembra andare nella medesima direzione, con il Papa che consiglia, come si apprende, ad una coppia omosessuale con tre bambini fatti arrivare dal Canada di partecipare – e di far partecipare – alla vita parrocchiale.

Quanto alle unioni civili, Francesco sembra considerarle cosa eminentemente “legale”, per loro stessa natura diverse dal matrimonio. Una posizione, condivisibile o meno che sia, rischiosa o meno che sia per le implicazioni che presuppone, per la quale si è già «battuto» l’allora card. Bergoglio al tempo dell’episcopato a Buenos Aires, nella convinzione di poter così evitare le derive di un matrimonio propriamente inteso fra persone dello stesso sesso, allora oggetto di discussione in Argentina (e poi effettivamente legalizzato, con l’Argentina primo Paese dell’America Latina e secondo in America).

Ipotesi, beninteso. Chiavi interpretative. Speranze. Di nuovo troppe parole, forse, troppe spiegazioni necessarie per concetti che dovrebbero invece essere semplici, ma che si scontrano con l’immediato dei media dell’era digitale. Siamo, forse, di fronte ad un caso – l’ennesimo? – di sovraesposizione, originata dal moltiplicarsi e dal sovrapporsi di interviste (gli scambi con Scalfari insegnano), udienze private, incontri personali, telefonate e mancate precisazioni, momenti ognuno con un linguaggio (o un non-linguaggio) che gli è proprio, talvolta incompreso.

Che papa Francesco preferisca una Chiesa «incidentata» in uscita ad una al sicuro ma ingessata dal timore di agire e di esporsi, è cosa nota. Inutile nascondersi quanto questo sia un atteggiamento di apertura missionaria, ma anche di grande complessità, del quale prendersi cura con attenzione e sensibilità perché il coraggio non divenga imprudenza e l’incidente da possibilità diventi la norma, con il rischio concreto di ingenerare confusione e smarrimento nei fedeli e di rafforzare strumentalizzazioni di parte.

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Quando nei media una “rivoluzione” prende il posto di uno “scandalo” non è un buon segno. “Andrà tutto bene”. Un auspicio che fra pandemia, telefonate e accordi con la Cina ci sentiamo ripetere spesso. Sarà. Personalmente trovo più conforto in quel “Non abbiate paura!” rivendicato da Wojtyla e che non è mai venuto meno.

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1 commento su “E se le famiglie dei gay fossero quelle di origine? Per un’interpretazione “incidentata””

  1. Accanto a Lettere Apostoliche, Encicliche, Dichiarazioni, Catechesi… dovremo aggiungere “Film e Telefonate” tra i generi letterari di un Papa? Tempo fa ho letto che Papa Francesco più che l’ultima parola preferisca avere la prima; aprire dibattiti piuttosto che offrire conclusioni. Se un genitore facesse così con i suoi figli, non saprei dire quale sarebbero i risultati.

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