Tempo, unità, realtà e tutto: si è detto che le quattro categorie della tesi di dottorato di Jorge Mario Bergoglio spieghino il suo modo di governare la Chiesa. Ma non solo. Dicono qualcosa anche sulle migrazioni.
Da Pontefice le ha citate spesso nei suoi documenti, a partire dall’Evangelii gaudium. Si tratta di quattro criteri ai quali Jorge Mario Bergoglio è da anni affezionato, almeno dai tempi della tesi scritta per il dottorato nei mesi trascorsi in Germania, a Francoforte, nel 1986: il tempo è superiore allo spazio, l’unità prevale sul conflitto, la realtà è più importante dell’idea, il tutto è superiore alla parte.
La tesi, allora, verteva sul teologo italo-tedesco Romano Guardini, ancora oggi citato spesso da papa Francesco, ma i quattro binomi sono ormai divenuti una chiave di interpretazione del suo stile di governo della Chiesa, dando origine ad analisi e speculazioni. Quattro categorie che, in verità, ben si adattano anche ad una lettura della mobilità umana. Non soltanto di quella che giunge a noi attraverso il Mediterraneo, ma anche e soprattutto di quella che vive, lavora e sogna in Italia e che ci domanda qualcosa in più di una bonaria attenzione di carità.
Il tempo è superiore allo spazio, scrive Francesco al n. 222 di Evangelii gaudium. «Questo principio permette di lavorare a lunga scadenza, senza l’ossessione dei risultati immediati. Aiuta a sopportare con pazienza situazioni difficili e avverse, o i cambiamenti dei piani che il dinamismo della realtà impone». Applicato alle migrazioni, questo criterio-guida insegna a favorire l’interazione continuativa con l’altro (il tempo) rispetto alla difesa dei propri privilegi, non solo geografici (lo spazio). Non certo in disprezzo della patria o delle tradizioni di chi vi è nato, ma per amore della realtà. Tanto più in ambito politico, dove «uno dei peccati che a volte si riscontrano consiste nel privilegiare gli spazi di potere al posto dei tempi dei processi».
È anche in questo senso che va letto il paradigma che vuole l’unità prevalere sul conflitto. «Il conflitto non può essere ignorato o dissimulato. Dev’essere accettato. Ma se rimaniamo intrappolati in esso, perdiamo la prospettiva, gli orizzonti si limitano e la realtà stessa resta frammentata». Accettare il conflitto ed impegnarsi per risolverlo è, invece, un modo per «sviluppare una comunione nelle differenze, che può essere favorita solo da quelle nobili persone che hanno il coraggio di andare oltre la superficie conflittuale e considerano gli altri nella loro dignità più profonda». Dignità anzitutto umana e spirituale, senza falsi irenismi e relativismi di comodo.
Un dovere che, però, non può impegnare la sola comunità cristiana, per giunta troppo spesso accusata di difendere soltanto i propri interessi di parte. Al contrario, per Francesco il tutto (la “casa comune”) è superiore alla parte (l’utilità individuale e individualistica). «Anche tra la globalizzazione e la localizzazione si produce una tensione. Bisogna prestare attenzione alla dimensione globale per non cadere in una meschinità quotidiana. Al tempo stesso, non è opportuno perdere di vista ciò che è locale, che ci fa camminare con i piedi per terra».
La realtà, infatti, è per Francesco più importante dell’idea. Sulle molte congetture e i tanti calcoli utilitaristici (l’idea) che accompagnano e giudicano le migrazioni, infatti, dovrebbe prevalere l’amore per la vita (la realtà). «Esiste anche una tensione bipolare tra l’idea e la realtà. La realtà semplicemente è, l’idea si elabora. Tra le due si deve instaurare un dialogo costante, evitando che l’idea finisca per separarsi dalla realtà». È questo uno dei fondamenti della difesa della vita – nascente, migrante o al naturale tramonto che sia – troppo spesso celata da cumuli di false teorie, ma anche uno dei paradigmi della vita cristiana, nell’intimo legame fra teoria e pratica del Vangelo. «Non mettere in pratica, non condurre la Parola alla realtà, significa costruire sulla sabbia, rimanere nella pura idea e degenerare in intimismi e gnosticismi che non danno frutto, che rendono sterile il suo dinamismo». Una realtà che, per dirla con Chesterton, una volta di più impone di difendere «le incredibili virtù e l’incredibile sensatezza della vita umana».
© Vuoi riprodurre integralmente un articolo? Scrivimi.
Sostieni Caffestoria.it

1 commento su “La “tesi Bergoglio” applicata all’immigrazione”