Sul crocifisso vecchie ideologie. E troppa politica, qualche volta anche nella Chiesa

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Le parole del ministro dell’Istruzione Lorenzo Fioramonti (M5S) riaccendono la polemica sul crocifisso nelle scuole. Fra vecchie ideologie e troppa politica. Complice Salvini.

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A riaccendere il dibattito attorno alla presenza del crocifisso nelle aule scolastiche è bastata una dichiarazione del nuovo ministro dell’Istruzione, Lorenzo Fioramonti (M5S). «Ritengo che le scuole debbano essere laiche e permettere a tutte le culture di esprimersi non esponendo un simbolo in particolare». Al posto del crocifisso (e della foto del presidente Mattarella) meglio dei richiami alla Costituzione e una cartina del mondo. Ricordo, quest’ultima, certamente prezioso per chi – ed è una buona cosa – nella propria carriera universitaria ha lavorato in diverse località del Sud Africa, in Germania e in Belgio.

Parole, comunque, sufficienti a rianimare vecchie discordie, mai sopite neppure dopo la sentenza definitiva della Corte europea dei diritti dell’uomo che, nel 2011, ha sancito che il crocifisso può restare (anche) nelle aule delle scuole pubbliche italiane. Sempre che, ad ascoltare certe lezioni ad alto contenuto ideologico, non gli venga voglia di andarsene da sé. Speculazioni a parte, in poche ore su Fioramonti si è scatenata la polemica degli avversari politici, Lega e Fratelli d’Italia su tutti, ma anche il “fuoco amico” giallorosso, un po’ governativo e un po’ romanista, con il nuovo Governo che si conferma ben deciso a non incrinare la temporanea intesa con la Chiesa cattolica, premier Conte e ministro degli Esteri Di Maio in testa. Prese di distanze – come le si chiama in questi casi – sufficienti a far concludere al ministro che, vista la «questione divisiva», è meglio lasciar perdere, almeno per ora.

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È stata, però, la Chiesa cattolica ad esprimersi in maniera più netta sulla vicenda, sebbene con accenti diversi. «Spiace che si ritorni, con una certa periodicità, su questo tema – ha commentato mons. Stefano Russo, segretario generale della CEI – cui peraltro hanno già risposto due pronunciamenti del Consiglio di Stato, una sentenza della Corte Costituzionale e una della Grand Chambre della Corte Europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo. E sono proprio questi pronunciamenti a dare una lettura positiva e non restrittiva della laicità: il crocifisso non è un simbolo discriminatorio, ma richiama valori civilmente rilevanti. Come non pensare alla nostra cultura, che è intrisa di Cristianesimo e anche di ciò che ne è scaturito in termini di accoglienza e di integrazione?». A fargli eco il card. Fernando Filoni, prefetto della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli. «Il concetto del “porre” o del “togliere” a cosa risponde? Ad una ideologia, ad una apertura mentale, ad una esigenza per cui tutta la ricchezza delle realtà possa interessarmi o meno?», si domanda il porporato.

Di tenore più politico, invece, la dichiarazione di mons. Michele Pennisi, arcivescovo di Monreale. «Togliere il crocifisso dalle aule delle nostre scuole – ha detto il prelato – darebbe solo manforte a Salvini. L’ex ministro dell’Interno, partendo da qui, farebbe una battaglia contro il Governo che, oltre ad aumentare le tasse, lede anche la sensibilità di buona parte degli italiani». Previsione puntualmente rivelatasi corretta, ma che lascerebbe un po’ di amaro in bocca se, come è accaduto, si prestasse ad essere decontestualizzata. Su questo, così come su altri temi – su tutti, le migrazioni – nutrire lo spauracchio salviniano, lasciando intendere di regolarsi in funzione della possibile strumentalizzazione del leader della Lega, non sembra una scelta lungimirante. E il pensiero dell’Arcivescovo, infatti, appare più articolato. «Il crocifisso – aggiunge, infatti, mons. Pennisi – non è soltanto un simbolo religioso, ma anche un simbolo della cultura italiana, un valore di una sofferenza portata per amore e che non può creare fastidio a nessuno».

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Di contro, ridurre il crocifisso a simbolo eminentemente identitario, come abitualmente fatto da talune forze politiche, sarebbe egualmente un errore, oltre che uno spiacevole sfruttamento. Un simbolo da difendere perché parte dell’identità italiana: con o senza Cristianesimo, verrebbe da temere. Al pari del presepe (prepariamoci) e della Bibbia. Lo ha ricordato questa mattina all’udienza generale papa Francesco, citando Benedetto XVI: «L’esegesi, la vera lettura della Sacra Scrittura, non è solamente un fenomeno letterario […]. È il movimento della mia esistenza». Perché la Bibbia, così come il crocefisso, non è un tortellino alla bolognese.

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