Stati Uniti, Germania e la bilancia dello scisma

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Certo non si tratta di logiche che appartengono alla Chiesa, e in special modo al pontificato di Francesco, ma sul piatto – della bilancia? – di due crisi, opposte e per questo gemelle, c’è anche il fattore economico. Suggestioni poco cristiane sui fatti di Stati Uniti e Germania.


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Nei rapporti fra le Chiese, e tanto più con la Santa Sede, le logiche di tipo economico non trovano spazio, a tutto vantaggio di una sincera e sinodale fraternità. È evidente. Se però così non fosse, sarebbe possibile una lettura forse maligna, certamente anticristiana, dei fatti di Stati Uniti e Germania.

Mi riferisco alle due crisi, di segno tanto opposto da risultare quasi gemelle, che agitano venti di scisma nella Chiesa cattolica statunitense e in quella tedesca. La prima, intenta a misurarsi con le prese di posizione intransigenti di una parte dell’episcopato, e più in generale di clero, consacrati e laici, cosiddetto “conservatore” (o “ultraconservatore” o “ultracattolico”, secondo due curiose varianti in via di affermazione); la seconda, ormai da tempo intenta a percorrere un impervio cammino sinodale, di cui si scorgono più gli ostacoli che la meta. In entrambi i casi non sono mancate reazioni da parte della Santa Sede, vuoi a mezzo di missiva, vuoi con rimozioni o reprimende finanziarie (e immobiliari).

Il piatto degli Stati Uniti

Proprio quest’ultima modalità “patrimoniale” di gestione della crisi apre ad alcune riflessioni. Al di là delle considerazioni di merito ed opportunità, già all’indomani delle prime indiscrezioni sui provvedimenti (revisione delle condizioni di stipendio e abitazione) che dovrebbero colpire il cardinale statunitense Raymond Leo Burke, personalità in vista del fronte “ultraconservatore” di più dura opposizione a papa Francesco, si sono fatte strada alcune valutazioni di prudenza economica che hanno chiamato in causa l’Obolo di San Pietro, l’offerta inviata al pontefice da Chiese particolari e fedeli per il sostegno della Chiesa e delle opere di carità. Sembra, infatti, che una certa Chiesa statunitense, vicina al card. Burke, sia non solo influente, ma anche fra le principali donatrici dell’Obolo.

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Solo da due anni (2021) la Santa Sede pubblica un rapporto annuale sull’Obolo di San Pietro. Dati alla mano, nel 2022 diocesi e privati degli Stati Uniti hanno donato all’Obolo 11 milioni di euro, il 10% circa delle entrate totali, pari a 107 milioni di euro. Una quota non da poco, se si considera che le donazioni giunte dalle Fondazioni cattoliche di ogni nazionalità toccano “solo” i 12,6 milioni di euro. Evidente lo scarto rispetto al secondo Paese per contribuzione dopo gli Usa, la Corea del Sud, che si ferma a 3,5 milioni di euro, mentre l’Italia, al terzo posto, raggiunge i 2,9 milioni. Se, naturalmente, sarebbe ingiusto allineare tutti i donatori statunitensi con le posizioni di Burke, sarebbe d’altro canto comprensibile se vi fosse una certa cautela nel turbare un flusso di introiti che al momento sembra funzionare egregiamente.

Il piatto della Germania

Differente, ma non troppo, il caso della Chiesa cattolica in Germania. Con la cifra record di oltre 6,8 miliardi – sì, miliardi – di euro incassati nel 2022 grazie al sistema della Kirchensteuer, la tassa sull’appartenenza religiosa in Germania, la Conferenza episcopale tedesca si conferma di gran lunga la più ricca al mondo, con un patrimonio complessivo che sfiorerebbe i 30 miliardi di euro. Basti pensare che nel 2022 le entrate del Vaticano sono ammontate a circa 770 milioni di euro (e le spese a 803 milioni, con un deficit di 33 milioni di euro), con un calo proprio delle donazioni all’Obolo di San Pietro.

Per inciso, diocesi e privati cattolici in Germania nel 2022 hanno contribuito con 1,3 milioni di euro all’Obolo di San Pietro, collocandosi in quinta posizione: un calo significativo (-43%) rispetto ai 2,3 milioni di euro versati nel 2021. Un sintomo di disaffezione maturato durante il pontificato di Francesco, oppure il segno della crisi che – inevitabilmente – incombe anche sulla ciclopica Chiesa tedesca? È da notare, comunque, che ogni anno i cattolici tedeschi versano in diverse forme al Vaticano quasi 10 milioni di euro, la metà dei quali provegono dall’Associazione delle diocesi tedesche (VDD). Non mancano, altresì, importanti contributi a sostegno di progetti nelle aree fragili nel mondo e di diverse Conferenze episcopali nazionali.

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L’ago della bilancia

Se, anche nel caso della Germania, sarebbe un errore ritenere tutti i cattolici affezionati alle posizioni “ultraprogressiste” espresse dal Cammino sinodale tedesco, va da sé che, a volersi fermare ad un gretto piano economico, la Santa Sede sembra trovarsi di fronte ad uno scontro fra piccoli grandi titani, forti sul piano economico, influenti su quello mediatico, ma – almeno per massimi sistemi – opposti in quanto al modo di intendere il presente e il futuro della Chiesa. E particolarmente vivaci nella maniera di esprimerlo.

Al netto delle rispettive posizioni, lo stile statunitense e quello tedesco rispetto al dissenso differiscono sotto molti punti di vista. Se negli Usa sembra piuttosto fare capo ad alcune personalità ecclesiastiche forti, in Germania ci si affida – almeno formalmente – a un’iniziativa comunitaria come quella del Cammino sinodale. Da un certo punto di vista, quindi, sarebbe illogico, perché inservibile, attendersi l’applicazione a porporati tedeschi di provvedimenti economico-patrimoniali ad personam in stile americano.

Com’è evidente, però, colmare la distanza con una parte dell’episcopato (e del clero, dei consacrati e delle consacrate e dei fedeli laici) negli Stati Uniti richiederà ben più dell’uscita di scena di pochi cardinali o vescovi irrequieti. E d’altro canto, se nessun prelato tedesco “ultraprogressista” di spicco ha finora mai accusato papa Francesco di essere un «eretico», è sotto gli occhi di tutti come in Germania «ci sono numerosi passi compiuti da segmenti significativi di questa Chiesa locale che minacciano di allontanarla sempre più dal percorso comune della Chiesa universale», come scrive papa Francesco ad alcuni “fuoriusciti” dall’accidentato Cammino sinodale della Chiesa cattolica in Germania.

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Insomma, i conti da fare sono molti, e tutt’altro che solo personali o finanziari. Qualcuno suggerisce che il tiepido cerchiobottismo con cui la Santa Sede si è finora interfacciata alle minacce di scisma sia dettato anche da una sana prudenza economica. Ma, come detto, si tratterebbe di un punto di vista forse maligno, certamente anticristiano.

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