Spe supplicans! Custodiamo la speranza per volare alto

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Lasciamo da parte gli orologi e recuperiamo le ali. Per volare più in alto.


Non si facevano tanti cavilli attorno all’omosessualità dalla pubblicazione del noto tractatus di Ludovico Maria Sinistrari. E qui sta il problema.

Tornanti arditi e asfissianti rischiano di far perdere di vista il panorama complessivo: non si tratta solo di “benedizione sì” o “benedizione no” – magari così fosse! –, ma di mettere a fuoco la sacra utilitas, la santa utilità morale, di certe esternazioni.

La sensazione, infatti, è che stia venendo meno il fondamento stesso di qualunque corpo vivente – Chiesa compresa – fatto di cellule vive e vitali: il legame dell’incontro.

L’intera questione sorta dentro e attorno alla Dichiarazione Fiducia supplicans, infatti, può essere ridotta a quel duplice incontro: l’incontro con il Signore e l’incontro con qualcuno con cui condividere quell’essere scoperti e ciò che questo implica nella propria vita.

A ciò non può appartenere il meccanicismo di tempi indicativi, di luoghi (non) preposti e riti irrituali, che fors’anche avranno una loro ragione per chi li propone alla Chiesa universale, ma che sono distanti anni luce dalla fede, tanto quanto il calcolo lo è dall’innamoramento e orologio e righello lo sono da un cuore migrante fra santità e peccato.

L’insistenza bizantineggiante sulle strategie pastorali che vanno oltre il breve termine, sulle frasi forti, sul discernimento in loco, sulle benedizioni “spontanee o pastorali”, sull’alto profilo che avrebbe la “Dichiarazione”, sui 10 o 15 secondi, sui posti importanti e non dell’edificio sacro, sull’eresia e sulla negazione della dottrina cattolica corre il serio rischio di sembrare la replica impermalita ad una vicenda presa sul personale.

È emblematico, per la cavillosità e la generosa dose di clericalismo, il distinguo sulle “coppie” che non sarebbero “unioni”: nella Fiducia supplicans si fa espressamente riferimento, e in più occasioni, alla possibilità di «benedire le coppie», non le singole persone in una relazione. Per giunta, nella replica del card. Fernández alle critiche di queste settimane, i termini “coppia” e “unione” vengono sostanzialmente usati come sinonimi («Una coppia di divorziati in una nuova unione dicano al sacerdote: “Per favore ci dia una benedizione…»).

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L’incapacità di volare più in alto delle logiche del mondo non lascia alternative se non quella di farsi ingobbire sull’aridità dei loro limiti. E se, per questa volta, non si trasmette con chiarezza, verità e coerenza quale cellula la Chiesa cattolica intende contribuire a riprodurre perché costituisca l’auspicabile corpo delle società del futuro, se il modello comunicativo venisse replicato tarperebbe le ali ad un annuncio che da sempre vola libero sopra la terra e il mare.

Nell’orgoglio di apparire più generosi di Dio, si rischia di negare l’accesso all’amore autentico che sta nella verità. Con la pretesa di introdurre una moderna forma di perdono del peccatore, il pericolo è di suggerire una vecchia scorciatoia per dimenticare il peccato. Conserviamo una speranza supplicante. E supplichiamo una più sana (e santa) «paura di essere fraintesi».

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