Quei problemi che la morte non risolve

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Ci sono iniezioni alle quali attribuiamo, forse con un eccesso di trasporto, il potere di ridarci la vita. E altre in grado di toglierla. In entrambi i casi, ne facciamo il simbolo della presunta soluzione ad un problema. Da una dose di vaccino attendiamo la restituzione della nostra normalità, o almeno di qualcosa che assomigli nuovamente al quieto vivere dei nostri individualismi. Ad una dose di pentobarbital, Pavulon e cloruro di potassio pretendiamo di affidare la giustizia e la pace.

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È la cronaca ambivalente di questi giorni. «Brandon Bernard giustiziato negli ultimi giorni di Trump», titola la BBC. «Bernard, che aveva 40 anni quando è stato giustiziato, è la persona più giovane, in base alla sua età al momento del reato, ad essere stata messa a morte dal governo federale in quasi sette decenni», riferisce NBC News. «La famiglia Bagley [delle due vittime, NdR] ha ringraziato Trump e il governo federale per aver portato a compimento la sentenza», chiosa la CNN.

La storia personale di Brandon Bernard, giustiziato il 10 dicembre con un’iniezione letale nel carcere dell’Indiana dopo che le ultime richieste di clemenza sono state respinte dalla Corte Suprema, quasi scompare fra ricostruzioni, primati, polemiche. Insieme al pentimento del condannato e al doloroso percorso di elaborazione del lutto dei familiari delle vittime, lungo oltre vent’anni.

Lungo quasi quanto il grottesco elenco di record reso dai media in riferimento alla condanna a morte di Brandon Bernard. Un caso raro di esecuzione di una persona che era adolescente al tempo del delitto, si dice. Si tratta anche della prima esecuzione, in 130 anni, avvenuta nel periodo di transizione fra due presidenze e la nona da quando, lo scorso luglio, il presidente uscente Donald Trump ha messo fine a 17 anni di moratoria contro la pena di morte. Imponente – tanto quanto inutile per cambiare la sorte di Bernard – anche la mobilitazione a favore della commutazione della pena in ergastolo, che ha visto interventi mediatici e social di numerose star dello spettacolo. E altri tristi primati verranno, con le quattro esecuzioni già in programma prima della fine della presidenza Trump, el Presidente justiciero, come lo definisce l’edizione online de La Vanguardia. Con queste – spiega la BBC – l’amministrazione uscente registrerebbe un record in oltre un secolo di storia americana. Tre dei quattro condannati a morte dei prossimi giorni sono afroamericani, mentre la quarta esecuzione, in calendario per il 12 gennaio 2021, potrebbe essere quella di una donna, la prima a subire la pena capitale in 70 anni.

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Eppure anche i record possono raccontare una storia. Come quella dei tanti giovanissimi giustiziati dopo la reintroduzione della pena di morte negli Stati Uniti nel 1976 e, soprattutto, nell’epoca precedente al caso “Furman contro Georgia”, uno spartiacque nella storia della pena capitale negli Usa. La persona più giovane ad essere giustiziata nel ‘900 è Joe Persons, condannato a morte in Georgia nel 1915 a soli 14 anni per lo stupro di una bambina di otto, commesso all’età di 13 anni. La seconda persona più giovane ad essere giustiziata è George Junius Stinney Jr., afroamericano, ucciso sulla sedia elettrica in South Carolina il 16 giugno 1944, a 14 anni, dopo che i corpi di due bambine di 7 e 11 anni vengono trovati vicino a casa sua. Il verdetto di condanna contro il ragazzo viene annullato nel 2014 per evidenti lacune nel processo. La persona più giovane mai condannata a morte negli Stati Uniti è James Arcene, nativo americano, per il suo ruolo in una rapina e in un omicidio commessi quando ha 10 anni: viene giustiziato tredici anni dopo, il 18 giugno 1885. L’ultima esecuzione di un minorenne negli Stati Uniti è quella di Leonard Shockley, ucciso nella camera a gas del Maryland il 10 aprile 1959, all’età di 17 anni.

«Ci sono due situazioni estreme che possono arrivare a presentarsi come soluzioni in circostanze particolarmente drammatiche, senza avvisare che sono false risposte, che non risolvono i problemi che pretendono di superare e che in definitiva non fanno che aggiungere nuovi fattori di distruzione nel tessuto della società nazionale e mondiale. Si tratta della guerra e della pena di morte», scrive papa Francesco al n. 255 dell’enciclica Fratelli tutti. Rispetto alla pena di morte, «san Giovanni Paolo II ha dichiarato in maniera chiara e ferma che essa è inadeguata sul piano morale e non è più necessaria sul piano penale. Non è possibile pensare a fare passi indietro rispetto a questa posizione», prosegue il Papa al n. 263 della stessa enciclica. Il riferimento è al paragrafo n. 2267 del Catechismo della Chiesa Cattolica relativo alla pena di morte, modificato dal Santo Padre con un rescritto nel 2018, nel quale ora si chiarisce come «”la pena di morte è inammissibile perché attenta all’inviolabilità e dignità della persona”, e [la Chiesa] si impegna con determinazione per la sua abolizione in tutto il mondo».

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Il riferimento di papa Francesco all’inviolabilità della persona, anche quando essa si sia macchiata di gravi crimini, va di pari passo con la difesa della vita fino al suo termine naturale e con la protezione dei nascituri. «Se si sceglie la morte, i problemi in un certo senso sono risolti; ma quanta amarezza dietro a questo ragionamento», ricorda nel 2019 papa Francesco parlando all’Associazione Italiana Oncologia Medica (AIOM), mentre ancora in questi giorni all’estero infuriano venti contrari alla vita, dall’autorizzazione a sedare i pazienti affetti da demenza per ridurne le reazioni prima dell’eutanasia nei Paesi Bassi alla depenalizzazione del suicidio assistito in Austria.

Significativa in tema di interruzione volontaria di gravidanza è la risposta – passata ampiamente sotto silenzio – fatta pervenire dal Papa alle madri delle villas di Buenos Aires che gli avevano scritto chiedendo un suo intervento contro la legge sulla legalizzazione dell’aborto, all’esame del governo argentino. «Non si tratta di una questione principalmente religiosa, ma di un’etica umana, anteriore a ogni confessione religiosa», spiega Francesco. Ciò per chiarire come non sia questione di opinioni o di sensibilità differenti. Similmente a quanto accade nell’approccio alla pena di morte, anche con l’aborto la pretesa è quella di risolvere un problema. «È bene farsi due domande», scrive il Pontefice. «È giusto eliminare una vita umana per risolvere un problema? È giusto affittare un sicario per risolvere un problema?». Da troppo tempo a queste domande è data una risposta affermativa.

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