Nell’esortazione post-sinodale “Querida Amazonia” confluisce gran parte del pensiero originale di Francesco. Compresi i quattro principi della sua tesi di dottorato. Per un’interpretazione dei sogni.
Sono stati richiamati più volte in questi anni di pontificato, ma soprattutto nella vita di Francesco. Nell’esortazione apostolica Evangelii gaudium al n. 221 Francesco li definisce principi, e dichiara di riproporli «nella convinzione che la loro applicazione può rappresentare un’autentica via verso la pace all’interno di ciascuna nazione e nel mondo intero». Nella loro formulazione più ricorrente, suonano così: il tempo è superiore allo spazio; l’unità prevale sul conflitto; la realtà è più importante dell’idea; il tutto è superiore alla parte. Postulati che risalgono agli anni della tesi di dottorato e che Jorge Mario Bergoglio già utilizzava da provinciale dei Gesuiti. È oggi affascinante trovarvi degli echi nei «quattro grandi sogni» che l’Amazzonia ispira al Papa, come sono espressi nell’esortazione apostolica post-sinodale Querida Amazonia resa pubblica ieri.
Sogno un’Amazzonia che lotti per i diritti dei più poveri, dei popoli originari, degli ultimi, dove la loro voce sia ascoltata e la loro dignità sia promossa. È il «sogno sociale» di Francesco, «di un’Amazzonia che integri e promuova tutti i suoi abitanti perché possano consolidare un “buon vivere”». Il sogno di una vita sociale oltre l’ingiustizia e i crimini, anzitutto quelli delle «operazioni economiche, nazionali e internazionali, che danneggiano l’Amazzonia e non rispettano il diritto dei popoli originari al territorio e alla sua demarcazione, all’autodeterminazione e al previo consenso». Lungi dall’ignorare questi «atroci crimini», bisogna «indignarsi […] come si indignava Gesù davanti all’ingiustizia». Perché «non è sano che ci abituiamo al male, non ci fa bene permettere che ci anestetizzino la coscienza sociale». Il male va affrontato senza abbellimenti e falsi pudori, sembra suggerire il Papa. Non è impossibile trovare qui echi del postulato secondo il quale “la realtà è più importante dell’idea”. Esso è esposto nell’enciclica Laudato si’ (n. 201) e, ancora prima, nell’esortazione apostolica Evangelii gaudium (nn. 231-233). È in essa che si afferma come «l’idea staccata dalla realtà origina idealismi e nominalismi inefficaci, che al massimo classificano o definiscono, ma non coinvolgono. Ciò che coinvolge è la realtà illuminata dal ragionamento. […] Diversamente si manipola la verità, così come si sostituisce la ginnastica con la cosmesi» (n. 232).
Sogno un’Amazzonia che difenda la ricchezza culturale che la distingue, dove risplende in forme tanto varie la bellezza umana. È, questo, il «sogno culturale» di Francesco. Per il Pontefice, promuovere l’Amazzonia «non significa colonizzarla culturalmente, ma fare in modo che essa stessa tragga da sé il meglio», valorizzando l’identità culturale e la ricchezza unica di ogni popolo che la abita all’interno di un universo multiculturale. «L’identità e il dialogo non sono nemici – scrive il Papa – la propria identità culturale si approfondisce e si arricchisce nel dialogo con realtà differenti e il modo autentico di conservarla non è un isolamento che impoverisce». Al tempo stesso, il Pontefice non intende esaltare la frammentarietà dell’isolamento. «Non è perciò mia intenzione – sottolinea Francesco – proporre un indigenismo completamente chiuso, astorico, statico, che si sottragga a qualsiasi forma di meticciato. Per questo, l’interesse ad avere cura dei valori culturali dei gruppi indigeni dovrebbe appartenere a tutti, perché la loro ricchezza è anche la nostra. Se non progrediamo in questo senso di corresponsabilità nei confronti della diversità che abbellisce la nostra umanità, non si può pretendere che i gruppi della foresta interna si aprano ingenuamente alla “civiltà”». Appare qui evidente come “il tutto è superiore alla parte”. Troviamo tale principio esposto diffusamente nella Evangelii gaudium (nn. 234-237) e, più sinteticamente, nella Laudato si’ (n. 141): «Il tutto è più della parte, ed è anche più della loro semplice somma. Dunque, non si dev’essere troppo ossessionati da questioni limitate e particolari. Bisogna sempre allargare lo sguardo per riconoscere un bene più grande che porterà benefici a tutti noi. Però occorre farlo senza evadere, senza sradicamenti. È necessario affondare le radici nella terra fertile e nella storia del proprio luogo, che è un dono di Dio. […] Allo stesso modo, una persona che conserva la sua personale peculiarità e non nasconde la sua identità, quando si integra cordialmente in una comunità, non si annulla ma riceve sempre nuovi stimoli per il proprio sviluppo. Non è né la sfera globale che annulla, né la parzialità isolata che rende sterili» (n. 235).
Sogno un’Amazzonia che custodisca gelosamente l’irresistibile bellezza naturale che l’adorna, la vita traboccante che riempie i suoi fiumi e le sue foreste. Un «sogno ecologico», che vuole – riprendendo concetti di Benedetto XVI – che «accanto all’ecologia della natura c’è un’ecologia che potremmo dire “umana”, la quale a sua volta richiede un'”ecologia sociale”. E ciò comporta che l’umanità debba tenere sempre più presenti le connessioni esistenti tra l’ecologia naturale, ossia il rispetto della natura, e l’ecologia umana». Sebbene talvolta il rapporto con l’ambiente venga vissuto in termini conflittuali, di concorrenza fra uomo e natura, «se la cura delle persone e la cura degli ecosistemi sono inseparabili, ciò diventa particolarmente significativo lì dove “la foresta non è una risorsa da sfruttare, è un essere, o vari esseri con i quali relazionarsi”». Ecco che, per dirla con i postulati cari a Francesco, “l’unità prevale sul conflitto”. Il postulato è enunciato per la prima volta nelle encicliche Lumen fidei (n. 55) e Laudato si’ (n. 198). Valga, qui, un breve passo della sua trattazione più diffusa, che si trova nella Evangelii gaudium (nn. 226-230): «Se rimaniamo intrappolati [nel conflitto], perdiamo la prospettiva, gli orizzonti si limitano e la realtà stessa resta frammentata. Quando ci fermiamo nella congiuntura conflittuale, perdiamo il senso dell’unità profonda della realtà» (n. 226).
Sogno comunità cristiane capaci di impegnarsi e di incarnarsi in Amazzonia, fino al punto di donare alla Chiesa nuovi volti con tratti amazzonici. È il «sogno ecclesiale» di Francesco e anche il cuore spirituale dell’esortazione, sebbene l’intero documento ne sia pervaso. «La Chiesa è chiamata a camminare con i popoli dell’Amazzonia», scrive il Papa, e «essi hanno diritto all’annuncio del Vangelo». L’orizzonte è quello storicamente caro ai Gesuiti, di una inculturazione che «integri meglio la dimensione sociale e spirituale» e «non disprezzi nulla di quanto di buono già esiste nelle culture amazzoniche, ma lo raccoglie e lo porta a pienezza alla luce del Vangelo». Con la consapevolezza che «un vero missionario cerca di scoprire quali legittime aspirazioni passano attraverso le manifestazioni religiose a volte imperfette, parziali o sbagliate, e cerca di rispondere a partire da una spiritualità inculturata». Come a dire che “il tempo è superiore allo spazio”, fra i quattro postulati forse quello che sta più a cuore a Francesco. Lo troviamo enunciato nelle encicliche Lumen fidei (n. 57) e Laudato si’ (n. 178), e così è descritto nella Evangelii gaudium (nn. 222-225): «Dare priorità al tempo significa occuparsi di iniziare processi più che di possedere spazi. Il tempo ordina gli spazi, li illumina e li trasforma in anelli di una catena in costante crescita, senza retromarce. Si tratta di privilegiare le azioni che generano nuovi dinamismi nella società e coinvolgono altre persone e gruppi che le porteranno avanti, finché fruttifichino in importanti avvenimenti storici. Senza ansietà, però con convinzioni chiare e tenaci» (n. 223).
Citato per ben due volte nell’esortazione apostolica Amoris laetitia (nn. 3 e 261), in questo postulato alcuni probabilmente scorgerebbero un rimando alla controversa ordinazione di uomini sposati. In riferimento al “tempo superiore allo spazio” scrive, infatti, Francesco al n. 3 della Amoris laetitia: «In ogni Paese o regione si possono cercare soluzioni più inculturate, attente alle tradizioni e alle sfide locali». Che un’eco sia rinvenibile, oggi, in un passaggio della Querida Amazzonia? «L’inculturazione – scrive oggi Francesco nell’esortazione post-sinodale – deve anche svilupparsi e riflettersi in un modo incarnato di attuare l’organizzazione ecclesiale e la ministerialità. […] La pastorale della Chiesa ha in Amazzonia una presenza precaria, dovuta in parte all’immensa estensione territoriale con molti luoghi di difficile accesso, alla grande diversità culturale, ai gravi problemi sociali, come pure alla scelta di alcuni popoli di isolarsi. Questo non può lasciarci indifferenti ed esige dalla Chiesa una risposta specifica e coraggiosa». Attenzione, però: per Francesco è altresì «importante determinare ciò che è più specifico del sacerdote, ciò che non può essere delegato. La risposta consiste nel sacramento dell’ordine sacro, che lo configura a Cristo sacerdote. E la prima conclusione è che tale carattere esclusivo ricevuto nell’ordine abilita lui solo a presiedere l’Eucaristia. Questa è la sua funzione specifica, principale e non delegabile». Tanto meno alle donne, delle quali è innegabile il «ruolo centrale nelle comunità amazzoniche», ma che «dovrebbero poter accedere a funzioni e anche a servizi ecclesiali che non richiedano l’ordine sacro e permettano di esprimere meglio il posto loro proprio […] senza smettere di farlo con lo stile proprio della loro impronta femminile». Responsabilizzazione dei laici, delle laiche e delle religiose come parte attiva della Chiesa, anche alla luce del Concilio Vaticano II, ma non una loro clericalizzazione: uno dei capisaldi del pensiero di Francesco.
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