A Milano, dici San Siro e dici stadio. In questo storico quartiere, però, c’è di più. Come una chiesa medievale “tagliata”, un tempo occupata da criminali di guerra e oggi fatta rivivere da una congregazione di suore missionarie.
Passeggiare nel quartiere San Siro di Milano equivale a farsi una cultura sulle principali squadre di calcio italiane ed europee. Merito – per taluni colpa – dell’omonimo stadio che ne rappresenta il cuore, almeno nell’immaginario collettivo. In verità il quartiere di San Siro, recentemente toccato dalla visita di Francesco alla diocesi ambrosiana, ha molto di più da offrire. Angoli spesso nascosti dietro ad una cancellata, come la chiesa di San Siro alla Vepra. O almeno ciò che ne rimane.
Situata in via Masaccio 20, edificata nel IX secolo nei pressi del fiume Olona – rinominato Vepra nel suo tratto cittadino (scorre tuttora, invisibile sotto al manto stradale) – la chiesa di San Siro è intitolata a quello che, secondo la tradizione, fu il primo vescovo di Pavia. È ad essa che si deve il nome del borgo prima e del quartiere e dello stadio poi. Una lunga storia, che l’edificio non ha attraversato indenne. Ciò che giunge a noi, infatti, è una chiesa “tagliata”, curiosamente inglobata in un’abitazione privata dei primi del Novecento. Della chiesa rimane soltanto un’abside, peraltro del XV secolo, unica struttura ad essere sopravvissuta al reimpiego dei materiali da costruzione che ha accompagnato l’edificazione della villa adiacente.
E non una villa qualunque, ma quella che nell’estate del 1944 diviene la famigerata Villa Triste di Milano, occupata dal criminale di guerra fascista Pietro Koch e dalla sua banda. Fortificata di filo spinato, riflettori e sirene, la villa per un’interminabile stagione è il teatro delle violenze disumane inflitte dalla Banda Koch agli oppositori politici. La chiesa, intanto, è trasformata in un magazzino. La drammatica esperienza ha, però, vita breve: alla fine dell’estate le urla sempre più strazianti che provengono dai sotterranei della villa, le proteste dei milanesi e dello stesso card. Schuster, arcivescovo di Milano, spingono la Repubblica Sociale Italiana a chiudere la struttura.
Nonostante il suo passato drammatico, che sembra ancora di scorgere fra le ombre e i silenzi della casa, il luogo merita certamente una visita. Dopo un periodo di abbandono, la villa è oggi la Casa provinciale delle Missionarie dell’Immacolata. Il seminterrato, dove un tempo si trovavano le camere di tortura della Banda Koch, accoglie oggi le cucine e i ripostigli delle suore. L’abside, una chiesa a tutti gli effetti, è stata recentemente restaurata e ospita interessanti affreschi quattrocenteschi di scuola lombarda – una Crocifissione, con Cristo, la Vergine e Giovanni circondati da santi (fra i quali l’inquisitore Pietro martire) e, nel catino absidale, un Cristo Pantocratore in mandorla fra i simboli degli evangelisti e gli apostoli – e un’acquasantiera ricavata da un sarcofago tardoromano. Altre decorazioni adornano i due sacelli. Quello di sinistra, in particolare, accoglie le spoglie delle fondatrici della Congregazione, madre Igilda (Giuseppina) Rodolfi e madre Giuseppina Dones.
Una chiesa medievale, spogliata per costruire una villa, occupata da una banda di torturatori fascisti durante la seconda guerra mondiale e oggi fatta rivivere da una congregazione di suore missionarie. Se non è storia questa.
© La riproduzione integrale degli articoli richiede il consenso scritto dell'autore.