Due terremoti, e poi la pandemia. Ma anche vicende giudiziarie, religiose e il ruolo dei media. Che peso ha la «solitudine funzionale» nelle dimissioni di mons. Giovanni D’Ercole?
«Tutto questo mi ha logorato e ha suscitato in me domande più profonde sul mio ruolo di pastore». Così mons. Giovanni D’Ercole, vescovo dimissionario di Ascoli Piceno, nella lettera indirizzata alla Diocesi che ha seguito di poche ore il video di commiato dalla comunità. Un congedo soltanto fisico e non spirituale, per una decisione che mons. D’Ercole ribadisce essere «libera ma sofferta», frutto anche di un percorso di «interiore sofferenza».
Le dimissioni di un uomo di Chiesa – che siano di un vescovo, di un prete o di un pontefice – non sono mai un fatto di poco conto, in special modo se non non avvengono sull’onda di scandali palesi. Interrogano profondamente la comunità cristiana. Non stupiscono, e fanno riflettere, i numerosi riferimenti a Benedetto XVI nella lettera di congedo di mons. Giovanni D’Ercole. Di più, l’ormai vescovo emerito di Ascoli Piceno si dice «ispirato dalle parole che Benedetto XVI pronunciò il giorno prima di lasciare il pontificato […], anche io ho consegnato le mie dimissioni nelle mani del Papa [Francesco]».
É impensabile indagare fatti e coscienza in gioco in una decisione così complessa, ma devono essere molte le ragioni che hanno pesato – o potrebbero avere pesato – sulle dimissioni di mons. D’Ercole, alcune delle quali sono rese note dallo stesso vescovo.
Terremoto
«Sin dal terremoto del 2016, che ha inferto una grave ferita nelle nostre popolazioni, ho condiviso la sofferenza e l’incertezza di molti», spiega mons. Giovanni D’Ercole nella lettera. Vale la pena ricordare che nella difficile fase della ricostruzione mons. D’Ercole si spende in prima persona, denunciando ritardi e abusi che ne minacciano il buon esito. La storia episcopale di mons. D’Ercole, come quella di molti vescovi dell’Italia centrale d’altronde, si lega intimamente ai terremoti che negli anni scuotono la Penisola e chi la abita. Da vescovo ausiliare dell’Aquila, mons. Giovanni D’Ercole è al centro di una brutta vicenda giudiziaria, come spesso accade riferita a modo loro dai media, che dopo il sisma del 2009 lo dicono indagato perché «premeva per mettere le mani sulla ricostruzione» (così L’Espresso), in particolare in riferimento ai beni ecclesiastici (inchiesta per giunta denominata “Betrayal”, tradimento). Accuse infamanti, che non rappresentano la realtà: mons. D’Ercole è sì indagato (e in seguito assolto), ma per avere rivelato pubblicamente notizie, apprese nel corso di un interrogatorio come persona informata dei fatti, circa il tentativo di truffa messo in atto da qualcuno tra i suoi collaboratori. Le rettifiche, si sa, sono però merce rara.
Covid
Sofferenza e incertezza sono in seguito «proseguite e aumentate a causa della pandemia del Covid-19, che ha fatto crescere in me inquietudine, con tanti interrogativi su come poter essere utile ai fratelli e alle sorelle, come me, sofferenti e impauriti dall’incognita del futuro, accentuata dai rischi della pandemia», spiega nella propria lettera mons. Giovanni D’Ercole. Anche in questo caso, il Vescovo si impegna personalmente «per accompagnare la comunità diocesana e aiutare e sostenere tutti, soprattutto chi ho visto soffrire di più. Mi sono ispirato all’icona della Chiesa come “ospedale da campo”, accogliente verso ogni tipo di povertà, secondo quanto insegna papa Francesco». Povertà materiali, certo, ma anche spirituali e psicologiche, accresciute dalla solitudine dell’isolamento, dalla chiusura delle chiese e dalla sospensione delle Messe con concorso di popolo. Una situazione che rischia ora di riproporsi e ulteriormente aggravarsi, non soltanto nell’Ascolano. Contro provvedimenti che rischiano di essere particolarmente punitivi nei confronti della comunità cristiana, mons. Giovanni D’Ercole si scaglia duramente in aprile, precisando che «la Chiesa non è il luogo dei contagi» e rivendicando il diritto al culto, parole che suscitano reazioni di segno opposto.
Le ferite di un padre
Ci sono, poi, le ragioni non dette, e per questo di incerto peso sulla decisione di mons. Giovanni D’Ercole. C’è la dolorosa vicenda di padre Alberto Bastoni, allontanato nel giugno scorso dalla diocesi di Ascoli dallo stesso vescovo D’Ercole perché al centro di un’indagine per detenzione di materiale pedopornografico e cocaina, indicato anche come habitué di festini e frequentazioni omosessuali. «Forse anche in conseguenza del lockdown, è caduto in una depressione maggiore unipolare che gli ha provocato un grave squilibrio mentale, umano e umorale che si è manifestato in comportamenti che hanno attirato una indagine da parte delle autorità competenti», spiega al tempo dei fatti una nota della Diocesi. «Chiedo perdono con l’umiltà di un padre ferito», dichiara in quei giorni mons. D’Ercole. La vicenda contribuisce all’avvio, la scorsa primavera, di una visita apostolica ad Ascoli, della quale il Papa incarica mons. Stefano Manetti, vescovo di Montepulciano-Chiusi-Pienza.
Ci sono poi altre vicende, anche vecchie di anni. È il caso di quella che ha per protagonista Christian Del Vecchio, il “padre spirituale” di Amarlis, controversa associazione mariana che in passato si guadagna una sede a Quinzano di Force, presso la chiesa e la canonica di Quinzano, con il beneplacito dello stesso vescovo D’Ercole. Alterne vicende e la curiosità dei media costringono ad un allontanamento (verso Roma, al seminario della Scuola Santa Croce dell’Opus Dei). Un paio di anni fa il ritorno in Diocesi, con il consenso di mons. D’Ercole, con seguito di visite di devoti a Del Vecchio e presunte visioni mistiche, guarigioni misteriose e un olio, che si dice miracoloso, stillato da un’icona della Vergine. Situazioni ancora tutte da chiarire, ma che ricordano devozioni popolari oggetto di accesi dibattiti e poco gradite a papa Francesco, su tutte quella di Medjugorje.
Vicende da riesaminare, giudizi forse da rivedere e la fiducia tradita da parte di alcuni collaboratori accostano l’esperienza di mons. Giovanni D’Ercole a quella dello stesso Pontefice e, in fondo, a quella dell’intera Chiesa. Una «solitudine funzionale», come ha ricordato recentemente papa Francesco. Rispetto alla quale ritrovare, nella preghiera e in una diversa solitudine, l’unica vera Compagnia. «Mentre mi ritorna in mente – scrive mons. D’Ercole – che nella nostra vita, in ogni circostanza, dobbiamo far riferimento a questo passo della Sacra Scrittura: Gesù “pur essendo Figlio, imparò l’obbedienza da ciò che patì”».
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Monsignor D’Ercole è sempre stato un faro nella vita di molti cattolici.
Insinuazioni , indagini varie lasciano il tempo che trovano e l’articolo non mi è piaciuto per niente.
Saluti
Flavia
Io trovo l’articolo invece misurato e tutto fuorché scandalistico, non si ricercano scoop e si danno notizie di qualche cosa in atto. Ce n’è un precedente sullo stesso argomento
Personalmente, per quel che vale, nessun dubbio sulla buona fede di mons. D’Ercole. Grazie ad entrambi, Flavia e Stefano.
Condivido quanto dice M. Varisco