Il vaccino del Papa. E Giacomo Leopardi la “cavia”. Le vaccinazioni sono un affare cattolico

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Fu Monaldo Leopardi, padre di Giacomo, il primo ad introdurre – somministrandolo ai propri figli – il vaccino contro il vaiolo nello Stato Pontificio. Dove papa Leone XII lo aveva reso facoltativo (ma gratuito). Finendo, però, al centro di una “leggenda nera”. Mentre Luigi Sacco, a Milano, inventava omelie per rassicurare i no-vax.

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La notizia della registrazione del primo vaccino contro il Covid-19 non è come molti se l’aspettavano. Sarà perché l’accento è russo, invece che anglosassone o italiano. Oppure per la sottile ironia – e l’inevitabile vena nazionalistica – di un vaccino battezzato Sputnik V, proseguendo la numerazione iniziata con il primo satellite artificiale mandato in orbita intorno alla Terra nel 1957, in piena Guerra fredda, fra le prime vittorie russe nella corsa allo spazio. Una provocazione che ha colto nel segno, a giudicare dalla reazione di Donald Trump, presidente di una repubblica federale sempre più opaca: «Non è una gara». La giustificazione che tutti, da bambini, abbiamo usato almeno una volta arrivando secondi.

Sull’efficacia e sulla sicurezza del vaccino russo rimane, comunque, molto da verificare. Non bastano, in proposito, le raccomandazioni del presidente Vladimir Putin sulla somministrazione del vaccino anche ad una delle sue due figlie: coerenza, rottura della tradizionale riservatezza (che ha reso le giovani pressoché sconosciute in Russia) oppure fake news pubblicitaria?

In attesa che gli organismi competenti si pronuncino – auspicabilmente senza pregiudizi o interessi di parte – su quella che è già diventata la “via russa” fuori dalla pandemia, si impongono alcune certezze: non si tratta di una panacea in grado di liberarci da ogni male, né tanto meno di immunizzarci dalla morte. Oppure di renderci perfetti. «Oggi si pretende di costruire il mondo per una eternità e si soffoca ogni residuo e ogni speranza del bene presente sotto il progetto mostruoso del perfezionamento universale», scrive ad inizio Ottocento il conte Monaldo Leopardi, padre del celebre Giacomo. Ne sa qualcosa, contemporaneo di un mondo che il positivismo pretende di subordinare alla scienza, ma che di contro mostra tutti i propri limiti di fronte allo smarrimento dell’uomo e alle sue fragilità. Innanzitutto nella malattia.

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Erudito, conservatore, reazionario, cattolico fedele a papa Pio VI nel periodo dell’occupazione francese, uomo impegnato nelle istituzioni, per Monaldo Leopardi, però, non si tratta di opporre pregiudizio a pregiudizi, ma di cogliere quanto di buono può venire anche da un mondo senza dubbio distante dal proprio sentire. È così che, di fronte alla grave piaga del vaiolo, insieme sanitaria e sociale, Monaldo Leopardi è il primo ad introdurre nello Stato Pontificio il vaccino di Jenner, somministrandolo anzitutto ai propri figli – facendo così di Giacomo uno dei primi vaccinati delle Marche – per poi adoperarsi a diffondere personalmente il vaccino. Quest’ultimo da lui reso obbligatorio a Recanati, forte del suo ruolo di gonfaloniere della città.

Proprio attorno all’efficacia delle vaccinazioni, ed in particolar modo alla loro obbligatorietà, si consumavano però polemiche feroci. Perché i movimenti “no-vax”, contrari ai vaccini, non sono una novità dei nostri giorni. Il vaccino contro il vaiolo, nello specifico, fra la popolazione aveva fama di essere pericoloso, tanto che i tentativi di avviare massicce campagne di vaccinazione avevano condotto sull’orlo di piccole rivoluzioni. Non faceva eccezione lo Stato della Chiesa, dove nel 1824 papa Leone XII è costretto a scendere a patti con i timori dei sudditi e, pur ricordando l’importanza del vaccino, ne rende facoltativa (e gratuita) la somministrazione. Vengono così meno le direttive decisamente più “impositive” del predecessore Pio VII e dello stesso Monaldo Leopardi.

È per nulla facile essere pontefici. Lo sa bene papa Francesco, più di una volta spinto a richiamare il mondo – e forse una parte della Chiesa – alle proprie responsabilità di fronte all’odierna pandemia. E lo sa nel Settecento Benedetto XIV, che delle difficoltà della propria posizione scrive a Giovanni Bianchi, medico riminese capofila dei “no-vax” nello Stato della Chiesa: «Li papi sono gli ultimi che in queste cose debbono innovare. La lentezza de’ loro passi dee corrispondere alle loro età e insieme alla dignità. Se io fossi imperatore o re, l’inoculazione, in vista de’ vantaggi che vi scorgo, sarebbe ormai ammessa ne’ miei Stati. Ma non voglio scandolezzare li timidi e li deboli» (Bianca Fadda, L’innesto del vaiolo, Franco Angeli, Milano 1983, p. 60).

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Con il risultato che proprio i papi finiscono al centro di una “leggenda nera” – ieri si sarebbe detta una bufala, oggi una fake news – che per secoli li addita come oscurantisti oppositori delle vaccinazioni. Naturalmente l’essere cattolici, e per giunta pontefici, non fa che peggiorare le cose, alimentando la retorica anticlericale. Tanto che, fra gli altri, Benedetto Croce scrive di papa Leone XII che «perfino proibì l’innesto del vaiuolo che mischiava le linfe delle bestie con quelle degli uomini: vani sforzi che poi cedettero dal più al meno alle necessità dei tempi» (Storia d’Europa nel secolo decimonono). Un errore storico, se non una vera e propria mistificazione.

Che le vaccinazioni siano (anche) un “affare cattolico” non è vero soltanto nello Stato Pontificio. Anche nell’Italia settentrionale, più decisamente inserita nell’orbita illuminista e austriaca, la Chiesa è chiamata a fare la sua parte. È il caso di Milano e del resto della Repubblica Cisalpina, dove negli stessi anni di Monaldo Leopardi e Leone XII opera il medico e filantropo Luigi Sacco. Fra il 1800 e il 1810 Sacco vaccina di persona e gratuitamente circa 500 mila bambini e adulti, che si aggiungono agli oltre 900 mila vaccinati dai suoi collaboratori, in quella che diviene la più grande campagna di vaccinazione mai effettuata in Europa fino a quel momento. Per vincere la guerra contro il vaiolo Luigi Sacco ritiene necessario che i governi adottino misure a favore della vaccinazione e che i cittadini stessi si uniscano per incoraggiare e rassicurare quanti ancora dubitano della sicurezza dei vaccini.

Ma non basta. Come superare la resistenza della popolazione? Con un po’ di fede. Luigi Sacco, ascritto fra i massoni (si dice più per opportunismo che per reale convinzione), arriva ad unire alle proprie circolari mediche delle speciali omelie, che presenta come scritte da alcuni vescovi con l’intento di sensibilizzare i fedeli sul “dovere cristiano” di farsi vaccinare. A suo modo celebre è la Omelia sopra il Vangelo della XIII Domenica dopo la Pentecoste, in cui si parla dell’utile scoperta dell’innesto del Vajuolo vaccino recitata dal vescovo di Goldstat dalla tedesca nell’italiana lingua trasportata, datata al 1804. Opera, in verità, di un vescovo inesistente, alla guida di una diocesi inesistente, e probabilmente da attribuirsi allo stesso Sacco. Significativa la conclusione della “omelia”. «L’Italia, che è sempre stata la madre feconda delle scienze e delle scoperte, ha sentito di buon’ora la grande importanza della vaccinazione».

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Astuzia resa necessaria dalle circostanze, sfruttamento della credulità popolare o vera e propria dissacrazione? Di certo una strategia comunicativa, nella consapevolezza di quanto, anche in ambito scientifico, la capacità di fare presa sul pubblico valesse più dei contenuti. Per inciso, nel 1824 Luigi Sacco viene premiato con l’ordine pontificio dello Speron d’oro, insistentemente richiesto per tramite del card. Ercole Consalvi, cardinal segretario di Stato di Pio VII. Ironia della sorte, quest’ordine cavalleresco è generalmente conferito a quanti si siano distinti nella diffusione del messaggio della Chiesa.

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