Ciò che un Occidente in crisi non vuole

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Ci sono due cose che l’Occidente cerca in ogni modo di tenere fuori dei propri confini: la guerra e i migranti. Disconoscendo, in entrambi i casi, il proprio ruolo.


«Marsiglia ha un grande porto ed è una grande porta, che non può essere chiusa». È questo il monito di papa Francesco in visita alla città francese, «capitale dell’integrazione dei popoli».

Una «finestra sul Mediterraneo» che reca in sé non poche contraddizioni, anche rispetto a migrazioni e inclusione. Perché se è vero che la mobilità umana non è una “emergenza”, come ha ricordato anche il Papa a Marsiglia, non è neppure un fatto incidentale: conflitti, squilibri economici, sistemi antidemocratici, persecuzioni e violazioni dei diritti umani, cambiamenti climatici e disastri naturali non sono che alcune delle ragioni che ne stanno alla base. E che, in modi diversi, denunciano le responsabilità dell’Occidente.

Perché forse nessun fenomeno è un chiaro segno di disagio e di trasformazione quanto le migrazioni forzate. Forse nessuno, tranne la guerra. Ne siamo ineguagliabili esportatori, e per questo ci siamo illusi di poterla tenere fuori dei nostri confini. Guarda caso.

Un altro segno, come si è visto solo pochi giorni fa al G20 di Nuova Delhi: la divergenza di posizioni ha monopolizzato l’attenzione mediatica occidentale, ma il ritorno della guerra in Europa è divenuto piuttosto il banco di prova di nuovi equilibri internazionali, post-anglosassoni e post-liberali (e post-democratici?), che per molti versi hanno relegato ai margini l’assoluta centralità dell’Occidente.

Fragilità o decadenza, dunque? Da un lato il nichilismo, anche verso la vita nascente – «una deriva che in Europa ci dice qualcosa di brutto» –, dove la morale dei singoli conta più dell’etica comunitaria, «un falso diritto al progresso, che è invece regresso nei bisogni dell’individuo». Dall’altro la crisi delle democrazie, indebolite da quello stesso relativismo etico che propugnano come un valore. E non è detto che le due cose non abbiano radici comuni.

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Giochiamo «con il martirio di un popolo» così come giochiamo a «ping pong» con la vita di migliaia di persone. Viene un sospetto: che il grande problema dell’Occidente e dell’umanità sia con la verità. Un problema da cui nessuna barriera, o armamento, potrà difenderci ancora a lungo.

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