«Sappiate che il dogma, la morale, è sempre in una strada di sviluppo, ma sviluppo nello stesso senso». È l’idea espressa da papa Francesco in tema di dottrina rispondendo ad una domanda rivoltagli durante la consueta conferenza stampa sul volo di rientro dal recente viaggio apostolico in Canada. Argomento: la dottrina della Chiesa sugli anticoncezionali. Ma c’è molto di più.
Al di là dell’ambito «molto puntuale», infatti, papa Francesco amplia la questione, chiarendo il significato che attribuisce allo «sviluppo di una questione morale, uno sviluppo teologico, diciamo così, o dogmatico». Con un’esperienza tratta dalla tradizione della Chiesa: quella di Vincenzo di Lerino, scrittore latino cristiano del V secolo, autore del Commonitorium nel quale si pone come scopo definire un metodo universalmente valido per distinguere la vera dottrina dalla falsa, riconoscendo un carattere fondamentale alla continuità della tradizione – ciò che è stato creduto «ovunque, sempre e da tutti» – nel progresso dogmatico.
Vincenzo di Lérins
«C’è una regola che è chiarissima e illuminante – spiega il Papa – che ha fatto Vincenzo di Lérins, nel secolo V, era un francese. Dice che la vera dottrina, per andare avanti, per svilupparsi, non deve essere quieta, si sviluppa ut annis consolidetur, dilatetur tempore, sublimetur aetate. Cioè si consolida con il tempo, si dilata e si consolida e diventa più ferma ma sempre progredendo. È per questo che il dovere dei teologi è la ricerca, la riflessione teologica. Non si può fare teologia con un “no” davanti. Poi sarà il Magistero a dire: “No, sei andato oltre, torna”. Ma lo sviluppo teologico deve essere aperto, i teologi ci sono per questo. E il Magistero deve aiutare a capire i limiti».
A curiosa dimostrazione della pluralità di approcci, oggi amplificata dai mezzi di comunicazione ma che da sempre caratterizza la Chiesa, Vincenzo di Lerino – venerato come santo da cattolici e ortodossi – fu semipelagiano, sostenitore cioè di una dottrina su salvezza e grazia divina contraria a quanto sostenuto da Agostino di Ippona, condannata nel secondo Concilio di Orange del 529 e recuperata, secoli dopo, da Umanesimo e Rinascimento. A conferma di tale varietà, basti dire che il pensiero di Vincenzo di Lerino è ripreso nel 1889 nella Dichiarazione di Utrecht con la quale si sancisce lo scisma delle Chiese vetero-cattoliche dalla Chiesa cattolica. «Rimaniamo fedeli al principio della chiesa antica, quale Vincenzo di Lerino ha espresso nella frase: “Id teneamus, quod ubique, quod semper, quod ad omnibus creditum est, hoc est enim vere proprieque catholicum”».
Questo aiuta a comprendere come il fattore discriminante, per dirla con le parole di papa Francesco, è che ricerca della verità e dibattito avvengano «in senso ecclesiale, non fuori, come ho detto con quella regola di Vincenzo di Lérins. Poi il Magistero dirà: “Sì va bene”, “Non va bene”. […] Per essere chiaro: quando il dogma o la morale si sviluppa, sta bene, ma in quella direzione, con le tre regole di Vincenzo di Lérins. Credo che questo sia molto chiaro: una Chiesa che non sviluppa in senso ecclesiale il suo pensiero, è una Chiesa che va indietro. E questo è il problema di oggi, di tanti che si dicono “tradizionali”. No, non sono tradizionali, sono “indietristi”, vanno indietro, senza radici».
Dottrina come strada
Un cammino – a differenza di molti “Cammini” – dunque tutt’altro che caotico, lasciato al capriccio degli individualismi, degli interessi di parte e delle contingenze. Piuttosto, un movimento incamminato lungo una via, verso una direzione e una direttrice comuni, al pari della molteplicità di percorsi alternativi ma paralleli e inevitabilmente complementari che caratterizzava le “strade” del medioevo dopo la razionale geometria romana che tanto ci appare moderna (mai si ribadirà a sufficienza che l’immobilità della vita medievale è un mito).
Una strada che, per Francesco, non si sviluppa solo in avanti, ma anche verso l’alto. Anzi, è la stessa cosa. «La tradizione – spiega ancora il Papa – è proprio la radice di ispirazione per andare avanti nella Chiesa. E sempre questo è verticale. L’“indietrismo” è andare indietro, è sempre chiuso. È importante capire bene il ruolo della tradizione, che è sempre aperta, come le radici dell’albero, e l’albero cresce così. […] Bisogna pensare e portare avanti la fede e la morale, e finché va nella direzione delle radici, del succo, va bene». Avanti, aperto, in crescita. Indietro, chiuso, in avvizzimento. Non c’è via di mezzo, non c’è spazio per l’immobilismo.
Dottrina come albero
«La dottrina non è una cosa statica», aveva detto il Papa in piena pandemia, in una delle celebri omelie mattutine da Casa Santa Marta, ma «cresce come crescono gli alberi». Chiarendo, di nuovo, che non si tratta di una crescita in ordine sparso, «ma sempre nella stessa direzione: [la dottrina] cresce nella comprensione. E lo Spirito ci aiuta a crescere nella comprensione della fede, a comprenderla di più, a comprendere quello che dice la fede. La fede non è una cosa statica; la dottrina non è una cosa statica: cresce. Cresce come crescono gli alberi, sempre gli stessi, ma più grandi, con frutto, ma sempre lo stesso, nella stessa direzione. E lo Spirito Santo evita che la dottrina sbagli, evita che rimanga ferma lì, senza crescere in noi. Ci insegnerà le cose che Gesù ci ha insegnato, svilupperà in noi la comprensione di quello che Gesù ci ha insegnato, farà crescere in noi, fino alla maturità, la dottrina del Signore».
A suo modo affine al modello del poliedro, ricorrente nel pensiero di Francesco, anche quella dell’albero è un’immagine cara al Papa, ripresa più volte durante il recente viaggio in Canada. «È Gesù che ci riconcilia fra di noi sulla croce, su quell’albero di vita, come amavano chiamarlo gli antichi cristiani», ricorda il Pontefice incontrandosi con le popolazioni indigene e la comunità parrocchiale a Edmonton. «Voi, cari fratelli e sorelle indigeni, avete molto da insegnare sul significato vitale dell’albero che, congiunto alla terra dalle radici, dà ossigeno attraverso le foglie e ci nutre con i suoi frutti. […] È [Gesù] che sulla croce riconcilia, rimette insieme ciò che sembrava impensabile e imperdonabile, abbraccia tutti e tutto».
L’albero è paradigma della storia dei popoli, canadesi e non solo, continuamente oggetto di processi di omologazione culturale, differenti per tipologia ed epoca. «Il vostro albero ha subìto una tragedia, che mi avete raccontato in questi giorni: quella dello sradicamento», riconosceva papa Francesco alle delegazioni dei popoli indigeni del Canada incontrate in Vaticano lo scorso aprile. «La catena che ha tramandato conoscenze e stili di vita, in unione con il territorio, è stata spezzata dalla colonizzazione». Come avviene così spesso, e non solo in Canada, con differenti tipi di colonialismo culturale e di pensiero dominante. Che impediscono di arrivare alle vere radici della situazione attuale, in modo da coglierne non soltanto i sintomi, ma anche le cause più profonde. Quelle di una fede ridotta ad un albero senza frutti.
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