Domenica 31 luglio 2022. VIII Domenica dopo Pentecoste. Commento al Vangelo di rito ambrosiano, di don Paolo Alliata.
✠ In quel tempo. I farisei se ne andarono e tennero consiglio per vedere come cogliere in fallo il Signore Gesù nei suoi discorsi. Mandarono dunque da lui i propri discepoli, con gli erodiani, a dirgli: «Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità. Tu non hai soggezione di alcuno, perché non guardi in faccia a nessuno. Dunque, di’ a noi il tuo parere: è lecito, o no, pagare il tributo a Cesare?». Ma Gesù, conoscendo la loro malizia, rispose: «Ipocriti, perché volete mettermi alla prova? Mostratemi la moneta del tributo». Ed essi gli presentarono un denaro. Egli domandò loro: «Questa immagine e l’iscrizione, di chi sono?». Gli risposero: «Di Cesare». Allora disse loro: «Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio». A queste parole rimasero meravigliati, lo lasciarono e se ne andarono.
(Mt 22, 15-22)
Alberto mi redarguí. Per lui la rinuncia, il pessimismo, lo sconforto, erano abominevoli e colpevoli: non accettava l’universo concentrazionario, lo rifiutava con l’istinto e con la ragione, non se ne lasciava inquinare. Era un uomo di volontà buona e forte, ed era miracolosamente rimasto libero, e libere erano le sue parole ed i suoi atti: non aveva abbassato il capo, non aveva piegato la schiena. Un suo gesto, una sua parola, un suo riso, avevano virtú liberatoria, erano un buco nel tessuto rigido del Lager, e tutti quelli che lo avvicinavano se ne accorgevano, anche coloro che non capivano la sua lingua. Credo che nessuno, in quel luogo, sia stato amato quanto lui.
(P. Levi, Il sistema periodico)
In quello che per me è uno dei suoi libri più belli, Il sistema periodico, il grande Primo Levi raccoglie memorie della sua vita attorno ad alcuni elementi chimici. Ne vien fuori una simpatica e a volte divertente carrellata di personaggi e vicende, colorati e frizzanti, con qualche venatura di malinconia. Nel capitolo intitolato Cerio, Levi racconta di un episodio occorso durante il suo internamento ad Auschwitz. E ci racconta così di Alberto, l’amico fidato di cui ha lungamente raccontato anche in Se questo è un uomo, e che non sopravvivrà agli ultimi giorni della guerra.
Era un uomo di volontà buona e forte, ed era miracolosamente rimasto libero, e libere erano le sue parole ed i suoi atti: non aveva abbassato il capo, non aveva piegato la schiena. Non saremmo fieri di essere raccontati così da un amico?
Con parole simili sono i nemici, gli ostili, ad avvicinarsi a Gesù sulla spianata del Tempio. “Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità. Tu non hai soggezione di alcuno, perché non guardi in faccia a nessuno”. Ma le intenzioni non sono della stessa qualità delle azioni: affiancati dagli erodiani, che appoggiano di buon grado il servilismo al potere di Roma, alcuni discepoli dei farisei pongono a Gesù una domanda insidiosa. Quale che sia la posizione che Gesù prenderà, scontenterà qualcuno. Ma, appunto, “tu non hai soggezione di alcuno, non guardi in faccia a nessuno”.
Quando Gesù viene messo alle strette tra due possibilità, in genere allarga l’orizzonte, non si lascia imbottigliare nella strettoia. Anche in questo caso fa così: porta la questione ad una maggiore profondità. Mi ponete la questione del rapporto con Cesare, ma le leggi di questo rapporto le conoscete da voi, e sceglierete voi come starci dentro. Io vi dico però che la questione di fondo è di dare a Dio quel che è di Dio, cioè voi stessi. L’immagine di Cesare, sulla moneta, chiede forse di tornare a Cesare. Ebbene, voi siete immagine di Dio (così dice il grande racconto di Genesi): siete impegnati a tornare davvero a Dio?
Le parole di Gesù paiono, più che una sfida, un invito, una sollecitazione ad alzare la schiena, a drizzarsi alla propria dignità di immagine di Dio, di figli dell’Altissimo. Gesù vuole liberare chi ha davanti dalla costrizione dentro schemi inadeguati. Cesare non potrà mai essere l’ultima parola sulla dignità dei figli di Dio.
Così anche Alberto, nella pagina di Levi, con la sua sola presenza, con il suo modo di stare al mondo, è come un buco nel tessuto rigido del Lager, il suo contegno ha virtù liberatoria […] e tutti quelli che lo avvicinavano se ne accorgevano.
Abbiamo bisogno di uomini e donne che, con i loro gesti e parole, ci rendano consapevoli delle nostre schiavitù e ci destino al desiderio della libertà.
Anche nella presenza di profeti come Alberto, il Signore ci accompagni.
Don Paolo Alliata
Don Paolo Alliata. Nato a Milano nel 1971, dopo la laurea in Lettere classiche all’Università degli Studi di Milano, viene ordinato sacerdote nel 2000 dal card. Carlo Maria Martini. Attualmente è vicario della comunità pastorale Paolo VI per la parrocchia di Santa Maria Incoronata a Milano. Autore di testi teatrali sull’Antico e sul Nuovo Testamento, è responsabile dell’Ufficio per l’Apostolato Biblico della Diocesi di Milano. Fra le sue pubblicazioni, Dove Dio respira di nascosto. Tra le pagine dei grandi classici (Milano, Ponte alle Grazie, 2018) e C’era come un fuoco ardente. La forza dei sentimenti tra Vangelo e letteratura (Milano, Ponte alle Grazie, 2019). Da due anni le sue omelie sono raccolte su un canale YouTube.
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