Giovanni Paolo II un “fascista di m***a”: è il rigurgito fuoriuscito dalla bomboletta spray di un gruppo di contestatori al seguito della manifestazione pro Palestina del 4 ottobre a Roma. Un gesto che tradisce ignoranza e immaturità, nella migliore delle ipotesi, come pure vandalismo e violenza, rese più feroci dall’ottusità. Ma perché?
La statua di Giovanni Paolo II a Roma Termini, realizzata da Oliviero Rainaldi, non è mai stata esente da critiche. Curiosamente, il titolo dell’opera – “Conversazioni” – ha sempre fatto parlare di sé, soprattutto nel mondo politico e cattolico. Che pecchi di una «scarsa riconoscibilità», come scrive L’Osservatore Romano all’indomani dell’inaugurazione, nel 2011 (prima di una seconda, nel 2012, dopo alcuni lavori di “ritocco”), è solo la più delicata delle stroncature. «Il suo volto, situato in cima alla struttura, ha solo una lontana somiglianza con quello del Papa». Tanto che, soprattutto all’estero, la stampa rinviene ardite somiglianze. “Papa Giovanni Paolo II o Mussolini?”, titola la statunitense NBC News, seguita a ruota dai britannici The Telegraph, Indipendent e BBC News.
Ma perchè, oggi, dare del “fascista” a Karol Wojtyła? Troppo semplice archiviare il gesto come semplice vandalismo.
Non si tratta, infatti, di un insulto qualunque, ma della riproposizione minuscola – per esecuzione e livello intellettuale – di una critica tutt’altro che nuova, e anzi vecchia di decenni. Ne è uno dei simboli, da 38 anni, la foto del balconazo, che ritrae insieme Giovanni Paolo II, nella sua prima visita apostolica in Cile, e il dittatore Augusto Pinochet. Una messinscena orchestrata dal regime di estrema destra, odiosa al pari delle voci secondo cui Giovanni Paolo II avrebbe dato la comunione a Pinochet: un’altra bugia della propaganda, tuttora spacciata come autentica. La forte valenza simbolica della sede – il Palazzo de La Moneda è il luogo dell’assassinio del presidente socialista Salvador Allende, l’11 settembre 1973, preludio nero della peggiore escalation di violenza e terrore del Cile moderno – fa il resto, trasformando il papa in un “sostenitore” di Pinochet.
Proprio lui, che fin dall’arrivo all’aeroporto di Santiago, il 1° aprile 1987, in presenza del dittatore, aveva parlato della «inalienabile dignità della persona umana». E che lo stesso giorno, alla collina San Cristóbal ai piedi del monumento dedicato a Maria, aveva aggiunto un ricordo per «coloro che hanno subito le conseguenze della violenza». All’epoca, il New York Times riferisce che, parlando con i giornalisti durante il volo verso il Cile, Giovanni Paolo II avrebbe definito senza mezzi termini il governo cileno come “dittatoriale” e insistito sul fatto che la Chiesa cattolica dovesse lottare per portare la democrazia in Cile. Peraltro, i rapporti fra la Chiesa cilena e il regime di Pinochet erano pessimi da anni, in particolare con il cardinale Raúl Silva Henríquez, arcivescovo emerito di Santiago, tutt’altro che prono ai metodi del governo. Qualche anno dopo, l’intermediazione della Segreteria di Stato della Santa Sede rispetto all’estradizione dell’ormai 83enne ed ex dittatore Pinochet dalla Gran Bretagna in Spagna provoca la forte reazione delle Madri di Plaza de Mayo, le madri dei desaparecidos argentini, contro il pontefice.
Come scrive nel suo Memoria e Identità. Conversazioni a cavallo dei millenni, edito da Rizzoli ormai 20 anni or sono, Karol Wojtyła sperimenta in prima persona la «bestialità» dei totalitarismi del Novecento, nazismo e comunismo. «Mi è stato dato di fare esperienza personale della realtà delle “ideologie del male”. È qualcosa che resta incancellabile nella mia memoria». Ricordi fatti dell’occupazione nazista (e poi comunista) della Polonia, del doversi nascondere durante i rastrellamenti della Gastapo dopo la rivolta di Varsavia, del vedersi portare via gli amici.
Ma non basta. Giovanni Paolo II è di nuovo “fascista” nel 1998, a causa della beatificazione dell’arcivescovo croato Alojzije Viktor Stepinac, accusato di collusione con il regime nazionalista ustascia di Ante Pavelić, ma innegabilmente martire del regime comunista jugoslavo; e ancora nel 2002, con la canonizzazione di Josemaría Escrivá de Balaguer, fondatore dell’Opus Dei, prelatura personale tacciata di aver sostenuto le dittature di destra latinoamericane.
Eppure Giovanni Paolo II rimane un emblema, tutt’altro che disincarnato, di attivismo politico e amore per la libertà. Ha 19 anni quando la Germania nazista invade la Polonia, nel 1939. L’occupazione nazista interrompe i suoi studi: l’Università Jagellonica viene chiusa e tutti gli uomini sono obbligati a lavorare. Operaio e attivista politico, Karol entra in seminario nel 1942, al culmine della guerra. Per tre anni i suoi studi sono condotti clandestinamente, fino all’arrivo dei sovietici, nel 1945. Ma i “liberatori” non allentano la stretta sul Paese: il controllo è maniacale, compreso quello sul giovane sacerdote, ordinato nel 1946. Per almeno trent’anni Wojtyła vive sotto la costante sorveglianza delle autorità comuniste, che non si fanno scrupoli di utilizzare persino altri preti come informatori.
È questo il livello di cui tenere conto nell’approccio di Giovanni Paolo II alla libertà: non deriva da riflessioni accademiche, ma dall’esperienza personale.
Una libertà, per questo, da intendersi nella sua forma più autentica. Non certo quel relativismo quasi universalmente apprezzato nel mondo moderno, secondo cui verità, bellezza e bontà non sono realtà oggettive da scoprire e custodire, ma piuttosto concetti transitori che appartengono all’autodeterminazione dell’uomo, individualmente prima ancora che collettivamente.
Ci siamo tanto attardati lungo la “strada della libertà” che abbiamo perso di vista la meta. Dove conduce la libertà guidata dalla verità? Alla persona umana. Che sia una donna palestinese, un ostaggio israeliano, un lavoratore sfruttato in Italia oppure un giovane costretto in condizioni disumane in una miniera del Congo dal capitalismo globale. Per questa libertà nessun bambino avrà mai bisogno di definizione. Se non comprendiamo chi è la persona umana, e qual è il valore della sua dignità, non comprenderemo il vero significato e valore della libertà. E dunque della politica. Non esiste libertà – e neppure autentico impegno politico – senza amore e verità. Altro che spray.
© Vuoi riprodurre integralmente un articolo? Scrivimi.
Sostieni Caffestoria.it
