L’impossibile delle nazioni e l’impossibile di Dio

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La politica è in grado di fare l’impossibile? Tutt’altro, ma dovrebbe desiderarlo. Una riflessione fra Notre-Dame e Immacolata concezione.

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Si dice che Napoleone provasse un’autentica avversione nei confronti del Magnificat. Complici, probabilmente, quei potenti finiti a gambe all’aria e quei superbi perduti dentro desideri male indirizzati. Tanto più con l’aggiunta di un’infelice – per Bonaparte – coincidenza di date: quella fra la nascita del fondatore dell’Empire français e la solennità dell’Assunzione, nella cui liturgia proprio il Magnificat occupa un posto centrale.

Un cortocircuito scritturale minaccia – si fa per dire – anche il più recente empereur di Francia, Emmanuel Macron. «Abbiamo riscoperto cosa possono fare le grandi nazioni: realizzare l’impossibile», ha detto il presidente francese l’8 dicembre scorso, durante la cerimonia di riapertura della cattedrale di Notre-Dame dopo il grave incendio del 2019. «Questa cattedrale è la felice metafora di cosa è una nazione e di cosa dovrebbe essere il mondo».

Oulala. A parlare è senza dubbio la fierté de la France, ma anche chi ostinatamente incarna una crisi politica con pochi precedenti in Francia. Per fortuna di tutti, anche di Emmanuel-le-Président, in occasione della celebrazione della solennità dell’Immacolata concezione, è ben altro “l’impossibile” cui guardano i cristiani.

Politica impossibile

Se in Francia la liturgia della messa dello scorso 8 dicembre ricordava l’inizio della predicazione di Giovanni il Battista narrata nel Vangelo secondo Luca (cfr. Lc 3, 1-6), in Italia è la volta del più classico dei passi evangelici su Maria: quello dell’Annunciazione (cfr. Lc 1, 26-38). Che al versetto 37 ricorda come nulla è impossibile a Dio.

Non facciamone una colpa a Macron. Ma ad un occhio attento, neppure troppo, non può sfuggire che in quanto a risultati non c’è partita sul terreno dell’impossibile: i “miracoli” operati dalle nazioni hanno prodotto decine di conflitti irrisolti, crescenti disuguaglianze nelle opportunità di vita e un diffuso disorientamento sociale, per non parlare del progressivo offuscamento dei valori umani.

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Dall’Unione Europea alla Corea del Sud e alla Romania, è ricorrente in queste settimane la dimostrazione dell’inconsistenza di gran parte della classe politica internazionale, che unita alla sempre maggiore disaffezione alla partecipazione elettorale da parte dei cittadini sta sottraendo remore ad aggirare, se non a sovvertire apertamente, la volontà popolare.

Nelle stesse ore della cerimonia nella ritrovata Notre-Dame, in Siria si agitavano le diverse anime dell’islam sunnita, sciita e wahabita, combinate alle logiche omicide della geopolitica. Cadeva Aleppo, preludio alla presa di Damasco e alla fuga di Bashar al-Assad dal Paese. Una fine di regime che apre scenari di incertezza, con i vecchi “terroristi” divenuti i nuovi interlocutori della comunità internazionale. E se vi ricorda, anche solo da lontano, il destino dei Talebani in Afghanistan, significa che avete buona memoria.

Politica dell’impossibile

Si tratta, perciò, di ribaltare il senso dell’impossibile nella politica. Non una politica in grado di “fare” l’impossibile, ma di aspirarvi. Sarebbe facile ricordare, con il commento del filosofo francese Jean-Michel Besnier all’opera di Georges Bataille, che «la politica dell’impossibile è la migliore via per scoprire la politica del possibile» (Georges Bataille, la politique de l’impossible, Éditions Cécile Defaut, 2014). Oppure con lo scrittore anarchico svedese Stig Dagerman che, nel loro «mostrare il significato della libertà», politica e letteratura sono chiamate a «toccare il cuore del mondo» (La politica dell’impossibile, Iperborea, 2016).

Muovendo talvolta dagli antipodi, il punto di arrivo è il medesimo: l’urgenza di riscattare l’uomo e i valori fondamentali da una politica “bassa”, costretta dentro all’equilibrio del compromesso, sinonimo di arte della rinuncia, giustificazione per l’abbandono della speranza. Non si tratta, semplicemente, di affermare l’impossibilità della politica, ma di accogliere la consapevolezza dell’impossibile – dell’inarrivabile altezza – come fondamento di ogni politica che sia fedele alla propria vocazione.

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Ammettere una politica dell’impossibile significa riconoscere l’irriducibilità dell’umano di fronte ai totalitarismi della modernità, resistere alla riduzione dell’uomo a meccanismo eminentemente biologico, accettare l’impossibilità di dire la parola definitiva, che spetta ad un Altro. Nulla è impossibile a Dio. La politica si limiti a desiderarlo con tutta sé stessa.

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