Cile, meta complessa per i Papi. Se Francesco è preceduto dalle chiese incendiate, Giovanni Paolo II dovette affrontare l’inaspettata opposizione dei giovani e i lacrimogeni durante la Messa al Parco O’Higgins.
I preoccupanti eventi che stanno precedendo il viaggio apostolico di Francesco in Cile – le manifestazioni di opposizione, la dichiarata indifferenza di una parte della popolazione, la divulgazione di una lista di presunti sacerdoti pedofili e soprattutto l’incendio di diversi luoghi di culto cristiani – rendono il Paese una meta pastorale complessa. Un «viaggio non semplice», come lo ha definito il segretario di Stato, card. Parolin. E per giunta con (poco) illustri predecessori.
È il 1987 quando Giovanni Paolo II visita Uruguay, Argentina e Cile. Proprio quest’ultimo si rivela la tappa più insidiosa dell’intero viaggio apostolico. È la prima visita di un Pontefice in Cile e le condizioni nelle quali versa il Paese sudamericano si mostrano al mondo in tutta la loro complessità: la difficile situazione del clero, la ricerca di visibilità delle proteste sociali e i tentativi della dittatura di Augusto Pinochet di legittimare il proprio regime si combinano in una miscela esplosiva della quale resta testimonianza nella foto che ritrae Giovanni Paolo II e Pinochet affacciati al balcone del Palazzo de la Moneda, ottenuta con l’inganno, e nelle polemiche strumentali che ad oltre 30 anni da quei giorni ancora la accompagnano. Santiago, La Serena, Valparaíso, Concepción, Temuco, Puerto Montt, Punta Arenas e Antofagasta sono le tappe di un viaggio complicato, ma anche i simboli di quella riappropriazione delle strade e del Paese da parte della porzione migliore del popolo cileno che inizia con il solenne ingresso di Giovanni Paolo II a Santiago e la benedizione della capitale dall’alto del Colle di San Cristóbal.
Di simboli il Cile è ricco, oggi come allora. Fra di essi l’Estadio Nacional, poco fuori Santiago, dall’11 settembre 1973 – giorno del colpo di Stato contro l’allora presidente cileno Salvador Allende – divenuto per alcune settimane un campo di prigionia della dittatura di Augusto Pinochet. Fra il settembre e il novembre di quell’anno vi transitano circa 40 mila prigionieri – taluni dei quali interrogati, torturati ed uccisi – divisi fra il campo da gioco, le piscine, il velodromo e gli altri ambienti di quello che sino ad allora era stato il teatro dei maggiori eventi sportivi del Paese. È allo Stadio Nazionale di Santiago del Cile che il 2 aprile 1987, giorno successivo al suo arrivo, Giovanni Paolo II incontra i giovani cileni, impaziente di condividerne – come sottolinea all’inizio del suo discorso – la gioia, l’affetto e il «desiderio di una società più conforme alla dignità propria dell’uomo». Un desiderio che non può «esaurirsi nella semplice denuncia dei mali esistenti», ma che deve assumere la forma di «proposte di soluzioni, anche audaci, non solo compatibili con la […] fede, ma anche richieste da essa. Un sano ottimismo cristiano sottrarrà in questo modo il terreno al pessimismo sterile». Più volte interrotto dagli applausi e ancora oggi celebrato come uno dei discorsi più intensi del lungo pontificato di Wojtyla, pochi ne ricordano il triste e contraddittorio epilogo: il “No!” urlato da centinaia di giovani alla richiesta del Pontefice di rifiutare l’idolatria della sessualità.
Gli auspici sotto ai quali domani incomincerà il viaggio di Francesco in Cile sono molto diversi, ma, nondimeno, figli di un medesimo contesto sociale sempre più conflittuale e secolarizzato. Più degli attacchi alle chiese lo prova – forse con meno evidenza, ma più profondamente – l’indifferenza con la quale il primo Pontefice sudamericano della storia dovrà misurarsi in Cile. Meno di due settimane fa osservatori attenti davano la misura di questa disaffezione: un poco edificante 36% di cileni in qualche modo interessati all’arrivo del Papa. Folle e saluti istituzionali certamente non mancheranno, ma la situazione è chiara. “Vi do la mia pace” (Gv 14,27), recita il motto del viaggio di Francesco in Cile. Che, per dirla con le parole del poeta russo Aleksandr Aleksandrovič Blok, la persecuzione più terribile sia l’indifferenza?