Negozianti yemeniti, nonne messicane, tassisti senegalesi, infermiere uzbeche, cuochi di Trinidad e Tobago e zie etiopi. All’elezione di Zohran Mamdani a sindaco di New York, però, manca qualcuno: gli immigrati che hanno fatto la storia della città.
«New York resterà una città di immigrati, una città costruita dagli immigrati, alimentata dagli immigrati, e da stasera, guidata da un immigrato». Sono fra le prime, e più iconiche, parole del nuovo sindaco della metropoli più grande degli Stati Uniti, Zohran Mamdani. Il primo sindaco musulmano di New York, il più giovane dal 1892 (34 anni) e il primo nato in Africa (con origini indiane e ugandesi). Salvo imprevisti, per i prossimi quattro anni guiderà quella che lui stesso definisce la città «dei proprietari di bodega yemeniti e delle abuelas (nonne) messicane; dei tassisti senegalesi e delle infermiere uzbeche; dei cuochi di Trinidad e Tobago e delle zie etiopi». Degli immigrati, insomma. Molti dei quali, cristiani. In particolare cattolici.
È infatti quella cattolica l’immagine più autentica di New York. È la storia di immigrazione che raccontano la cattedrale di San Patrizio e il memoriale di San Giuseppe a Ground Zero, ma soprattutto la vecchia San Patrizio, nel quartiere di Nolita (Nord di Little Italy): la prima cattedrale di New York, oggi nota soprattutto per i tour organizzati nelle sue catacombe e per aver fatto da set a film come “Mean Streets”, “Il Padrino” e “Gangs of New York”.
La storia del cattolicesimo a New York è indissolubilmente legata alle ondate migratorie che hanno plasmato la città, trasformandola da una roccaforte protestante in uno dei centri cattolici più importanti degli Stati Uniti. Secondo i dati diffusi da Pew Research, riferiti al 2023-2024, il 57% degli adulti a New York è cristiano, con una netta prevalenza di cattolici: il 29% del totale, mentre gli evangelici – al secondo posto per incidenza – si fermano al 10%. I cattolici sono ancora la comunità più numerosa, in grado di sopravanzare la non affiliazione religiosa (atei, agnostici e simili), che raccoglie il 27% della popolazione. Per inciso, solo il 3% circa dei residenti è musulmano e il 6% ebreo.
La tendenza degli ultimi anni, certo, tratteggia il medesimo scenario di gran parte dei contesti occidentali, con il crollo numerico del cristianesimo e l’aumento di altre religioni in conseguenza dei nuovi flussi migratori, ma soprattutto l’ascesa dell’indifferentismo religioso: poco meno di un ventina di anni fa, nel 2007, era cristiano il 73% degli abitanti di New York (il 39% era cattolico), contro un 17% di non affiliati (e soltanto un 1% di musulmani).
La vecchia cattedrale di San Patrizio, completata nel 1815, rimane però il simbolo di un tempo in cui gli immigrati cattolici di New York lottavano per affermarsi in una città dominata dalle élite protestanti. Basti dire che fino al 1683, quando il governatore coloniale di New York Thomas Dongan riconobbe il diritto alla libertà di culto, il cattolicesimo fu costretto alla clandestinità. La prima parrocchia permanente di NYC, la chiesa di San Pietro, fu fondata nel 1785, in seguito all’abolizione, l’anno precedente, della legge pre-coloniale che proibiva ai sacerdoti cattolici di risiedere in città. Nel 1808, con il breve Ex debito, papa Pio VII eresse la diocesi di New York, suffraganea dell’arcidiocesi di Baltimora.
Tra la metà dell’Ottocento e i primi anni del Novecento la comunità cattolica newyorkese crebbe significativamente con l’arrivo massiccio di immigrati irlandesi, in fuga dalla fame, presto seguiti da italiani, polacchi, tedeschi e, più tardi, da portoricani e altri gruppi latinoamericani. Ne seguì lo sviluppo di un sistema scolastico parrocchiale sotto l’arcivescovo John Hughes. È la storia di santità di “immigrate fra gli immigrati” come l’italiana Francesca Saverio Cabrini e la svedese Maria Elisabeth Hesselblad.
Sebbene le comunità cattoliche di diversa nazionalità affrontassero difficoltà comuni, si trovavano in contrasto tra loro, anche all’interno della Chiesa. Il clero irlandese dominava l’arcidiocesi di New York, che comprendeva Manhattan, mentre i vescovi italiani erano più spesso assegnati a quella di Brooklyn. Gli irlandesi, arrivati prima e fatto anzitempo qualche gradino nella scala sociale e politica, tendevano a vedere gli italiani come i “nuovi arrivati”, legati anche spiritualmente ad usanze e pratiche religiose differenti.
Nonostante le tensioni, irlandesi e italiani facevano i conti con il sentimento anticattolico prevalente nell’America del XIX secolo, e subivano discriminazioni da parte delle élite protestanti della città, che li consideravano inadatti alla piena cittadinanza. In questo contesto, tanto la vecchia quanto la nuova “St. Patrick” furono più di semplici chiese: divennero il simbolo della tenacia cattolica in una città che spesso considerava il cattolicesimo “estraneo”, nella migliore delle ipotesi.
Sul piano politico, risale al 1880 l’elezione del primo sindaco cattolico della città, l’imprenditore e filantropo di origine irlandese William Russell Grace. Neanche a dirlo, un democratico, relativamente giovane per gli standard della politica (48 anni), che costruì il proprio successo elettorale sulle promesse di miglioramento del welfare per gli esclusi del suo tempo e sulla lotta contro la criminalità organizzata e gli abusi delle forze dell’ordine.
Da questo punto di vista, New York – alle fine dell’Ottocento così come oggi – si conferma una città in grado di cogliere prima di altre i cambiamenti in atto nella società e di dare loro uno spazio politico. Nel 1928, meno di 50 anni dopo la rielezione di Grace, il primo candidato cattolico a correre per la Casa Bianca, Al Smith, di origini irlandesi e italiane e governatore dello Stato di New York, venne sconfitto da Herbert Hoover. A pesare, durante la campagna presidenziale, le accuse di essere un “papista”: si disse che se Smith fosse stato eletto presidente, gli Stati Uniti sarebbero stati governati dal Vaticano.
Dal canto suo, Donald Trump sembra per il momento deciso a concentrarsi sul “comunismo” di Zohran Mamdani più che sulla sua appartenenza all’islam. Merito di una inattesa ampiezza di vedute o potere dell’alleanza d’affari rinnovata solo poche settimane fa con Arabia Saudita, Qatar ed Emirati Arabi?
C’è chi parla in sua vece. Il repubblicano Randy Fine è arrivato a suggerire che Mamdani installerà un “califfato” a New York City, la commentatrice Angie Wong ha dichiarato alla Cnn che proprio un sindaco musulmano non potrà garantire la sicurezza dei newyorkesi, e diversi esponenti dell’ala destra dei Repubblicani – riprendendo la definizione di «musulmano maoista» che fu di Charlie Kirk – paventano il rischio di una “invasione islamica” conseguente all’elezione di Mamdani. Più le cose cambiano, più restano le stesse.
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