L’altra metà della Chiesa e del mondo. Le donne al Concilio Vaticano II

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«Dov’è l’altra metà della Chiesa?», pare abbia domandato il cardinale belga Léon-Joseph Suenens al Concilio Vaticano II. Schiere di volti maschili, ma nessuna presenza femminile. Le donne sarebbero arrivate di lì a poco: religiose, mogli, laiche nubili e vedove di guerra. Fra loro anche un’argentina.

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Se davvero la Chiesa fosse fatta solo da uomini per altri uomini, alle donne non resterebbe che fare come la radicale Mary Daly: uscirne. Eppure così non è. Fin dai suoi albori, nella Chiesa le donne hanno avuto – e saputo ritagliarsi, fra alterni successi – spazi importanti. Anche nei momenti chiave della storia, come al Concilio Vaticano II.

Nella seconda sessione del Concilio, nell’autunno del 1963, constatando una presenza esclusivamente maschile anche fra gli uditori laici (in quel momento 13 uomini), pare che il cardinale belga Léon-Joseph Suenens si sia chiesto cosa ne fosse stato dell’altra metà della Chiesa e del mondo. Un interrogativo al quale nei giorni seguenti si unirono altri porporati.

Gli inviti partirono quando la terza sessione era ormai iniziata da una settimana, ma Paolo VI li aveva anticipati: anche le donne avrebbero presto avuto un ruolo nel Concilio. Di lì a poco, il 25 settembre, la prima ad entrare in aula sarebbe stata la francese Marie-Louise Monnet, fondatrice del Movimento Internazionale d’Apostolato dei Ceti Sociali Indipendenti (Miamsi). Nei giorni successivi altre la seguirono. Storie profonde e di valore, anche all’interno della Chiesa.

Ventitré in tutto, 10 religiose e 13 laiche, selezionate in base a criteri di internazionalità e di rappresentanza, dall’Austria al Libano: 13 le europee (quattro italiane) e 10 quelle provenienti da altri Paesi. Se nella loro partecipazione molti vedevano esclusivamente un carattere simbolico, al contrario questa si rivelò ben presto tutt’altro che silenziosa, producendo tracce importanti negli stessi documenti conciliari, dalla Lumen Gentium alla Gaudium et Spes.

Non è un rito stanco citare i nomi di queste “madri del Concilio”, tanto più che, ironia della sorte, spesso il loro elenco risulta sbagliato o incompleto. Delle 10 religiose, quasi tutte erano superiore generali dei rispettivi istituti: Costantina Laura Baldinucci (Italia), Sabine de Valon (Francia), Suzanne Guillemin (Francia), Juliana Thomas (Germania), Cristina Estrada Carrera-Pesas (Spagna), Claudia Anna Feddish (Stati Uniti), Mary Luke Tobin (Stati Uniti), Marie de la Croix Khouzam (Egitto), Marie Henriette Ghanem (Libano). Nel 1965 si unì ad esse Jerome Maria Chimy (Canada).

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Fra le 13 laiche, molte delle quali nubili o vedove di guerra, quasi tutte avevano incarichi direttivi in associazioni internazionali. Oltre a Marie-Louise Monnet (Francia), furono invitate Alda Miceli (Italia), Ida Marenghi Marenco (Italia), Amalia Dematteis (Italia), Pilar Bellosillo (Spagna), Anne-Marie Roeloffzen (Olanda), Rosemary Goldie (Australia). Ad esse nel 1965 si unirono Hedwig Karoline von Skoda (Austria), Gertrud Ehrle (Germania), Catherine McCarthy (Stati Uniti), Margarita Moyano Llerena (Argentina), Gladys Parentelli (Uruguay) e Luz María Longoria Gama (Messico), chiamata a partecipare insieme al marito.

Fra di esse, le più conosciute erano l’australiana Rosemary Goldie, segretaria esecutiva del Comitato Permanente dei Congressi Internazionali per l’Apostolato dei Laici (Copecial), e l’italiana Alda Miceli, già presidentessa dell’Azione Cattolica e del Centro Italiano Femminile (Cif). Non mancò anche una convocazione dalla “fine del mondo”, con l’argentina Margarita Moyano Llerena, già presidentessa del Consiglio Superiore delle Giovani dell’Azione Cattolica. «Le donne sempre vanno alla fine, però è importante, infine, che vadano», avrebbe in seguito commentato la donna. «I Padri conciliari erano uomini che sperimentavano la loro debolezza e il loro peccato di fronte ad una tale impresa. Ma erano anche uomini che si appoggiavano alla potenza di Dio. E questo lo esprimevano nella preghiera».

Nel corso dei lavori, alle 23 uditrici si aggiunsero una ventina di esperte in diversi temi, fra le quali l’economista Barbara Ward, particolarmente attenta alle questioni sociali e ambientali, e la pacifista Eileen Egan. Tutte guardavano alla «nuova Pentecoste» invocata da Giovanni XXIII all’apertura del Concilio, per una Chiesa che sapesse «riconoscere i segni dei tempi e guardare lontano». Un’epoca «atomica», come la definì Suzanne Guillemin, madre generale della Compagnia delle Figlie della Carità. Il «passaggio dalla sala d’attesa al soggiorno», nelle parole di madre Sabine de Valon, presidente dell’Unione Internazionale delle Superiore Generali.

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A tutte le donne, splendida metà della famiglia umana e delle mie lettrici,
oggi più che mai: grazie.

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