C’è una chiesa, a Milano, che per la singolare forma della sua facciata è nota come “il violoncello”. È la chiesa di Santa Maria della Sanità, sede dal 2014 della comunità maronita di Milano. Con in serbo qualche novità.
Passarvi dinnanzi e trovarla aperta, va detto, è già di per sé un fatto singolare. Lo è ancor di più la facciata, tanto sinuosa da valerle il soprannome di “violoncello” e non soltanto perché pochi passi più avanti si trova Casa Toscanini, che per quarant’anni ha ospitato il celebre direttore d’orchestra. È la chiesa di Santa Maria della Sanità, in via Durini 20, comodamente raggiungibile a piedi dalla stazione metropolitana – e relativa basilica – di San Babila o dal Duomo.
Di nomi, la chiesa di Santa Maria della Sanità ne ha cambiati parecchi. Come quello che la voleva “dei Crociferi”, in riferimento alla croce rossa che contraddistingue l’abito dei padri Camilliani, per i quali la chiesa venne edificata tra la fine del Seicento e l’inizio del Settecento su progetto di Giovanni Battista Quadrio e Carlo Federico Pietrasanta. Le architetture della facciata – in cotto e incompiuta – insieme ai volumi dell’edificio rendono Santa Maria della Sanità una delle chiese più “romane” di Milano, con atmosfere che ricordano quelle del Barocco. Degne di nota nell’interno a navata unica, di forma ellittica, sono la volta affrescata nel 1717 da Pietro Maggi e il coevo altare barocco in marmi policromi.
A distinguere la chiesa di Santa Maria della Sanità è però l’essere sede dal 2014, per volontà del card. Angelo Scola, della missione cum cura animarum per i fedeli cattolici di rito maronita (libanese). La Messa domenicale (ore 11) vi è celebrata secondo il rito cattolico maronita in tre lingue: araba, siriaca (aramaica) e italiana. La storia della Chiesa maronita, da sempre in comunione con la Chiesa cattolica, racconta di 1.600 anni di fedeltà e ricchezza liturgica. L’atmosfera mistica, orientale e spirituale si mostra nei segni di croce, nell’abbondante uso dell’incenso, nelle processioni e nei canti. Particolarmente viva è la devozione a san Charbel Makhluf, il “Padre Pio” del Libano, monaco taumaturgo libanese, canonizzato da Paolo VI nel 1977, che deve la propria fama ai numerosi miracoli attribuitigli dopo la morte.
Nel complesso, nel cuore della vecchia Milano i legami con l’Oriente non mancano, a partire dal rito ambrosiano. Dall’antica Porta Orientale alla medievale Porta Nuova, fino alla demolita Porta Tosa, presso l’attuale Porta Vittoria, si estende infatti un territorio denso di storia e di patrimonio artistico, che nell’intitolazione delle chiese e nelle reliquie che custodiscono – di san Babila, san Damiano e santo Stefano, ma anche di sant’Anatolio, di Pietro patriarca d’Alessandria, di Lorenzo e Giulio, di Nicolao vescovo di Licia – dice di rapporti saldi e precoci fra la comunità cristiana milanese e quelle orientali.
Se vi trovate a passare davanti alla chiesa di Santa Maria della Sanità domenica 23 luglio 2017, attorno alle 11.00, l’occasione per entrarci è ghiotta. E non solo perché con certezza la troverete aperta. Con il patrocinio del card. Béchara Boutros Raï, patriarca di Antiochia dei Maroniti, rappresentato dal suo vicario generale, mons. Hanna Alwan, la comunità cattolica maronita di Milano vi si riunirà, infatti, non solo per la consueta Messa domenicale, ma anche per l’inaugurazione della nuova statua di san Charbel, che troverà posto vicino alle reliquie del santo conservate nella chiesa.
Nell’immagine: Milano, chiesa di Santa Maria della Sanità. Foto di Giovanni Dall’Orto.
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