La Sacra Cintola, fra devozione popolare, Chiesa illuminata e Sinodi

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La Sacra Cintola custodita nel duomo di Prato è da secoli al centro della devozione, ma anche di accese opposizioni e di rivolte popolari e ancora oggi simbolo della contrapposizione di due interpretazioni della religione.

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La Sacra Cintola, nota anche come Sacro Cingolo, è una sottile striscia di lana di capra, lunga una novantina di centimetri, di color verde, decorata con fili d’oro. La tradizione vuole che appartenesse alla Vergine Maria, che l’avrebbe donata all’apostolo Tommaso, nuovamente emblema di incredulità, come prova della sua Assunzione in cielo. Giunta a Prato verso la metà del XII secolo dopo una serie di passaggi di mano, nel 1174 la reliquia venne portata nel duomo cittadino con una solenne processione e riposta inizialmente all’interno dell’altare maggiore. La Cintola è oggi conservata in una cappella a lei dedicata, sul fianco sinistro della cattedrale, decorata dalle opere trecentesche di Agnolo Gaddi e Giovanni Pisano. La reliquia è sin dal XII secolo al centro di una fervida devozione, non soltanto pratese, ma anche di accese opposizioni e rivolte popolari, che raggiunsero il loro apice nel corso del Settecento.

Fu infatti in questo secolo che, sull’onda dell’Illuminismo, penetrò in alcuni ambienti ecclesiastici una sensibilità più intellettuale, che interpretava la religione come un fatto puramente interiore, razionale e sovente astratto. Osteggiate da una visione elitaria e rigorista furono soprattutto pratiche come la Via Crucis e la devozione al Sacro Cuore, alla Vergine e ai santi, ritenute espressioni di una religiosità popolare intrisa di sentimentalismo e credenze popolari. Le pratiche di pietà, spesso etichettate tout court come superstiziose, vennero contrapposte alla luce dell’Illuminismo. Di contro, i modelli proposti furono però sovente astratti, lontani dai legami tradizionali creatisi nella società nell’arco dei secoli.

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Lo scivolamento dalla critica alle devozioni popolari alla completa negazione dello spirito di devozione fu ritenuto sin troppo evidente anche in molti ambienti ecclesiastici, tanto più che l’impostazione illuministica metteva radicalmente in discussione l’idea stessa di rivelazione e di dogma, essenziali per la religione cristiana. A predominare è la razionalità autonoma dell’uomo, sfociante spesso in un radicale razionalismo. Anche i comportamenti umani, guidati semplicemente dalla ragione, perdono il loro afflato morale. Anzi, la morale stessa, non più teologicamente fondata, è privata del suo riferimento alle istanze superiori dettate da Dio. Sulla base di questi orientamenti la religione – o meglio le religioni, secondo una equiparazione relativistica – non può che essere fonte di guerre, conflitti e disordine.

È su queste basi, ed in particolare con Scipione de’ Ricci, vescovo giansenista di Pistoia e Prato dal 1780 al 1791, che la tensione nella diocesi toscana toccò il suo apice. Ordinato vescovo di Pistoia e Prato nel 1780 grazie all’appoggio del granduca Pietro Leopoldo, Scipione de’ Ricci si diede ad un’opera di riordino della diocesi che si tradusse nell’abolizione di numerosi ordini religiosi, nella riduzione ad uso civile di molte antiche chiese del centro di Pistoia e nel contrasto della devozione al Sacro Cuore e nel sostegno dell’autonomia delle Chiese locali.

Passaggio fondamentale fu la convocazione di un sinodo a Pistoia nel 1786. Dopo il sinodo, di impronta giansenista, ci fu un tentativo da parte del vescovo di contrastare il culto delle reliquie, che a Prato si concretizzò nel progetto di rimuovere dal duomo l’altare dedicato al Sacro Cingolo della Vergine: il tentativo sfociò nella primavera successiva in un violento tumulto popolare, che non risparmiò la Cattedra episcopale e lo stesso palazzo vescovile. All’opposizione della cittadinanza si accompagnava un crescente contrasto all’operato del vescovo Scipione tanto da parte del clero toscano quanto dalla Santa Sede. Nel frattempo, con Pietro Leopoldo divenuto imperatore del Sacro Romano Impero, al vescovo venne a mancare anche l’appoggio politico del suo principale sostenitore. Una nuova serie di tumulti costrinsero Scipione de’ Ricci alla fuga. Nel 1791 il prelato rinunciò alla diocesi. Otto anni più tardi dovette ritrattare pubblicamente le proprie idee e ritirarsi a vita privata. Morì nel 1810.

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Nell’immagine: Filippo Lippi e aiuti, Madonna della Cintola, 1456–60, Prato, Museo civico.

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