La Parola, la Chiesa, il mondo. Commento al Vangelo ambrosiano del 3 maggio 2020

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Domenica 3 maggio 2020. IV Domenica di Pasqua, Anno A. Commento al Vangelo di rito ambrosiano, di don Paolo Alliata.

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In quel tempo. Il Signore Gesù disse ai farisei: «Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché è un mercenario e non gli importa delle pecore. Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore. Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio» (Gv 10, 11-18).

“Quando una festa si avvicina, gli uomini si preparano a celebrarla, ognuno a modo suo. Ce ne sono molti e anche Benedikt aveva il proprio, che consisteva in questo: […] se ne andava tra le montagne, che in quel periodo dell’anno erano popolate solo dagli uccelli predatori più resistenti, dalle volpi e da qualche pecora sperduta. Proprio di quelle Benedikt andava in cerca, bestie sfuggite ai tre raduni regolari dell’autunno. Dovevano morire di freddo e di fame solo perché nessuno aveva la voglia o il coraggio di cercarle e riportarle a casa? Erano pur sempre esseri viventi […] Non c’è creatura, viva o morta, così modesta da non poter servire, nessuna che il servizio non renda sacra. E solo il servizio” (G. Gunnarsson, Il pastore d’Islanda).

In un romanzo agile e pieno di drammatico incanto, lo scrittore islandese Gunnarsson mette in parole la vicenda del pastore Benedikt. All’inizio di ogni Avvento, Benedikt si mette in marcia per salire agli altipiani sepolti dalle nevi. Va a cercar le pecore rimaste indietro. Lo accompagnano il cane e il montone, le sue creature più fidate, in cammino per andare a riscattare dalla morte ciò che è andato perduto. Le pecore non gli appartengono: il fatto che siano destinate a morte sicura è il solo motivo per cui affronta ogni anno la rischiosa avventura. Le cerca perché hanno bisogno di essere cercate. Non gli importa che non siano del suo ovile: ciò che le renderà sue, care al suo cuore, sarà il rischio che corre per loro, la quantità di sangue e respiro che impegnerà per strapparle agli artigli dell’inverno. “E ho altre pecore che non provengono da questo recinto”: lo dice Gesù, lo dice anche Benedikt.

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Benedikt è l’immagine del buon pastore. “Il buon pastore dà la vita per le pecore”, spiega Gesù. Da questo lo si riconosce, è quel che lo distingue dal mercenario. È ciò che lo “consacra”, che lo rende immagine del Signore della vita. “Per questo il Padre mi ama – dice Gesù – perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo”. Chi dona la vita nell’amore, non la perde. Come il contadino che sparge il grano: sarà tutta vita che ritrova.

Alla fine del racconto, Benedikt apparirà ai contadini della pianura “come uno che è risuscitato dai morti”. Davvero Benedikt ha rischiato di morire. Ha passato molte notti sotto la neve, come il chicco di grano nel grembo della terra. Ne è sorto come uscendo a nuova vita. Il suo impegno coraggioso e infaticabile sono stati fecondi anche in questo: un altro giovane pastore, che porta il suo stesso nome, è salito agli altipiani per cercarlo. È come il passaggio di un invisibile testimone: l’anziano ha trovato chi continuerà dopo di lui la sua opera di cura delle creature più disperse.

Voglia il Cielo che sorgano dalla terra tanti pastori come Benedikt. Se non siamo di quelli che hanno il coraggio di affrontare il rischio dell’amore, chiediamo almeno di non essere di quelli che ne ostacolano l’avventura sotto il cielo.

Il Signore li accompagni, e smuova noi, timidi e poveri di ardore, a seguirne le tracce e l’impegno.

Don Paolo Alliata

Don Paolo Alliata. Nato a Milano nel 1971, dopo la laurea in Lettere classiche all’Università degli Studi di Milano, viene ordinato sacerdote nel 2000 dal card. Carlo Maria Martini. Attualmente è vicario della comunità pastorale Paolo VI per la parrocchia di Santa Maria Incoronata a Milano. Autore di testi teatrali sull’Antico e sul Nuovo Testamento, è responsabile dell’Ufficio per l’Apostolato Biblico della Diocesi di Milano. Fra le sue pubblicazioni, Dove Dio respira di nascosto. Tra le pagine dei grandi classici (Milano, Ponte alle Grazie, 2018) e C’era come un fuoco ardente. La forza dei sentimenti tra Vangelo e letteratura (Milano, Ponte alle Grazie, 2019). Da due anni le sue omelie sono raccolte su un canale YouTube.

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