La Parola, la Chiesa, il mondo. Commento al Vangelo ambrosiano del 10 febbraio 2019

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10 febbraio 2019. Domenica V dopo l’Epifania, anno C. Commento al Vangelo, di don Ezio Fonio.

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Ricordiamo che nel rito ambrosiano, in questa domenica viene trattato il tema di Cristo signore sulla vita (Cf. la premessa che ho scritto al commento di domenica scorsa). La pericope evangelica dell’anno C è quella guarigione del servo del centurione.

Vangelo della Messa (Matteo 8, 5-13)
In quel tempo. Quando il Signore Gesù fu entrato in Cafàrnao, gli venne incontro un centurione che lo scongiurava e diceva: «Signore, il mio servo è in casa, a letto, paralizzato e soffre terribilmente». Gli disse: «Verrò e lo guarirò». Ma il centurione rispose: «Signore, io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto, ma di’ soltanto una parola e il mio servo sarà guarito. Pur essendo anch’io un subalterno, ho dei soldati sotto di me e dico a uno: “Va’!”, ed egli va; e a un altro: “Vieni!”, ed egli viene; e al mio servo: “Fa’ questo!”, ed egli lo fa».
Ascoltandolo, Gesù si meravigliò e disse a quelli che lo seguivano: «In verità io vi dico, in Israele non ho trovato nessuno con una fede così grande! Ora io vi dico che molti verranno dall’oriente e dall’occidente e siederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli, mentre i figli del regno saranno cacciati fuori, nelle tenebre, dove sarà pianto e stridore di denti». E Gesù disse al centurione: «Va’, avvenga per te come hai creduto». In quell’istante il suo servo fu guarito.

Commento
Gesù, durante il suo ministero in Galilea, viveva nella casa di Pietro a Cafarnao, una città che si trova a nord-ovest del lago di Tiberiade. Allora era un posto di frontiera, sulla via del mare verso Damasco, e centro commerciale. Per questi motivi Cafarnao, che secondo le stime degli archeologi poteva contare mille abitanti, era sede di una piccola guarnigione romana comandata da un centurione, in buoni rapporti con la popolazione (Luca 7,5). Il centurione era un pagano, ma conoscendo Gesù come guaritore, gli espone la situazione del proprio servo, paralizzato a letto e dolorante. Notiamo che il centurione non chiede la guarigione del servo, come aveva fatto il lebbroso di cui san Matteo racconta la guarigione nel passo di questo capitolo immediatamente precedente (8,1-4).

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Questo è un esempio eccellente di preghiera: spesso noi domandiamo al Signore che operi quel che vogliamo noi e poi ce la prendiamo con Lui se non fa quello che gli abbiamo chiesto. Ci dimentichiamo che nel Padre nostro diciamo «sia fatta la tua volontà» e non “sia fatta la mia volontà”. Ora, Dio è amante degli uomini e non manda ad essi le malattie. Dio non gode nel vedere soffrire le persone come i sadici, ma vuole che impariamo ad accettare le difficoltà della vita e ci dà la grazia per poterle accettare e sopportare. Un Dio così però non serve alle masse di oggi, come non serviva agli ebrei che attendevano un Messia liberatore dal dominio romano. Invece, Gesù ci parla di una vita eterna con Lui, il Padre e lo Spirito Santo.

Alla risposta di Gesù di disponibilità a recarsi alla casa del centurione per guarire il di lui servo, l’ufficiale romano si ritiene indegno di tanta attenzione, non vuole scomodarlo e, sapendo che Gesù non è un guaritore che va uso di intrugli vari, fa quella profonda professione di fede viene lodata dal divino Maestro, tanto da dire di non averne trovata una così grande in Israele. Gesù coglie l’occasione per fare un confronto tra i tanti pagani che entreranno nel regno dei cieli, descritto con l’immagine di una mensa, mentre i figli del regno (gli Israeliti, discendenti delle promesse di Dio ad Abramo, Isacco e Giacobbe), ne sarebbero cacciati fuori, nell’inferno, descritto come luogo tenebroso e freddo e di pianto.

La fede del centurione viene premiata e Gesù opera la guarigione a distanza, immediatamente. Il miracolo non era preteso. È un dono che premia la fede non necessariamente dell’interessato. Nell’uso liturgico che ne fa il rito ambrosiano, con questa lettura si evidenzia il miracolo come segno della messianicità di Gesù, signore della vita.
L’espressione di fede del centurione è stata introdotta da secoli nella liturgia dei riti latini, come professione dei fedeli prima della Comunione con una modifica nel finale. Nel testo latino suona così: «Domine, non sum dignus ut intres sub tectum meum, sed tantum dic verbum et sanabitur anima mea», che letteralmente suona così: «Signore, io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto [cioè nella mia casa], ma tu di’ soltanto una parola e l’anima mia sarà risanata», dove per casa s’intende il luogo della mia intimità e la parola è quella del perdono che purifica l’anima dal peccato.

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Con la traduzione italiana del Messale romano del 1970, adottata anche per il rito ambrosiano per comodità dei fedeli che si spostano sul territorio, la traduzione, che conoscono a memoria tutti coloro che frequentano la Messa, è diventata: «O Signore, non sono degno di partecipare alla tua mensa, ma di’ soltanto una parola e io sarò salvato». Ovvero non è una “traduzione”, ma un “tradimento”. Lo si dice di ogni traduzione, ma qui i liturgisti, con l’assenso della Conferenza episcopale italiana, hanno cambiato la realtà delle cose: primo, non si parla più di indegnità a ricevere Gesù, ma al contrario dell’indegnità del fedele a partecipare alla mensa di Gesù; secondo, la parla di Gesù non è più la parola della remissione dei peccati, ma una parola generica di salvezza. Siccome il Messale e, quasi dappertutto, l’odierno arredamento dell’altare, mettono in secondo piano il Sacrificio della croce, presentando l’Eucaristia come il banchetto messianico, la salvezza diventa la partecipazione al banchetto celeste, di cui Gesù peraltro fa riferimento nella pericope del centurione guarito. Ora, la partecipazione al banchetto celeste, cioè alla vita trinitaria (= paradiso), non è un diritto dell’uomo, neppure del santo, ma è un dono che Dio fa all’umanità avendo assunto la natura umana (mistero salvifico del Natale), mentre la redenzione dal peccato è il passaggio necessario per accedere al paradiso (mistero salvifico della Pasqua). L’operazione riduzionista del Mistero eucaristico non giova alla chiarezza dell’annuncio cristiano. Questo è almeno il mio pensiero.

Un’altra considerazione importante riguarda la comprensione del testo del Vangelo secondo Matteo alla luce dei primi destinatari che erano cristiani di origine ebraica. L’episodio della guarigione del servo del centurione è un richiamo a uscire dal ghetto per aprirsi all’universalità. Questo vale per le comunità cristiane di ogni tempo. Gesù non ha scelto solo gli ultimi, gli impuri, gli scomunicati (come erano allora i lebbrosi), ma anche i lontani, i pagani, gli stranieri. Questo riguarda anche le nostre scelte di Chiesa e le nostre scelte sociali e politiche, perché i due piani non possono essere distinti per un cristiano. Come per gli ebrei non servono le pratiche religiose ereditate in quanto discendenti di Abramo, Isacco e Giacobbe, se non si ha fede, così per i cristiani di oggi non servono le pratiche religiose se non si attualizzano in una solidarietà effettiva con tutti i popoli del mondo, che non giudichi secondo gli interessi di partito. Un caso emblematico è quello oggi del Venezuela, che sta attraversando una crisi durissima. Non importa se gli Stati Uniti d’America abbiano contribuito a causarla con le sanzioni. Il regime al potere in Venezuela ha fatto comunque delle scelte sbagliate e ha la responsabilità di aver affamato il popolo. Del resto anche in Italia si fanno politiche populiste che non servono a portare investimenti e lavoro e sono molto pericolose.

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Don Ezio

Nato a Caltignaga (No) il 12 febbraio 1953, mostra un precoce interesse per la comunicazione, coniugando opere parrocchiali, impegno sociale e la cronaca per il settimanale cattolico L’Azione e per il telegiornale cattolico Teleradiotrasmesse. Spiccata la passione per l’ambiente, che nel 1976 lo vede tra i fondatori dell’Associazione “Pro Natura Novara”, nella quale mantiene tutt’ora un ruolo attivo. È stato vice-presidente della Federazione nazionale “Pro Natura”. Laureato in Scienze biologiche, da sacerdote salesiano svolge il proprio ministero in diverse case del Piemonte e in Svizzera, dove insegna matematica e scienze nelle scuole medie. Per trent’anni si occupa del Museo Don Bosco di Storia Naturale e delle apparecchiature scientifiche del liceo Valsalice di Torino. Nel 2016 fonda a Novara il Museo scientifico-tecnico “Don Franco Erbea”. Dall’ottobre 2018 è incaricato della Biblioteca salesiana ispettoriale nella Casa madre salesiana di Valdocco, in Torino.

Nell’immagine: Cristo Redentore in trono, IV-VIII sec. con restauri del XVIII sec., Milano, Basilica di Sant’Ambrogio (particolare).

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