Un tempo era un’oasi celebre per la più numerosa comunità cristiana della Penisola Araba, oggi è una città universitaria, teatro di guerra. Contesa per secoli fra le maggiori religioni, oltre che fra Arabia Saudita e Yemen, Najran è un simbolo della storia del Medio Oriente utile per capire il presente.
Spezie, incenso, seta e cotone sono solo alcune fra le merci che un tempo transitavano per Najran. Tolomeo ne parla come di una fra le tappe più importanti delle vie carovaniere lungo il Mar Rosso, ma a rendere celebre questa oasi fiorente – situata nell’Arabia meridionale, al confine con lo Yemen – era la sua comunità cristiana, la più numerosa dell’intera Penisola Araba dopo la diffusione dell’Islam. Ma anche la più ricca, grazie al commercio e alle attività finanziarie.
Un successo che presto, come accaduto tante volte in Europa, suscita le bramosie dei potenti. Nel 524 Dhu Nuwas, re yemenita convertito al Giudaismo, si fa promotore di una cruenta persecuzione contro i cristiani di Najran, invitando i regni vicini a fare lo stesso. Secondo alcuni il sovrano intenderebbe vendicarsi così dei pogrom contro gli ebrei perpetrati in alcuni regni dell’Europa cristiana, ma i commentatori concordano ormai nel ritenere che dietro le violenze si nascondesse la volontà di Dhu Nuwas di non restituire un ingente prestito contratto proprio con la comunità cristiana di Najran. Settecento anni dopo Filippo IV di Francia avrebbe seguito il suo esempio.
Fino a 20 mila sono i cristiani che, rifiutando la conversione al Giudaismo, vanno incontro alla morte, ricordati nei martirologi latini come Martiri omeriti (Marthyri Homeriti, ossia “Martiri himyariti”). Tra loro san Areta, che la Chiesa cattolica celebra il 24 ottobre. La violenza della persecuzione ha una tale eco da essere citata – e condannata – anche nel Corano. Non deve stupire: un’antica tradizione islamica afferma che Maometto avrebbe permesso ad una delegazione cristiana di Najran di entrare nella sua moschea portando delle croci. Nel 2017 l’episodio è ricordato anche dall’imam Ali Abu Shwaima, presidente del Centro Islamico di Milano e della Lombardia nell’invito rivolto a papa Francesco di visitare la moschea di Segrate.
Mentre gli scampati al massacro di Najran trovano ospitalità presso l’imperatore bizantino Giustino I, questi e il re di Axum, in Etiopia, muovono guerra a Dhu Nuwas. Anche in questo caso, dietro alle formali motivazioni religiose, si nascondono ben più materiali interessi, primo fra tutti quello di guadagnare il controllo di uno fra territori più ricchi d’Arabia. Sotto l’influenza bizantina ed etiope Najran torna a prosperare, affermandosi come una delle principali città sante della Cristianità orientale. Con la diffusione dell’Islam alla città è imposto un tributo, ma ai cristiani è consentito di praticare liberamente il culto, tanto che fino al X secolo Najran elegge ancora un proprio vescovo. Malgrado la sua plurisecolare storia yemenita, nel 1934 la città entra a far parte del nuovo Regno dell’Arabia Saudita e negli anni successivi a nulla valgono i numerosi tentativi yemeniti di annessione.
Capitale di una regione pochi giorni fa ancora teatro degli scontri fra Arabia Saudita e Yemen, nel 2015 una spedizione condotta nella provincia di Najran da un gruppo franco-saudita di archeologi guidati da Frédéric Imbert, docente all’Università di Aix-Marseille, conduce alla scoperta di una moltitudine di croci scolpite nel deserto dell’Arabia Saudita, in special modo sulle pareti di roccia del Jabal Kawkab (la “Montagna della stella”). Segni inequivocabili della vivace comunità cristiana del V secolo dopo Cristo, delle sue memorie e delle sue sofferenze. Ma anche del legame inestricabile fra il destino dei cristiani in Medio Oriente e interessi tutt’altro che spirituali.
Nell’immagine: miniatura del Menologio di Basilio II, XI sec.
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