Domenica 15 maggio 2022. V Domenica di Pasqua. Commento al Vangelo di rito ambrosiano, di don Paolo Alliata.
✠ In quel tempo. Il Signore Gesù disse: «Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui. Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito. Figlioli, ancora per poco sono con voi; voi mi cercherete ma, come ho detto ai Giudei, ora lo dico anche a voi: dove vado io, voi non potete venire. Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri».
(Gv 13, 31b-35)
Si sentiva spesso dire, alla signora Fidget, che viveva per la sua famiglia, il che non era certo falso, come tutti i vicini ben sapevano. “Quella donna vive per la sua famiglia – dicevano – che moglie, e che madre!”. Faceva tutti i bucati da sola. Vero: lo faceva male, e si sarebbero potuti permettere la spesa della lavanderia; spesso la pregavano di non farlo, ma lei continuava ostinatamente. C’era sempre qualcosa di caldo a pranzo per chi restava a casa, e sempre qualcosa di caldo per cena (anche d’estate). […] La signora Fidget, infatti, come era solita ripetere, si “ammazzava di lavoro” per la sua famiglia. Non c’era modo di impedirglielo, né era possibile restarsene seduti a guardarla, senza sentirsi in colpa. Dovevano aiutarla; la verità è che si sentivano continuamente in dovere di aiutarla. Il che significa che erano costretti a fare delle cose per lei, onde aiutarla a fare delle cose per loro che, personalmente, non desideravano ella facesse. […] Il vicario dice che ora la signora Fidget riposa in pace. Speriamo che sia davvero; quello che è certo, è che ora la sua famiglia ha finalmente trovato la pace. È facile intuire come, nel caso dell’istinto materno, la tendenza a comportarsi in questo modo sia, per così dire, innata. L’affetto materno, infatti, è un “amore dono” ma tale da avere bisogno di dare; perciò ha bisogno di rendersi necessario, mentre lo scopo proprio di un dono dovrebbe essere quello di porre chi lo riceve nella condizione di non avere più bisogno del nostro dono. Si nutrono i figli per metterli presto in grado di nutrirsi da soli; si insegna loro affinché presto possano fare a meno dei nostri insegnamenti. È dunque un compito ingrato quello che spetta all’”amore dono”: esso deve, infatti, operare in vista della propria abdicazione. Dobbiamo mirare a renderci superflui. Il momento in cui potremo dire: “Non hanno più bisogno di me” dovrebbe essere anche il momento della nostra ricompensa.
(C. S. Lewis, I quattro amori)
Nei capitoli da 13 a 17 del quarto vangelo, Gesù, raccoltisi attorno i discepoli, prende lungamente congedo da loro. Li prepara al distacco da lui. “Figlioli, ancora per poco sono con voi”. Viene un tempo in cui il nostro amore dovrà trovare altri modi per coltivarsi ed esprimersi, rispetto a quelli che abbiamo conosciuto mentre sono in vita. Io vado. Ma non vi lascio soli: il mio amore troverà sempre di nuovo il modo di rendersi a voi presente, di scavalcare l’incolmabile abisso.
“Vado a prepararvi un posto” (14,2); “È bene per voi che io me ne vada, perché se non me ne vado non verrà a voi il Consolatore” (16,7): è tempo che io mi ritragga da questa forma di presenza, perché possiate esplorare un’altra forma della mia Presenza. Lo Spirito vi accoglierà nell’intima comunione tra me e il Padre, e voi e io diventeremo una cosa sola: e questa è tutta un’avventura da esplorare.
Il mio amore è il dono che vi lascio. Fatelo circolare tra voi. “In forza dell’amore con cui io ho amato voi, anche voi amatevi tra di voi”. Io non sono la signora Fidget, che non riesce ad amare la sua famiglia in modo da spalancarla ad altre relazioni, da renderla libera per affrontare il mondo; che non può pensare di non essere indispensabile ai suoi cari, perché non sa esistere se non “per la sua famiglia”, né sa sopportare l’idea che la sua famiglia possa non aver bisogno della sua indispensabile cura. Perché, figlioli, “si nutrono i figli per metterli presto in grado di nutrirsi da soli; si insegna loro affinché presto possano fare a meno dei nostri insegnamenti”. Ecco perché è tempo che io me ne vada.
Il discepolo deve imparare sempre di nuovo che ora tocca a lui. La Presenza di Gesù, nel respiro incessante dello Spirito, lo accompagna a diventare libero, responsabile e protagonista. Adulto, in una parola.
E in questa grande avventura non smette di accompagnarci.
Don Paolo Alliata
Don Paolo Alliata. Nato a Milano nel 1971, dopo la laurea in Lettere classiche all’Università degli Studi di Milano, viene ordinato sacerdote nel 2000 dal card. Carlo Maria Martini. Attualmente è vicario della comunità pastorale Paolo VI per la parrocchia di Santa Maria Incoronata a Milano. Autore di testi teatrali sull’Antico e sul Nuovo Testamento, è responsabile dell’Ufficio per l’Apostolato Biblico della Diocesi di Milano. Fra le sue pubblicazioni, Dove Dio respira di nascosto. Tra le pagine dei grandi classici (Milano, Ponte alle Grazie, 2018) e C’era come un fuoco ardente. La forza dei sentimenti tra Vangelo e letteratura (Milano, Ponte alle Grazie, 2019). Da due anni le sue omelie sono raccolte su un canale YouTube.
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