XI Domenica dopo Pentecoste. Di mano in mano. Commento al Vangelo di rito ambrosiano, di don Alessandro Noseda.
✠ Vangelo
Mt 21, 33-46
“Adesso che non c’è più Topo Gigio
che cosa me ne frega della Svizzera?”
Vasco, E adesso che tocca a me (Il mondo che vorrei, 2008)
Il buono è difficile? Pare di sì.
Forse è per questo che l’immagine della vigna è così frequente nella Bibbia: ci parla di un Dio che vuole tirare fuori il meglio dal mondo e lo fa con la cura e la passione che ci mette il viticoltore alla ricerca del vino migliore.
Nel capitolo 5 del libro di Isaia la storia di questo amore comincia come una poesia: “Canterò al mio diletto un cantico d’amore per la sua vigna…” (Is 5,1 ss.).
Peccato che la storia sia triste: la vigna invece di produrre uva ha prodotto uva selvatica.
Gesù riprende l’immagine nella pagina di Vangelo che la liturgia ambrosiana ci propone oggi, XI domenica dopo Pentecoste.
Al centro ci sono stavolta dei braccianti che si credono padroni, e la storia ovviamente non solo finisce male, ma si conclude in tragedia: la vigna non ha dato il suo frutto e gli emissari che dovevano ritirare il raccolto vengono aggrediti, finchè lo stesso figlio, che il padrone aveva mandato, resta ucciso.
Il buono è difficile. Il Regno di Dio è difficile.
Ma Dio non molla.
Che cosa farà – chiede Gesù ai suoi ascoltatori – il padrone della vigna?
Gli rispondono: “Farà morire miseramente quei malvagi”.
Il Maestro ribatte implicando che il punto non sta nella morte dei malvagi, ma nel fatto che Dio non molla e la vigna viene continuamente consegnata a nuovi operai che ne traggano frutto.
Fuor di metafora, il Regno di Dio passa di mano in mano, non come un possesso da arraffare, ma come un compito da svolgere da parte di ogni generazione di questo mondo.
Oggi tocca a noi.
C’è una canzone molto bella di Vasco che parla a mio avviso di quanto certi traguardi che contraddistinguono la vita non siano all’altezza dei sogni dell’uomo finché non cambia il modo in cui va il mondo.
In chiave di fede, non posso non vedere come questo sogno di un mondo differente mi venga continuamente riproposto come compito. Sono quasi colto da vertigine al pensiero che, sì: realizzare il Regno di Dio è un lavoro che passa di mano in mano, e adesso… tocca a me.
Ridirci continuamente che è arrivato il nostro turno di fare tutto il bene possibile è la premessa ad un’assunzione di responsabilità che oggi è cercata a tanti livelli (pensiamo all’ecologia, per dirne una), ma ideologicamente fragile: un’idea tossica di libertà, intesa come possibilità di spadroneggiare sulla vita e sul mondo, insieme ad una cultura del sé che dimentica il prossimo sono oggi i deterrenti più significativi al compito che invece rende bella la vita e produce il vino della gioia.
Grazie al cielo – dice Gesù – Dio non molla.
Don Alessandro
Don Alessandro Noseda. Nato a Cantù nel 1974. Dopo gli studi classici e la formazione teologica nel Seminario di Venegono, viene ordinato sacerdote nel 2000 dal card. Carlo Maria Martini. Svolge dapprima il suo ministero a Milano come assistente degli Oratori della parrocchia di San Giovanni Battista alla Bicocca e successivamente della parrocchia del Santissimo Redentore. Dal 2007 al 2011 è cappellano presso l’Università degli Studi di Milano Bicocca. Attualmente è parroco nella parrocchia di Gesù a Nazaret, Quartiere Adriano.
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