Tregua: attesa, traguardo, fragilità. Vittoria e sconfitta. Premio. Respiro o illusione. L’unico sentimento a non essere fuori luogo è la speranza. Padre David Neuhaus (Gerusalemme): la sfida è decostruire l’uso dei testi della religione per promuovere guerra, violenza ed esclusione.
La storia del conflitto fra Israele e Palestina è un libro di molte pagine, e molte ancora attendono di essere scritte. Quel che è certo è che, in un verso o nell’altro, saremo costretti a leggerle. Che spazio sarà concesso, ora, alla pace in questa trama? «Il conflitto è principalmente tra due movimenti nazionali», spiega padre David Neuhaus, gesuita israeliano e professore di Sacra Scrittura. Nato in Sudafrica da genitori ebrei tedeschi fuggiti dalla Germania negli anni Trenta del secolo scorso, è stato vicario patriarcale del Patriarcato latino di Gerusalemme per i cattolici di espressione ebraica e per i migranti. «La violenza non è un mezzo legittimo per risolvere un conflitto. Tuttavia, bisogna chiedersi: la religione, nella sua forma attuale, aiuta davvero le persone a riconoscere questo?».

Padre Neuhaus, qual è il peso delle radici religiose nella storia del conflitto israelo-palestinese?
Ritengo importante insistere sul fatto che il conflitto israelo-palestinese non è un conflitto religioso. Le sue origini risiedono nella migrazione di ebrei europei – in particolare dell’Europa orientale –, avvenuta a partire dagli anni Ottanta dell’Ottocento, all’ombra dell’antisemitismo moderno europeo, verso la Palestina, e nella loro rivendicazione del diritto a fondare lì uno Stato etnocentrico, uno Stato ebraico. Il conflitto è principalmente tra due movimenti nazionali: il sionismo, movimento nazionale ebraico che ha ridefinito cosa significasse essere ebreo, e il movimento nazionale arabo palestinese. Entrambi i movimenti ridefiniscono l’identità, collegandola al popolo, alla terra e alla statualità. La religione è una risorsa utile, ma non è la radice principale di nessuno dei due movimenti.
Entrambi i movimenti nazionali hanno sfruttato identità, testi, riti e tradizioni religiose, traendone legittimazione. L’uso di un linguaggio religioso può avere un effetto più potente rispetto a un linguaggio secolare. La lettura sionista dei testi religiosi ebraici, che enfatizza la Bibbia e marginalizza il Talmud, ha svolto un ruolo importante nel forgiare una coscienza ebraica moderna che collega l’identità ebraica alla terra d’Israele. Il laico David Ben Gurion, primo primo ministro di Israele, ad esempio, sottolineava l’importanza di libri biblici come Giosuè, che narrano la conquista della terra.
Anche i nazionalisti arabi palestinesi, sia musulmani che cristiani, hanno sfruttato la religione. Il leader Hajj Muhammad Amin al-Hussayni, ad esempio, usava un titolo e un abito religiosi, ricopriva una funzione religiosa e sfruttava regolarmente lo status sacro di Gerusalemme per i musulmani. Pratiche tradizionali, come il pellegrinaggio al santuario di Nabi Musa o il significato religioso della tomba dei Patriarchi a Hebron, suscitavano sentimenti che potevano apparire religiosi ma servivano, prima di tutto, l’ideologia nazionalista.
Dagli anni Sessanta sono emerse nuove forme di nazionalismo religioso tra ebrei israeliani e arabi palestinesi. L’aggiunta di “Dio” all’ideologia nazionalista spesso genera maggiore fanatismo e militanza. Gruppi estremisti di ebrei israeliani e musulmani arabi promuovono ideologie di etnocentrismo, esclusione e persino genocidio, basate su slogan religiosi.
In che misura, dunque, le narrazioni bibliche, coraniche e rabbiniche influenzano ancora oggi l’identità delle diverse comunità?
Sia gli ebrei israeliani che gli arabi palestinesi, cristiani e musulmani, sono in certa misura radicati nelle tradizioni e nelle pratiche religiose dei loro antenati. Tra gli ebrei israeliani, quasi la metà della popolazione è laica, ma la Bibbia continua a svolgere un ruolo importante nel discorso pubblico, in particolare nel definire il legame ebraico con la terra e nel fornire miti antichi di patriottismo e militarismo.
Molti, ma non tutti, gli ebrei israeliani religiosi moderni usano la Bibbia per promuovere l’espansione degli insediamenti ebraici nella Cisgiordania occupata e oltre. Alcuni fanno anche ricorso al discorso rabbinico per insistere sulla separazione tra ebrei e non ebrei. Alcuni estremisti mobilitano testi religiosi per legittimare la violenza contro gli arabi palestinesi.
Tra gli arabi palestinesi, gli attivisti politici musulmani religiosi sfruttano testi coranici e della tradizione islamica per promuovere la difesa della causa palestinese. Anche alcuni musulmani più estremisti utilizzano testi religiosi per insegnare ostilità verso gli ebrei e i loro sostenitori.
All’interno di ebraismo, cristianesimo e islam esistono diverse visioni di terra, popolo e promessa di eredità: come si confrontano queste teologie e quale lettura religiosa può aprire vie alla riconciliazione?
È importante affermare che questi antichi testi non parlano direttamente delle realtà moderne degli Stati-nazione, del nazionalismo etnico e delle ideologie politiche contemporanee. Ciascuna tradizione religiosa è stata mobilitata dagli ideologi per legittimare posizioni moderne su terra, popolo e Stato. I testi antichi devono essere “spremuti” per poter dire qualcosa di rilevante oggi. Le realtà a cui essi si riferivano migliaia di anni fa e il nostro contesto moderno sono profondamente diversi.
All’interno di ogni comunità religiosa, i testi vengono talvolta letti come se parlassero direttamente ai bisogni del presente. Gli ebrei sionisti scelgono testi che sottolineano promessa, conquista, possesso e difesa della terra, ignorando quelli che parlano di eguaglianza, universalità e superamento del particolarismo.
I cristiani sionisti, precedenti allo sviluppo del sionismo ebraico, si concentravano su testi che giustificavano la loro visione: che Gesù sarebbe tornato solo se gli ebrei fossero stati restaurati nella loro terra e che, una volta tornato, tutti i non credenti sarebbero periti.
I musulmani religiosi che promuovono la difesa della Palestina si concentrano su testi del Corano riguardanti guerra, resistenza e violenza, ignorando altri testi che promuovono armonia, dialogo e pace.
I costruttori di pace religiosi di tutte le comunità cercano testi e tradizioni alternativi, che sfidino le posizioni militanti oggi dominanti. La sfida non è solo offrire testi alternativi, ma anche decostruire l’uso dei testi per promuovere guerra, violenza ed esclusione.
Quali altre sfide pone questa guerra alla coscienza morale dei credenti, dentro e fuori la regione?
La sfida centrale è riconoscere che ogni essere umano è creato a immagine e somiglianza di Dio. Un ebreo israeliano non vale più di un arabo palestinese. Ogni uomo, donna e bambino ha diritto alla vita, alla libertà e alla dignità. La violenza non è un mezzo legittimo per risolvere un conflitto. Tuttavia, bisogna chiedersi: la religione, nella sua forma attuale, aiuta davvero le persone a riconoscere questo?
Viene da chiedersi: quale reale impatto hanno le posizioni della Santa Sede, delle autorità musulmane e di quelle rabbiniche?
La maggior parte di cristiani, ebrei e musulmani cercano l’autorità che meglio si adatta alle loro esigenze. I sionisti religiosi ebrei hanno creato autorità rabbiniche che forniscono loro il sostegno religioso necessario alle proprie posizioni ideologiche, moderate o estreme che siano. Lo stesso vale per molti musulmani e gruppi cristiani.
I cattolici si trovano in una posizione particolare: la Chiesa ha una struttura gerarchica e l’autorità religiosa è concentrata nel magistero della Santa Sede. Tuttavia, l’impatto reale della Santa Sede sulle posizioni dei cattolici all’interno del conflitto in Palestina e Israele non va sopravvalutato.
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