Donald Trump, elicottero di Stato alle spalle, ammette di non avere in programma un incontro ufficiale con papa Leone XIV, si fa (di nuovo) gagliardo del favore politico del fratello Louis Prevost e poche ore dopo un carro armato israeliano prende di mira la parrocchia cattolica della Santa Famiglia a Gaza City, aggiungendo tre vittime alle oltre 60 mila dello sterminio in atto nella Striscia. La storia – e la comunicazione – è fatta anche di convergenze.
Donald Trump – due divorzi, tre matrimoni e cinque figli da tre donne diverse – tiene in grande considerazione la famiglia. Tanto da sopravvalutarla, si direbbe, così come fa sistematicamente con le proprie capacità. È questa la sensazione trasmessa dallo sciocco tentativo di strumentalizzare la figura – prima ancora che la persona – di papa Leone XIV attraverso il fratello di questi, Louis Prevost.
73 anni, maggiore dei tre fratelli Prevost, Louis è un loquace veterano della Marina in pensione. Ma è un’altra la caratteristica che interessa a Trump (e ai raffinatissimi strateghi del suo entourage): le spiccate simpatie di Louis Prevost per il MAGA, il movimento “Make America Great Again” che unisce (univa?) Trump, Musk e altre personalità più che emblematiche del “sogno americano” del nostro tempo.
Le opinioni politiche di Louis Prevost hanno dato nell’occhio fin dalle prime ore dopo l’elezione del nuovo pontefice, soprattutto negli ambienti conservatori d’Oltreoceano. Senza troppo impegno, è bastata una veloce ricognizione dei contenuti pubblicati dal fratello di Leone XIV sui social nel corso degli anni per farsi un’idea della sua collocazione elettorale, fra endorsement alle posizioni “America First”, qualche commento fuori luogo su Gaza e insulti alla ex speaker democratica della Camera dei rappresentanti, la cattolica (poco ortodossa) Nancy Pelosi.
Così, non ci è voluto molto prima che un Donald Trump in crisi di risultati provasse ad includere Louis Prevost (e, indirettamente, il papa) nel proprio cerchio magico, sempre più ammaccato. Prima degli apprezzamenti fuori contesto dei giorni scorsi, risalgono a maggio, a due settimane dall’elezione di Leone XIV e a poche ore dall’ennesima telefonata fallimentare con Putin, le foto dell’incontro nello Studio Ovale della Casa Bianca tra il presidente statunitense, il suo vice J. D. Vance, Louis Prevost e la moglie Deborah. Nessun commento, sembra, sulla tenuta californiana della coppia, dopo l’ironia tagliente sull’eleganza di Zelensky. Un’immagine diffusa su X da una consigliera del presidente descrive invece il momento come un «grande incontro». Già prima di vedersi di persona, Trump aveva espresso il desiderio di «stringere la mano» e «abbracciare» Louis Prevost.

C’era un tempo in cui le trame della politica si concentravano sui nipoti (e qualche volta sui figli) dei pontefici. Oggi, la disarmante banalità del ricorso di Donald Trump alla strumentalizzazione del maggiore fra i Prevost dimostra quanto profondo sia l’ostacolo posto da un papa statunitense come Leone XIV alla realizzazione dell’agenda MAGA. La verità è infatti che per Donald Trump il primo pontefice statunitense è una pietra d’inciampo di non poco conto. E lo stile personale, comunicativo e pastorale di papa Prevost, differente rispetto a quello del predecessore Francesco, non fa che renderlo ancora più insidioso per Trump.
Gli appelli in favore di una pace autentica nei diversi teatri di conflitto, del rispetto della dignità di ogni persona, migranti compresi, e del superamento di ogni grave disuguaglianza esistenziale, ben lungi da un presunto “socialismo”, dimostrano che altri Stati Uniti sono possibili. Anzi, che tutta un’altra America è possibile.
Un’America che non contrappone, per interesse, Stati Uniti, Panama, Messico, Brasile, Canada e Groenlandia, bensì fondata sulla certezza che «nessun grido delle vittime innocenti della violenza, nessun lamento delle madri in lutto per i loro figli rimarrà inascoltato». Consapevole, com’era in quel sogno americano che non è mai stato solo statunitense, che «ciascuno di noi, nel corso della vita, si può ritrovare sano o malato, occupato o disoccupato, in patria o in terra straniera: la sua dignità però rimane sempre la stessa, quella di creatura voluta e amata da Dio». Un’America che sappia assumersi le proprie responsabilità nella «congiuntura storica che stiamo vivendo, in cui convergono guerre, cambiamenti climatici, crescenti disuguaglianze, migrazioni forzate e contrastate, povertà stigmatizzata, innovazioni tecnologiche dirompenti, precarietà del lavoro e dei diritti». Per non dire del peso crescente delle «parole gridate, non di rado le fake news e le tesi irrazionali di pochi prepotenti».
Insomma, pretendere di nascondere la polvere della propria incapacità politica sotto una bandiera a stelle e strisce, aggiungendovi per giunta quella biancogialla del Vaticano, è al di là di ogni verosimiglianza. Un precedente tentativo di Trump di strumentalizzare il papa – si trattava allora di Francesco, attraverso il segretario di Stato Usa Mike Pompeo – si era concluso con un deciso raffreddamento dei rapporti diplomatici, peraltro già tiepidi. Con buona pace della velleità di sedurre l’influente elettorato cattolico Usa, comunque raggiunto per altre vie. Semplicemente, le posizioni MAGA di Trump & Co. non potranno mai essere fatte proprie dalla Chiesa perché sono anticristiane, tanto quanto lo erano le cosiddette “progressiste” sostenute da Joe Biden. Per amor di Dio. Anzi, per amor di fratello.
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Che aggiungere di Trump &Co. Lui è machiavellico:
il fine giustifica i mezzi!