Da “clandestini” a cittadini. La lunga strada in salita

Leggi in 7 minuti

3 ottobre 2013: la morte di 400 persone al largo di Lampedusa. 4-5 ottobre 2025: la Chiesa celebra il Giubileo dei migranti e del mondo missionario. Sebbene non rifletta appieno la varietà della mobilità umana, dire “migranti” equivale – nella narrazione comune – a dire “immigrati stranieri”. Ma com’è cambiata l’immigrazione in Italia negli ultimi 25 anni, fra un Giubileo (ordinario) e l’altro?

Ascolta l'articolo

Sempre più Md. (Mohammad) e Inaya, mentre Amira e Laurentiu cedono il passo a Sofia e Matteo. È nelle storie e nei volti dei cittadini stranieri in Italia che emerge con più evidenza il cambiamento intercorso nelle caratteristiche nell’immigrazione nell’ultimo quarto di secolo. Da un lato, la conferma di alcuni scenari storici, come la forte presenza numerica di cittadine e cittadini romeni (oltre 1 milione nel 2024, in maggioranza donne) e albanesi (400 mila); dall’altro, il lento, graduale ma sostanziale cambiamento nella loro partecipazione al contesto italiano.

Questa si evidenzia non soltanto nel crescente radicamento socio-economico sul territorio, ma anche nel sentimento di inclusione culturale del quale – come metteva in luce l’Istat nel 2023 – una scelta di nomi per i nuovi nati e nate del tutto comune a quella dei cittadini italiani autoctoni è soltanto uno dei tratti più emblematici; infine, il delinearsi di nuove, consistenti, dinamiche di mobilità, come l’aumento degli ingressi dal Bangladesh, che negli ultimi anni ha condotto l’Italia a essere una delle mete europee privilegiate per gli emigranti di tale nazionalità, insieme al Regno Unito (cfr. lo studio di Morad-Sacchetto pubblicato per l’Organizzazione internazionale per le migrazioni nel 2020).

Guardare agli ultimi 25 anni dell’immigrazione in Italia non è soltanto un esercizio simbolico: alla fine degli anni Novanta il numero di cittadini stranieri residenti superava la soglia storica del primo milione, oggi quintuplicata. Un cambiamento di scenario che ha coinvolto tanto la composizione dei flussi e le ragioni delle partenze quanto le nazionalità di provenienza, insieme allo stile di presenza sui territori e all’atteggiamento della società e della politica.

Leggi anche:  Meglio 100 giorni da Leone

Al volgere del secondo millennio, gli stranieri residenti in Italia si stimavano essere poco meno di un milione e mezzo (2,5% della popolazione totale), prevalentemente di sesso maschile e di età compresa fra i 19 e i 40 anni. Le nazionalità più rappresentate erano quella marocchina (146 mila persone), albanese (115 mila) e filippina (61 mila), mentre si assisteva già a una contrazione dell’immigrazione dall’Asia e dal continente americano, in special modo settentrionale, a fronte di un aumento degli arrivi dall’Europa dell’ex blocco sovietico (Jugoslavia, con 55 mila presenze, e Romania, con poco più di 51 mila). A leggerla oggi, colpisce la sesta posizione per numerosità dei cittadini statunitensi (47 mila) e la decima dei tedeschi (35 mila), segno di un’immigrazione di differente tipologia, contesto e storia, che progressivamente è stata soppiantata dai nuovi flussi in ingresso, sostenuti anche dalla crescente economia informale italiana, di lavoratori impiegati per lo più nell’agricoltura, nell’edilizia e nel lavoro domestico.

25 anni dopo la situazione è molto cambiata. La presenza di oltre 1 milione di cittadini romeni – comunitari – regolarmente residenti in Italia dice di una crescita dal ritmo incalzante, almeno nei primi anni Duemila, che ha condotto il totale dei cittadini stranieri in Italia a superare oggi i 5,2 milioni (poco meno del 9% della popolazione complessiva). Numericamente più arretrati, ma non meno consistenti nell’aumento delle presenze, sono anche le comunità albanese (416 mila) e marocchina (412 mila), seguite da quelle cinese (308 mila) e ucraina (273 mila). Significativa è però soprattutto la definizione di nuove direttrici migratorie dal Sudest asiatico – Bangladesh (192 mila), India (171 mila) e Pakistan (159 mila), su tutti – segno dei nuovi caratteri dell’immigrazione.

Leggi anche:  Dal Giubileo a Sinner. Gli articoli più letti del 2024

Al cambiare della mobilità umana, è cambiata infatti l’Italia. Se l’ultimo decennio degli anni Novanta ha coinciso con la presa di coscienza – sociale, politica ed ecclesiale – della nuova mobilità che coinvolgeva la Penisola, non più soltanto in uscita, all’inizio del nuovo millennio la crescita della popolazione straniera in Italia si accompagnava a un inasprimento della crisi economica globale e alla paura della cosiddetta “invasione”. L’approccio securitario ai fenomeni migratori ha polarizzato il campo politico e, con esso, il dibattito sociale. L’attenzione mediatica su Lampedusa e, emblematicamente, sugli “sbarchi” di migranti dopo le traversate del Mediterraneo centrale ha sostenuto la narrazione di un “loro” contrapposto a un “noi”, suggerendo aspirazioni divergenti e interessi contrapposti.

Gli ingenti movimenti migratori originati dalle numerose crisi internazionali, a partire dalle Primavere arabe fino ai tragici conflitti in area mediorientale, hanno scosso le coscienze, insieme alle frequenti tragedie in mare, su tutte la morte di quasi 400 persone al largo di Lampedusa il 3 ottobre 2013. D’altro canto, si è trattato di un’empatia di breve durata, che ha attraversato rapidamente le maglie larghe dell’indifferenza mediatica, politica e sociale. In pochi anni la strumentalizzazione elettorale, sostenuta da una narrazione mediatica troppo spesso miope, hanno fatto dei “clandestini” il capro espiatorio delle inquietudini, delle contraddizioni e delle ineguaglianze della società italiana, europea e mondiale. Il risultato è stato un progressivo disinvestimento nelle politiche a sostegno dell’inclusione dei cittadini stranieri, a favore di presunte soluzioni di chiusura.

L’approccio nazionale alla mobilità umana in ingresso è divenuto sempre più un riflesso delle politiche europee, orientate al contenimento dei flussi più che a un lungimirante programma di gestione strutturale del fenomeno, che promuova vie legali di ingresso, accoglienza e inclusione. A farne le spese sono anzitutto i minori stranieri, inseriti in un sistema di accoglienza e poi in un sistema scolastico spesso tutt’altro che attenti alle loro esigenze; i lavoratori immigrati, ostaggio di contesti produttivi che sovente li sfruttano, fino a casi estremi di riduzione in schiavitù; i cittadini stranieri che, pur vivendo e lavorando da molti anni in Italia, faticano a regolarizzare la propria presenza a causa di un sistema normativo irrealistico; i milioni di giovani con background migratorio nati in Italia, che vedono disattese le speranze e le opportunità di una piena partecipazione civile, anche attraverso la cittadinanza.

Leggi anche:  La voragine spettacolare

Fra il Grande Giubileo del 2000, il primo «per tutte le culture», come qualcuno allora lo ha definito, e l’Anno Santo che stiamo vivendo accanto ai «migranti, missionari di speranza», è avvenuta una metamorfosi che sotto lo stimolo della mobilità umana ha rimodellato la società, l’economia, la politica, la scuola, le famiglie, la cultura, il tessuto urbano e il panorama religioso della Penisola.

Un volto multiculturale nuovo e insieme antico, che sarà tanto più valorizzato quanto l’Italia saprà rafforzare i canali legali per l’ingresso dei lavoratori e i ricongiungimenti familiari; snellire una burocrazia che genera esclusione, irregolarità e abusi; promuovere programmi di inclusione a livello nazionale e locale; cooperare con l’Unione europea per una politica migratoria condivisa, che sappia fare dei tanti volti della mobilità il volto composito di un continente in cammino.

Simone Varisco | Migranti Press 7/8 2025

Restiamo in contatto

Iscriviti alla newsletter per aggiornamenti sui nuovi contenuti

© Vuoi riprodurre integralmente un articolo? Scrivimi.

Sostieni Caffestoria.it


Lascia un commento

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.