Quando anche Dall’Oglio ammise le armi chimiche dei ribelli siriani

Leggi in 5 minuti

In inglese si chiama false flag, falsa bandiera, ma l’unico emblema è quello della crudeltà. La prima vittima della guerra è la verità, si dice. Nella guerra in Siria è un po’ più vero. E così, fra armi chimiche ed etica della rivoluzione, si scrive la nuova pagina di una tragedia disumana, dove di certo ci sono soltanto i morti e il dolore. Quelli sì innocenti.

+++

«Ma guardiamo alla cosa dal punto di vista etico della rivoluzione siriana. Ammettiamo per un istante che ci fossimo appropriati di armi chimiche sottratte agli arsenali di regime conquistati eroicamente. Immaginiamo di avere la capacità di usarle contro le forze armate del regime per risolvere il conflitto a nostro favore e salvare il nostro popolo da morte certa. Cosa ci sarebbe d’immorale? Tutte le armi possibili sono usate contro di noi». A scriverlo, il 19 luglio 2013 in uno dei suoi ultimi articoli per l’Huffington Post, Paolo Dall’Oglio, il gesuita che soltanto dieci giorni dopo sarebbe stato rapito in Siria e da allora scomparso nel nulla.

«Quando dieci mesi fa il papa Benedetto visitò il Libano – aggiungeva in quell’occasione il sacerdote – disse, sicuramente per effetto delle opinioni dei prelati mediorientali favorevoli al regime del clan Assad, che era peccato mortale vendere le armi ai contendenti nella guerra intestina siriana. In quell’occasione twittai che se era peccato vendercele, allora bisognava darcele gratis! Visto che il regime torturatore, e distruttore del popolo con ogni mezzo, di armi ne ha più che abbastanza, per non parlare degli amici pronti a donargliele».

In inglese si chiama false flag, falsa bandiera, ma l’unico emblema è quello della disumanità. Un termine che riporta alla mente pagine terribili di guerre più sporche delle altre, come quella combattuta in Bosnia ed Erzegovina. È già successo anche in Siria. Era il 21 agosto 2013 a Ghuta, sobborgo a est di Damasco in mano ai ribelli, colpito da missili contenenti sarin, proprio mentre gli ispettori dell’ONU si trovavano nel Paese. Centinaia – forse oltre un migliaio – le vittime civili, fra le quali numerosi bambini, sottratti alla cristiana pietà per essere dati in pasto ad un pubblico sempre più affamato di spettacolarismo. Come da copione, anche allora ribelli e governo siriano si accusarono a vicenda. Le successive indagini dell’ONU poterono stabilire soltanto l’effettivo utilizzo di armi chimiche – peraltro ampiamente impiegate nel conflitto tra le due parti in Siria, anche contro i civili – senza individuare i responsabili dell’attacco.

Prima del rapporto giunse però l’incauta presa di posizione del presidente Obama sulla celebre “linea rossa” che Assad aveva valicato e che non avrebbe potuto condurre ad altro che ad un intervento militare diretto degli Usa in Siria. Intervento che alla fine non ci fu e sul quale Obama si giocò buona parte della credibilità interna ed internazionale. Se la propaganda è da sempre la protagonista di ogni guerra, è facile immaginare quanta ne venga gettata quotidianamente sulla bilancia di un conflitto che appare ogni giorno sempre meno limitato al territorio siriano e invece sempre più allargato all’intero campo geopolitico internazionale.

È così che le Ong non sono più Ong, o almeno non come siamo abituati a pensarle. È il caso del cosiddetto Osservatorio Siriano per i Diritti Umani (SOHR), un’altisonante bufala che si è tornati ad invocare più volte in queste ore. Tra le organizzazioni più accreditate dai media internazionali, il SOHR ha sede a Londra, è composto dal solo Rami Abdulrahman, un commerciante di origine siriana, e pare avere alle spalle il denaro del governo inglese e gli interessi degli estremisti arabi sunniti. Le cose non vanno meglio sull’altra sponda dell’Atlantico. La posizione dell’amministrazione Trump – che vuole Assad dietro all’uso di armi chimiche, ma non ne chiede più la destituzione – è ancora più incoerente (leggasi stupida) di quella della presidenza Obama.

«La prima vittima della guerra è la verità», sembra abbia detto nel 1917 il senatore americano Hiram Johnson. È vero ovunque, anche nel “mondo libero” delle anime belle occidentali. Ma nella guerra in Siria è un po’ più vero. Cui prodest? si domandano alcuni dalle pagine dei quotidiani, questa mattina. Certo non Assad, per il quale l’assassinio di una settantina di civili non cambia nulla sul piano militare, ma che su quello diplomatico e d’immagine è devastante. Un regalo ai cosiddetti ribelli – e ai loro più o meno occulti sponsor – una volta di più rafforzati dal possibile inasprimento delle misure contro il presidente siriano. E così, fra armi chimiche sulle quali si sparlerà per settimane ed etica della rivoluzione, si scrive la nuova pagina di una tragedia disumana, dove di certo ci sono soltanto i morti e il dolore ignorato di migliaia di genitori, figli, sposi, nonni. Quello sì realissimo e innocente.

Restiamo in contatto

Iscriviti alla newsletter per aggiornamenti sui nuovi contenuti

© Vuoi riprodurre integralmente un articolo? Scrivimi.

Sostieni Caffestoria.it


Lascia un commento

This site uses Akismet to reduce spam. Learn how your comment data is processed.