McJesus: il Cristianesimo fast food indigesto ad Oriente

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Se una scultura blasfema offende i cattolici d’Oriente, ma può andare bene per quelli europei, abbiamo un problema. Soltanto una questione di sensibilità differenti? Forse un’occasione per riflettere sul valore (perduto) della testimonianza.

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L’esposizione di una scultura blasfema ha suscitato negli ultimi giorni pesanti reazioni da parte della comunità cattolica in Israele, con disordini ad Haifa. Al centro dello scontro il “McJesus” del controverso artista finlandese Jani Leinonen: la rappresentazione, quantomeno discutibile, di una Crocifissione nella quale il Cristo è sostituito dal clown simbolo della più celebre multinazionale degli hamburger. Nelle intenzioni una forma di denuncia contro il lato oscuro del capitalismo, che però non ha incontrato il favore della locale comunità cristiana.

L’esposizione dell’opera presso il Haifa Museum of Art – si dice contro l’opinione dello stesso Leinonen – ha infatti generato un moto di protesta fra i cattolici dell’area, sfociato in un lancio di sassi e molotov contro la struttura tale da richiedere l’intervento delle forze dell’ordine. Sembra che la scultura per ora rimarrà al suo posto, ma che verrà nascosta agli occhi dei credenti, per lo meno di quelli meno avvezzi ad un certo tipo di arte. Se tale si può definire.

L’Assemblea degli Ordinari Cattolici di Terra Santa, che rappresenta i diversi riti cattolici nella regione, ha riconosciuto l’intento originario di critica alla società consumistica, ma ha anche denunciato l’abuso del più importante simbolo della Cristianità. Fa riflettere, tra le numerose voci critiche, quella dell’arcieparca di Akka dei Melchiti, comunità cattolica di rito orientale, mons. Georges Bacouni, secondo il quale «ciò che è appropriato per l’Europa non lo è per noi», cattolici d’Oriente. Soltanto una questione di diversa sensibilità religiosa, se non artistica? Non proprio, se permettiamo alla questione di interrogarci più nel profondo.

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Le comunità cristiane d’Oriente si offrono al resto della Chiesa universale e al mondo come luminosi esempi di coerenza evangelica. Inserite in contesti nei quali il Cristianesimo è minoranza, ancora bagnate dal sangue dei martiri, minacciate nella loro stessa esistenza più ancora dai calcoli della geopolitica che dalla violenza della persecuzione, le Chiese orientali sono un atto di accusa nei confronti dello “stile occidentale” di vivere la fede, nel quale il Cristianesimo è sempre più solo presunto.

A minare la credibilità dei suoi testimoni – il clero anzitutto, ma non dimentichiamo i laici e, in taluni casi, le congregazioni religiose femminili – sono gli scandali pedofilia e pederastia, il diffuso malaffare sessuale ed economico e, più in generale, il venir meno degli elementi distintivi dei cristiani rispetto al resto della società – per natura evangelica “stranieri nel mondo”. In ultima analisi, una quasi scontata incoerenza fra “teoria” spirituale e “pratica” di vita quotidiana.

Le festività che ci hanno accompagnati verso il nuovo anno sono state, da questo punto di vista, illuminanti. Siamo riusciti a conquistare l’altro a ciò che di più lontano c’è dal Natale – il consumismo – ma ad attrarre pochissimi al mistero della nascita di Cristo. Negozi pieni e chiese vuote, per non parlare dei fonti battesimali. Non stupisce, tenendo conto che in Europa – Italia compresa – soltanto una minoranza dei cattolici che frequentano la Messa – crede in Dio. A pensare che l’Occidente sia “cristiano” restano ormai soltanto i terroristi. E non c’è da andarne orgogliosi.

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