Domenica di Lazzaro. V Domenica di Quaresima. Respiro. L’amore che non respira nella Creatura di Frankenstein. Commento al Vangelo di rito ambrosiano, di don Alessandro Noseda.
✠ Vangelo Gv 11, 1-53
In quel tempo. Un certo Lazzaro di Betània, il villaggio di Maria e di Marta sua sorella, era malato. Maria era quella che cosparse di profumo il Signore e gli asciugò i piedi con i suoi capelli; suo fratello Lazzaro era malato. Le sorelle mandarono dunque a dirgli: «Signore, ecco, colui che tu ami è malato». All’udire questo, Gesù disse: «Questa malattia non porterà alla morte, ma è per la gloria di Dio, affinché per mezzo di essa il Figlio di Dio venga glorificato». Gesù amava Marta e sua sorella e Lazzaro. Quando sentì che era malato, rimase per due giorni nel luogo dove si trovava. Poi disse ai discepoli: «Andiamo di nuovo in Giudea!». I discepoli gli dissero: «Rabbì, poco fa i Giudei cercavano di lapidarti e tu ci vai di nuovo?». Gesù rispose: «Non sono forse dodici le ore del giorno? Se uno cammina di giorno, non inciampa, perché vede la luce di questo mondo; ma se cammina di notte, inciampa, perché la luce non è in lui». Disse queste cose e poi soggiunse loro: «Lazzaro, il nostro amico, si è addormentato; ma io vado a svegliarlo». Gli dissero allora i discepoli: «Signore, se si è addormentato, si salverà». Gesù aveva parlato della morte di lui; essi invece pensarono che parlasse del riposo del sonno. Allora Gesù disse loro apertamente: «Lazzaro è morto e io sono contento per voi di non essere stato là, affinché voi crediate; ma andiamo da lui!». Allora Tommaso, chiamato Dìdimo, disse agli altri discepoli: «Andiamo anche noi a morire con lui!». Quando Gesù arrivò, trovò Lazzaro che già da quattro giorni era nel sepolcro. Betània distava da Gerusalemme meno di tre chilometri e molti Giudei erano venuti da Marta e Maria a consolarle per il fratello. Marta dunque, come udì che veniva Gesù, gli andò incontro; Maria invece stava seduta in casa. Marta disse a Gesù: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto! Ma anche ora so che qualunque cosa tu chiederai a Dio, Dio te la concederà». Gesù le disse: «Tuo fratello risorgerà». Gli rispose Marta: «So che risorgerà nella risurrezione dell’ultimo giorno». Gesù le disse: «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno. Credi questo?». Gli rispose: «Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo». Dette queste parole, andò a chiamare Maria, sua sorella, e di nascosto le disse: «Il Maestro è qui e ti chiama». Udito questo, ella si alzò subito e andò da lui. Gesù non era entrato nel villaggio, ma si trovava ancora là dove Marta gli era andata incontro. Allora i Giudei, che erano in casa con lei a consolarla, vedendo Maria alzarsi in fretta e uscire, la seguirono, pensando che andasse a piangere al sepolcro. Quando Maria giunse dove si trovava Gesù, appena lo vide si gettò ai suoi piedi dicendogli: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!». Gesù allora, quando la vide piangere, e piangere anche i Giudei che erano venuti con lei, si commosse profondamente e, molto turbato, domandò: «Dove lo avete posto?». Gli dissero: «Signore, vieni a vedere!». Gesù scoppiò in pianto. Dissero allora i Giudei: «Guarda come lo amava!». Ma alcuni di loro dissero: «Lui, che ha aperto gli occhi al cieco, non poteva anche far sì che costui non morisse?». Allora Gesù, ancora una volta commosso profondamente, si recò al sepolcro: era una grotta e contro di essa era posta una pietra. Disse Gesù: «Togliete la pietra!». Gli rispose Marta, la sorella del morto: «Signore, manda già cattivo odore: è lì da quattro giorni». Le disse Gesù: «Non ti ho detto che, se crederai, vedrai la gloria di Dio?». Tolsero dunque la pietra. Gesù allora alzò gli occhi e disse: «Padre, ti rendo grazie perché mi hai ascoltato. Io sapevo che mi dai sempre ascolto, ma l’ho detto per la gente che mi sta attorno, perché credano che tu mi hai mandato». Detto questo, gridò a gran voce: «Lazzaro, vieni fuori!». Il morto uscì, i piedi e le mani legati con bende, e il viso avvolto da un sudario. Gesù disse loro: «Liberàtelo e lasciàtelo andare». Molti dei Giudei che erano venuti da Maria, alla vista di ciò che egli aveva compiuto, credettero in lui. Ma alcuni di loro andarono dai farisei e riferirono loro quello che Gesù aveva fatto. Allora i capi dei sacerdoti e i farisei riunirono il sinedrio e dissero: «Che cosa facciamo? Quest’uomo compie molti segni. Se lo lasciamo continuare così, tutti crederanno in lui, verranno i Romani e distruggeranno il nostro tempio e la nostra nazione». Ma uno di loro, Caifa, che era sommo sacerdote quell’anno, disse loro: «Voi non capite nulla! Non vi rendete conto che è conveniente per voi che un solo uomo muoia per il popolo, e non vada in rovina la nazione intera!». Questo però non lo disse da se stesso, ma, essendo sommo sacerdote quell’anno, profetizzò che Gesù doveva morire per la nazione; e non soltanto per la nazione, ma anche per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi. Da quel giorno dunque decisero di ucciderlo.
“Ho forse chiesto io, o Creatore, dalla mia argilla di farmi uomo?
Ti ho forse invitato io, dall’oscurità, a promuovermi?”
(frase tratta dal Paradiso perduto di John Milton, che compare all’inizio del Frankenstein di Mary Shelley)
Nei Vangeli i sentimenti di Gesù emergono spesso. Gli autori li raccontano mettendoli qua e là, come i fiori in un prato: se non ci fossero, non si riuscirebbe a rendere l’idea della primavera che questa buona notizia di Gesù porta con sé. E forse, se mancassero, la vita e soprattutto la morte di Gesù sarebbero completamente incomprensibili.
Nel brano della risurrezione di Lazzaro, però, è come se di questi fiori ce ne fossero dei mazzi interi. Giovanni insiste a più riprese sul fatto che Gesù “amava” Lazzaro, ed era molto amico di lui, come delle sorelle Marta e Maria: lo dice in apertura, quando arriva la notizia della malattia; lo ribadisce poche righe dopo, non appena il Maestro prende la rischiosa decisione di tornare in Giudea; lo conferma all’arrivo di Gesù dai suoi amici, quando i toni si fanno molto intimi e Gesù viene descritto come “turbato” e “profondamente commosso”, al punto da suscitare la reazione dei Giudei: “Vedi come lo amava?”.
Mi sono chiesto il perché di tanta insistenza in un brano che ha un solo messaggio da darci: chi crede in Gesù, anche se muore, vivrà. Chi crede in Lui, non morirà in eterno.
Il pensiero ha cominciato a correre verso il sogno dell’uomo di riportare in vita i propri morti o di dare la vita alla materia inerte. Un sogno sempre frustrato. Uno dei classici su questo tema è il Frankenstein di Mary Shelley, composto nel 1816: il dottor Victor Frankenstein è uno scienziato che, sconvolto dalla morte della madre, vorrebbe generare la vita e produrre esseri viventi dalla materia inanimata. Apparentemente riesce nel suo tentativo, ma ciò che crea si rivela deforme e mostruoso. Alterne vicende conducono la Creatura di Frankenstein alla fuga, in un percorso autodistruttivo di odio e rimorsi che la conducono infine a darsi la morte.
La vicenda di Frankenstein conferma che quando l’uomo cerca di trasformare ciò che è inerte in materia vivente, e vorrebbe soffiare anche lui nell’argilla inanimata per dare l’alito della vita, è come se il respiro gli mancasse: non ce n’è mai abbastanza.
Torno al brano di Lazzaro e ai versetti in cui Giovanni, nella sua prima lettera (cap. 4) scrive a chiare lettere che Dio è amore. Permettetemi di parafrasare: l’uomo non potrà mai richiamare qualcuno dalla morte o soffiare nell’argilla l’alito di vita perché per farlo ci vuole l’amore di Dio.
La Creatura del dottor Frankenstein, che egli non a caso chiama “il demone”, non è uomo, né tantomeno si sente figlio amato, ma creatura rigettata, che dall’inizio alla fine sperimenta su di sé la mancanza di un amore sufficiente per vivere.
Il brano del Vangelo di questa domenica ci dice il contrario: “Vedi come lo amava?”. È per amore che, attraverso Cristo, furono create tutte le cose, ed è nel suo amore che noi vivremo in eterno. Questa è la buona notizia: il respiro non mancherà. È senza fine. Per sempre.
Don Alessandro
Don Alessandro Noseda. Nato a Cantù nel 1974. Dopo gli studi classici e la formazione teologica nel Seminario di Venegono, viene ordinato sacerdote nel 2000 dal card. Carlo Maria Martini. Svolge dapprima il suo ministero a Milano come assistente degli Oratori della parrocchia di San Giovanni Battista alla Bicocca e successivamente della parrocchia del Santissimo Redentore. Dal 2007 al 2011 è cappellano presso l’Università degli Studi di Milano Bicocca. Attualmente è parroco nella parrocchia di Gesù a Nazaret, Quartiere Adriano.
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