La Parola, la Chiesa, il mondo. Commento al Vangelo di rito ambrosiano 18 aprile 2021

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Domenica 18 aprile 2021. III Domenica di Pasqua. In Albis depositis. Anno B. Commento al Vangelo di rito ambrosiano, di don Paolo Alliata.


In quel tempo. Il Signore Gesù disse ai discepoli: «Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me. Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore. Se no, vi avrei mai detto: “Vado a prepararvi un posto”? Quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, verrò di nuovo e vi prenderò con me, perché dove sono io siate anche voi. E del luogo dove io vado, conoscete la via». Gli disse Tommaso: «Signore, non sappiamo dove vai; come possiamo conoscere la via?». Gli disse Gesù: «Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me. Se avete conosciuto me, conoscerete anche il Padre mio: fin da ora lo conoscete e lo avete veduto». Gli disse Filippo: «Signore, mostraci il Padre e ci basta». Gli rispose Gesù: «Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me, ha visto il Padre. Come puoi tu dire: “Mostraci il Padre”? Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me? Le parole che io vi dico, non le dico da me stesso; ma il Padre, che rimane in me, compie le sue opere. Credete a me: io sono nel Padre e il Padre è in me».
(Gv 14, 1-11a)

“Nel mio giardino ho un cespo di rosmarino. È in tutto identico agli altri cespi di rosmarino che sono in questo mondo […] tranne che in una cosa. Fu mio padre a darmi la talea, rametto spezzato, molto tempo fa. Mio padre ormai è morto. Il rosmarino ha conservato il suo gesto. […] Gli amici che non conoscono il segreto: sentono il profumo, vedono il verde… Se li interrogo su quell’arbusto, mi diranno che lo vedono. La loro risposta mi ripeterà questa presenza silenziosa e fedele: il cespo di rosmarino. Ma non andrà oltre. La bocca è prigioniera degli occhi. Aggrappata al suolo. Le mancano le parole che le permettano di volare… Io solo, a partire dal rosmarino, potrei parlare di un’assenza: qualcuno che non è lì, ma che lo è già stato… E dalla pianta passo a un volto; e mi ricordo di risa, di gioie, di tristezze…
Ecco perché lo spazio attorno al rosmarino è magico. La memoria fa volare l’immaginazione, e questa riempie l’aria di cose umane che hanno a che fare con l’amicizia e la lealtà di numerosi anni vissuti assieme. Che bello! Che ci siano cose che sono più che cose, cose che ci fanno ricordare… […] Cose presenti che ci aprono il mondo delle assenze… Nostalgia non è forse questo? Sentire che manca qualcosa, qualcuno, che il cuore desidera e che è lontano… Ma l’assenza non basta. Ci sono molte cose che si sono perdute e sono rimaste indietro ma di cui non proviamo nostalgia. Il fatto è che non amiamo. La nostalgia nasce quando esistono amore e assenza. Quando le cose destano nostalgie e fanno germogliare nel cuore la memoria dell’amore e il desiderio del ritorno, noi diciamo che sono dei sacramenti. Sacramento è questo: segno visibile di un’assenza, simbolo che ci fa pensare all’indietro. Come è accaduto per Gesù, che poco prima della partenza realizzò un memoriale di nostalgia e di attesa”.

(Rubem Alves, Il canto della vita)

I capitoli dal 13 al 17 del Vangelo di Giovanni sono una lunga immersione nella cena di addio di Gesù ai suoi. Il maestro lava i piedi ai discepoli, consegnando loro un testamento in azione e un lungo discorso di ricapitolazione della sua vita e di apertura di nuovi orizzonti.
Più di una volta, in precedenza, Gesù ha parlato di una sua dipartita. Appena prima delle parole che leggiamo nella pagina di oggi ha detto ai discepoli: “Dove io vado voi non potete venire” (13,33); e a Pietro che insiste: “Signore, dove vai?” e “Perché non posso seguirti ora?”, risponde: “Dove io vado per ora tu non puoi seguirmi”. Gesù prepara i suoi al distacco traumatico della sua morte violenta e ingiusta, ma loro faticano ad accogliere la prospettiva, e in un modo o nell’altro recalcitrano.

Nel quarto Vangelo non c’è riferimento esplicito all’istituzione dell’Eucaristia. Sono i tre sinottici (Matteo, Marco e Luca) a raccontare di gesti e parole di Gesù su pane e vino. Giochiamo a intrecciare la prospettiva dei sinottici e quella di Giovanni… Dove va Gesù? “Vado al Padre”, ha detto. Entra in una più profonda intimità con lui, resa possibile dall’accettazione di una morte iniqua in ragione dell’amore. Il buon pastore, aveva detto Gesù, “depone la sua vita per le pecore” e così diventa “la porta delle pecore”. Gesù vive il passaggio della sua morte (la sua “ora”, nel linguaggio di Giovanni) in un modo tale che ne risulterà un effetto: sfonderà il muro cieco della non-più-vita per spalancarvi una via di accesso al Padre. In forza di questo dirompente varco aperto da Gesù, chi vorrà stargli dietro troverà il sentiero per uscire incontro al Padre.

Ma questo non riguarda solo il passaggio della morte personale. Ha a che fare con “la vita eterna”, che per Giovanni è la vita nell’amore, la vita vissuta in pienezza già nel tempo sotto il cielo. Gesù dice ai suoi: “Quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, verrò di nuovo e vi prenderò con me, perché dove sono io siate anche voi”. Sta dicendo: dopo la mia morte troverò il modo di rendermi presente, di creare le condizioni perché possiamo ancora stare insieme. E il primo modo è questo: vi lascio dei gesti e delle parole. Vi lascio un rito: il pane, il vino, le parole che li incendiano. Sarò presente in quei gesti e in quelle parole: quando li rivivrete, facendolo “in memoria di me”, io sarò con voi, celebrerò la potenza e la profondità dell’Amore insieme a voi. Come dice Rubem Alves: quei gesti e parole sono come il cespo di rosmarino regalatogli dal padre. Il luogo di una assenza presente, di una nostalgia pregna di memoria, e di un attesa aperta sul futuro.

“Si mangia la cena, sorge l’incantesimo, sono lanciati i fili invisibili della nostalgia e dell’attesa, e a partire di là si danno la mano uomini e donne che hanno negli occhi quel segno triste/gioioso della nostalgia e della speranza. Dev’essere lo stesso con chiunque ami e si trovi lontano e altro non abbia nelle mani che il fiore secco, la poesia, i ricordi, una parola… Così è la comunità dei cristiani, questa cosa che si chiama Chiesa: insieme, cospiranti, le mani unite, mangiano il pane, bevono il vino e sentono una nostalgia/speranza senza fine…” (ibid.).

Il sacramento è una nuova forma di presenza: non è una dipendenza da una vecchia forma di presenza. Nel sacramento la relazione tra chi si ama evolve, conosce il passaggio ad una sua forma nuova, entra in una fase diversa, che chiede di essere esplorata.

Quando celebriamo l’Eucaristia, quando ascoltiamo la Parola, quando viviamo nell’amore, noi esploriamo qualcosa della profondità della presenza di Gesù al mondo, e, in lui, della Presenza e dell’opera del Padre.

Davvero celebro così l’incontro con l’Amore? Siamo sempre principianti nell’avventuroso cammino.

Il Signore ci accompagni.

Don Paolo Alliata

Don Paolo Alliata. Nato a Milano nel 1971, dopo la laurea in Lettere classiche all’Università degli Studi di Milano, viene ordinato sacerdote nel 2000 dal card. Carlo Maria Martini. Attualmente è vicario della comunità pastorale Paolo VI per la parrocchia di Santa Maria Incoronata a Milano. Autore di testi teatrali sull’Antico e sul Nuovo Testamento, è responsabile dell’Ufficio per l’Apostolato Biblico della Diocesi di Milano. Fra le sue pubblicazioni, Dove Dio respira di nascosto. Tra le pagine dei grandi classici (Milano, Ponte alle Grazie, 2018) e C’era come un fuoco ardente. La forza dei sentimenti tra Vangelo e letteratura (Milano, Ponte alle Grazie, 2019). Da due anni le sue omelie sono raccolte su un canale YouTube.

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