Domenica 13 dicembre 2020. V Domenica di Avvento, Anno B. Il Precursore. Commento al Vangelo di rito ambrosiano, di don Paolo Alliata.
✠ In quel tempo. Questa è la testimonianza di Giovanni, quando i Giudei gli inviarono da Gerusalemme sacerdoti e leviti a interrogarlo: «Tu, chi sei?». Egli confessò e non negò. Confessò: «Io non sono il Cristo». Allora gli chiesero: «Chi sei, dunque? Sei tu Elia?». «Non lo sono», disse. «Sei tu il profeta?». «No», rispose. Gli dissero allora: «Chi sei? Perché possiamo dare una risposta a coloro che ci hanno mandato. Che cosa dici di te stesso?». Rispose: «Io sono voce di uno che grida nel deserto: Rendete diritta la via del Signore, come disse il profeta Isaia». Quelli che erano stati inviati venivano dai farisei. Essi lo interrogarono e gli dissero: «Perché dunque tu battezzi, se non sei il Cristo, né Elia, né il profeta?». Giovanni rispose loro: «Io battezzo nell’acqua. In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete, colui che viene dopo di me, ed era prima di me: a lui io non sono degno di slegare il laccio del sandalo». Questo avvenne in Betània, al di là del Giordano, dove Giovanni stava battezzando.
(Gv 1, 19-27a. 15c. 27b-28)
Nuňez è un giovane sudamericano, un montanaro della regione di Quito. Un giorno, durante una scalata, scivola rovinosamente in una delle valli sottostanti. È la leggendaria “valle dei ciechi”, rimasta isolata per secoli da ogni contatto con il mondo esterno, e i cui abitanti sono stati ridotti a totale cecità da un morbo antico. Il rapporto di Nuňez con gli abitanti della valle è da subito difficile.
Dapprima egli cercò in varie occasioni di parlar loro della vista. “State a sentire, voialtri” diceva. “Ci sono cose in me che non comprendete”. A volte lo ascoltavano, uno o due di loro; sedevano con il viso basso e le orecchie tese verso di lui, a comprendere, ed egli si sforzava di spiegare cos’era il vedere. […] Nuňez parlava della bellezza del vedere, del guardare le montagne, dei cieli e dell’aurora, ed essi lo ascoltavano con un’incredulità divertita che presto si mutò in biasimo. Gli dissero che non esistevano montagne di sorta, ma che le rocce dove pascolavano i lama erano il confine del mondo; di là si innalzava un tetto cavernoso dell’universo, donde cadevano la rugiada e le valanghe; e quando egli sostenne vigorosamente che il mondo non aveva fine né tetto quali essi supponevano, dissero che i suoi pensieri erano cattivi. Il cielo, le nuvole, le stelle, dalla descrizione che egli riusciva a farne, sembravano a loro un orrido vuoto, una terribile vacuità, in luogo del levigato tetto universale in cui essi credevano (era per loro un articolo di fede che la volta della caverna fosse squisitamente liscia al tatto).
(H. G. Wells, Nel paese dei ciechi)
Giovanni il Battista è tra le autorità giudaiche che lo interrogano come Nuňez tra i ciechi della valle. Anche Giovanni è impegnato a raccontare un mondo diverso da quello che i suoi ascoltatori possono immaginare. Cerca di incendiare la loro fantasia, di accendere il loro sguardo spento in immagini interiori. Vuole suscitare in loro la consapevolezza che il mondo è più vasto, il cielo più profondo. Giovanni cerca di liberare chi ha davanti dalla grigia tristezza di un cielo blindato, un tetto cavernoso dell’universo.
I ciechi ascoltano perplessi il racconto di Nuňez. Poi la perplessità si inacidisce in ostilità. Hanno paura del mondo che il giovane va raccontando, le sue immagini sono troppo ampie e incomprensibili. Dissero che i suoi pensieri erano cattivi. Il cielo, le nuvole, le stelle, dalla descrizione che egli riusciva a farne, sembravano a loro un orrido vuoto, una terribile vacuità.
Il prigioniero ha paura di esser liberato. Non ha il coraggio di accogliere la parola che lo libera dalla caverna che lo chiude. Si difende dal fremito di libertà ed orgoglio che lo tenta. La parola profetica è impegnata ad aprire a una consapevolezza più profonda della natura delle cose, della meravigliosa vastità del mondo, della imponderabile ricchezza della vita.
“Viene uno che è più forte di me”. E più avanti: “Ho visto lo Spirito scendere come una colomba dal cielo e posarsi su di lui […] è colui che battezza in Spirito Santo”. Il profeta racconta di un cielo aperto e profondissimo, dal fondo del quale lo Spirito di Dio si fa avanti come una cosmica potenza di perdono. Il gioioso uragano del Cielo si raccoglie nel frullo d’ali della colomba. Giovanni cerca di farsi comprensibile con immagini che suggeriscano e accompagnino oltre la soglia, ma chi lo ascolta si rinserra nel già noto e nella rassicurante povertà di un mondo senza sbocchi.
L’Avvento è il tempo che ci vuole destare alla grande avventura di osare il mondo nuovo. Il mondo così com’è: sempre più ampio e profondo di quel che ci limitiamo a considerare. Sempre più ricco di quel che i nostri sguardi di cenere sanno cogliere.
L’avventura è iniziata. Ne vale proprio la pena. Il Signore ci accompagni.
Don Paolo Alliata
Don Paolo Alliata. Nato a Milano nel 1971, dopo la laurea in Lettere classiche all’Università degli Studi di Milano, viene ordinato sacerdote nel 2000 dal card. Carlo Maria Martini. Attualmente è vicario della comunità pastorale Paolo VI per la parrocchia di Santa Maria Incoronata a Milano. Autore di testi teatrali sull’Antico e sul Nuovo Testamento, è responsabile dell’Ufficio per l’Apostolato Biblico della Diocesi di Milano. Fra le sue pubblicazioni, Dove Dio respira di nascosto. Tra le pagine dei grandi classici (Milano, Ponte alle Grazie, 2018) e C’era come un fuoco ardente. La forza dei sentimenti tra Vangelo e letteratura (Milano, Ponte alle Grazie, 2019). Da due anni le sue omelie sono raccolte su un canale YouTube.
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