La faccia brutta della fine

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L’Amministrazione Trump inaugura la “Presidential Walk of Fame” (così la definisce su X l’assistente presidenziale, Margo Martin), un lungo corridoio con le foto dei presidenti degli Stati Uniti. Un’americanata che potrebbe stare bene soltanto su un marciapiede di Los Angeles o nell’ala ovest della Casa Bianca. Ma c’è dell’arte che merita di essere osservata.

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No, non si tratta dell’autopenna – un dispositivo per la firma automatica – ritratta al posto del volto di Joe Biden. La provocazione, che ha catturato la curiosità internazionale, ha un intento chiaro: delegittimare ulteriormente l’operato del predecessore (tutt’altro che privo di ombre), su cui sta già indagando una commissione a guida repubblicana.

Si tratta di un dettaglio “artistico” ben più interessante. Genuini, posticci o ipocriti, i sorrisi patinati degli inquilini della Casa Bianca sono i protagonisti della parete intonacata di fresco. Quasi per tutti, almeno. Perché Donald Trump non sorride, né al primo né al secondo mandato. Labbra e fronte sono piuttosto inarcate in una smorfia truce, e nell’ultima foto lo sfondo vira addirittura al nero.

Ritratti di Donald Trump e di "Joe Biden". Dal profilo X della Casa Bianca.
Ritratti di Donald Trump e di “Joe Biden” (al centro). Dal profilo X della Casa Bianca.

Un ritratto severo. Anzi, severiano. Come l’arte romana del III secolo, sotto la dinastia degli imperatori eredi di Settimio Severo. Brutte facce di una brutta epoca. Visi caduti in disgrazia dall’augusta divinità dei predecessori (che fu anche falsità), carichi di angoscia da fine dei tempi. È il Caracalla impresso nel marmo dei Musei Vaticani: la fronte aggrottata, la mania per i capelli (lavorati al trapano, invece che con la tinta), lontano dall’amore familiare, fallimentare sotto il profilo umano.

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Il volto di un impero stordito da una crisi che lo condurrà alla dissoluzione, eroso nelle sue sicurezze materiali, etiche e religiose. Vacilla la certezza del potere, ostaggio delle lobby militari: il III secolo è dei Soldatenkaiser, degli imperatori-soldati, acclamati dalle truppe e altrettanto facilmente assassinati. Il consenso politico non si fonda sulla (illusione?) della partecipazione, ma è costruito attorno all’iconografia dell’uomo forte, autoritario e pragmatico. E si accompagna a violente persecuzioni contro i cristiani, colpevoli di non allinearsi al culto – vero e proprio – della personalità del leader.

È smarrito il cittadino romano dell’epoca, come lo è il cittadino globale contemporaneo. Un malessere diffuso, che porta sfiducia, ansia, rabbia e disordine sociale, insieme ad una rivoluzione spirituale e all’alienazione dalla realtà, in esilio verso oracoli che, se oggi sono virtuali, non sono meno vuoti di profezia.

L’arte si fa interprete dell’agonia di una civiltà, e in nome di un presunto realismo sostituisce il brutto al bello. «Incomincia una buona volta a essere umano, finché sei in vita», consiglia anzitutto a sé stesso Marco Aurelio, che ancora si strugge nel vano tentativo di invertire il corso della storia.

È presto per dire se il ritratto di Donald Trump alla Casa Bianca rimarrà un caso isolato oppure se sarà il primo di una nuova “dinastia”. Il problema non sta nella “fine” – di un’epoca, di un ciclo, di un monopolarismo nell’assetto mondiale: il putridume della decadenza nutre già i semi di nuove istanze. La sfida non si trova nel procrastinare l’inevitabile, ma nel cedere il passo conservando la dignità. Questo è il punto: che una volta di più nel corso della storia, abbiamo smarrito il senso del limite, tanto dell’umano quanto della vergogna.

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Se il III secolo manterrà le promesse di un tempo, ci attende un periodo di anarchia militare. Ne stiamo già sperimentando i prodromi. Insieme al moltiplicarsi di fantasiosi serragli di animali esotici, cortigiane e ruffiani.

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