La Siria non è su Marte

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Barack Obama annuncia che entro il decennio 2030 l’uomo raggiungerà Marte. L’ennesimo proclama ad uso e consumo di una stampa internazionale sempre più distratta, da parte di un Presidente che ha fatto dell’immagine e della comunicazione armi strategiche. Non sorprende che la notizia dell’evento – anzi, dell’eventualità, che nella migliore delle ipotesi potrebbe verificarsi fra una ventina d’anni – sia stata rilanciata dalla maggior parte degli organi d’informazione, gli stessi che si dimostrano carenti e tutt’altro che imparziali nel riferire della scena politica americana, per non parlare del conflitto in Siria.

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Che quella condotta in Siria sia una guerra sporca è fuor di dubbio, inverosimile è però sostenere ad oltranza che a sporcarla siano solo i russi e il governo del presidente Bashar al-Assad. Soltanto poche settimane fa, dopo che l’ennesimo raid statunitense in territorio siriano aveva provocato almeno 90 vittime tra le fila dell’esercito regolare, mons. Georges Abou Khazen OFM, vicario apostolico di Aleppo per i cattolici di rito latino, anticipava all’Agenzia Fides come la tregua iniziata solo pochi giorni prima sembrasse già sul punto di fallire. «Anche stanotte abbiamo sentito le incursioni dell’aviazione governativa sui quartieri in mano ai ribelli. E di certo, qui nessuno crede che la strage di soldati siriani provocata dal bombardamento Usa su una caserma sia stata un errore».

«Quel raid aereo, che ha ammazzato almeno 90 soldati – proseguiva il vescovo – sembra confermare l’ambiguità delle scelte degli Stati Uniti nello scenario siriano e anche i sospetti di chi dice che gli Stati Uniti hanno creato lo Stato islamico (Daesh) e lo stanno utilizzando», mentre «i turchi stanno prendendo il controllo di ampi territori siriani in prossimità del confine». Quella di mons. Georges Abou Khazen non è che l’ultima – chiara – dichiarazione di un rappresentante di una Chiesa cristiana che getta una luce ben diversa sul conflitto in corso nel Paese e sul regime di Bashar al-Assad. Già in precedenza il vicario apostolico di Aleppo aveva sottolineato come «quella di Assad è una dittatura, rigida e dura, ma garante della libertà di espressione delle tante minoranze etniche presenti in Siria». Quanto ai miliziani dell’Isis, mons. Georges Abou Khazen non si fa illusioni: «sono wahabiti, una corrente radicale dell’islam. Si comportano come l’Arabia Saudita, crocifissioni incluse, ma dire questo è un tabù».

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Ogni giorno – strage dopo strage – appare sempre più evidente come in Siria il vero obiettivo della guerra siano i cristiani e le altre minoranze religiose, prima protette dal governo di Assad e oggi sterminate – talvolta da ambo le parti in conflitto – nell’indifferenza internazionale. Nelle agende delle principali potenze occidentali è perseguito ormai da decenni il disegno di fare del Nordafrica e del Vicino e Medio Oriente aree religiosamente omogenee, vale a dire completamente islamiche, cancellandone la storica componente cristiana, da sempre fondamentale anche per la stabilizzazione di quella delicata porzione di mondo. Qualcosa che è già stato fatto, purtroppo con discreto successo, in Iraq. A questo disegno collabora da anni anche la retorica dello “scontro di civiltà” e della “guerra di religione”. Interpretazioni, queste, non a caso più volte rifiutate anche da papa Francesco.

Proprio il Pontefice è tornato due giorni fa a rivolgere un quantomai accorato appello per la Siria. «Voglio sottolineare e ribadire la mia vicinanza a tutte le vittime del disumano conflitto in Siria», ha detto Francesco nell’udienza generale di mercoledì. «È con un senso di urgenza che rinnovo il mio appello, implorando, con tutta la mia forza, i responsabili, affinché si provveda a un immediato cessate il fuoco, che sia imposto e rispettato almeno per il tempo necessario a consentire l’evacuazione dei civili, soprattutto dei bambini, che sono ancora intrappolati sotto i bombardamenti cruenti». Negli ultimi mesi, infatti, proprio le tregue e i cessate il fuoco non hanno retto neppure il tempo concordato fra le parti e le operazioni militari non si fanno più scrupolo di coinvolgere apertamente obiettivi civili, come scuole e ospedali.

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Mentre Caritas Internationalis racconta per Aleppo di «una catastrofe umanitaria» paragonabile agli «infami massacri di Srebrenica e del Ruanda», con 275mila persone sotto i bombardamenti quotidiani e 100mila bambini intrappolati nell’area controllata dai ribelli, nelle città ridotte ormai a cumuli di macerie, dove ogni giorno si spezzano vite già spezzate all’inverosimile, viene da chiedersi dove sia l’umanità, dove sia l’uomo. Forse su Marte, di certo non in questa guerra.

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