Sinodo di Milano al giro di boa. Mons. Bressan: «Adeguarsi al cambiamento, ma con la fede»

Leggi in 9 minuti

Sono passati ormai oltre due mesi dalla sua apertura, e il Sinodo diocesano minore “Chiesa dalle genti” è al giro di boa. La prima fase operativa, da vivere sino alla Pasqua, si avvia infatti a conclusione.

+++

Una tappa votata al confronto e all’ascolto, pensata per coinvolgere sacerdoti, consacrati e consacrate, consigli pastorali, ma anche giovani, migranti, amministratori locali, ecumenismo e dialogo interreligioso. Un momento per riflettere «sulla Chiesa di tutti» – come sottolineato dall’Arcivescovo di Milano, mons. Mario Delpini – il cui scopo non è un’analisi sociologica, economica o politica del fenomeno migratorio, bensì «di vivere il nostro pellegrinaggio con la responsabilità di prendere la direzione suggerita dallo Spirito di Dio, perché la nostra comunità cristiana possa convertirsi per essere la “tenda di Dio con gli uomini”». A questa prima fase ne seguirà una seconda di lettura e sintesi. Sulla base di quanto elaborato il Consiglio pastorale e quello presbiterale delineeranno, infatti, le proposizioni, le norme giuridiche che saranno promulgate dall’Arcivescovo. I lavori si concluderanno sabato 3 novembre, vigilia della festa di san Carlo Borromeo, compatrono della Chiesa ambrosiana.

Altri sette mesi durante i quali la Chiesa ambrosiana è chiamata a fare i conti con un’arcidiocesi ed una città divenute negli ultimi anni sempre più multietniche e multireligiose, non soltanto per la presenza di sempre più consistenti comunità non cattoliche – quella musulmana è oggi la seconda in città – ma anche per la straordinaria varietà che caratterizza il modo di vivere la comune appartenenza di fede nelle diverse comunità cattoliche etniche, ognuna delle quali con una propria lingua, riti ed usanze. Differenze alle quali spesso si accompagnano non soltanto alcune inevitabili difficoltà, ma anche paure.

Un Sinodo all’insegna della corresponsabilità, che a livello operativo si traduce nella Commissione di coordinamento costituita da mons. Delpini il 27 novembre dello scorso anno. Ne fanno parte in qualità di segretari mons. Paolo Martinelli, vicario episcopale per i Consigli diocesani, e don Alberto Vitali, responsabile dell’Ufficio per la pastorale dei migranti e parroco di Santo Stefano Maggiore, insieme ad altri 18 membri, dei quali 10 laici e ben 9 donne. A presiedere la Commissione l’Arcivescovo di Milano ha voluto mons. Luca Bressan, vicario episcopale per la cultura, la carità, la missione e l’azione sociale.

Mons. Bressan, com’è nata l’idea di questo sinodo?

L’idea del Sinodo è nata nel corpo diocesano, che da un po’ di anni riflette sul cambiamento che vede tutti i giorni sia a livello di vita sociale e civile sia a livello di vita ecclesiale: la presenza di grosse comunità cattoliche straniere – pensiamo ai filippini, con le loro parrocchie, ai latino-americani, all’Est Europa. Abbiamo la presenza, ad esempio, greco-cattolica ucraina, che è davvero molto forte, e poi naturalmente la presenza e l’ingrossarsi di tutto il mondo delle Chiese ortodosse: ad esempio la presenza romena e la presenza russa, che sono davvero realtà molto forti. Tutto questo portava a dire: c’è un cambiamento in atto del corpo e una Chiesa che continua ad immaginarsi e a ragionare come se fossimo a quaranta, cinquant’anni fa, quando eravamo solo italiani. C’è bisogno di adeguare il pensiero alla realtà che cambia, un adeguamento non fatto, però, dalle scienze sociali, ma un adeguamento fatto dalla fede: quindi leggere il cambiamento all’interno del disegno di Dio che accompagna la sua Chiesa.

L’iniziativa è senza dubbio di grande attualità in un momento nel quale si parla molto di migrazioni, ma la pastorale migratoria a Milano, naturalmente, non nasce con questo Sinodo: come si inserisce questo evento nella storia ambrosiana?

In effetti il compito concreto del Sinodo è quello di riscrivere il capitolo 14 del Sinodo 47°, quello del 1995, dedicato alla “Pastorale degli esteri”. A Milano la pastorale migratoria nasce come un ramo caritativo – la Segreteria degli esteri all’inizio degli anni Novanta è nata con questo scopo. Solo con il tempo si è capito che l’aiuto in carità è sì prezioso, ma che occorre aiutare queste persone anche a costruire la propria vita, a riconoscersi e a riconoscere la propria fede, chiedendoci, come Chiesa, in che modo veniamo arricchiti dalla loro presenza. È dentro questo contesto che nasce tutto il cammino sinodale.

In effetti è comune, pensando ai migranti, fermarsi alle loro necessità materiali. Fra i meriti del Sinodo c’è invece quello di riportare l’attenzione anche al piano pastorale.

Sono loro a chiederlo. Ce lo dicevano: “Noi chiediamo a voi di darci la fede, non solo di darci la casa, il cibo…”. È anche un modo per vederli come persone con le quali condividere un cammino di fede.

Come si svolgeranno i lavori?

Alla fine dello scorso novembre è stata costituita una Commissione che ha elaborato lo Strumento consegnato ufficialmente il 14 gennaio di quest’anno, Giornata mondiale del migrante e del rifugiato. Questo documento verrà discusso nel modo più capillare possibile fino a Pasqua. Ci si aspetta che lo discutano le Parrocchie, i Consigli pastorali parrocchiali e decanali, ma anche tutti i mondi che con noi collaborano: le altre Chiese, le istituzioni pubbliche, la scuola, la sanità – che fra l’altro vede una forte presenza di operatori che vengono dal mondo dell’immigrazione. L’idea è che tutto questo materiale venga raccolto da Pasqua in poi per costruire quello che successivamente sarà lo Strumento a partire dal quale dal mese di giugno il Consiglio presbiterale e il Consiglio pastorale diocesano discuteranno e formuleranno le grandi linee che orienteranno il cammino della diocesi. A settembre le vedremo con i decani – i vicari foranei che strutturano il reticolo territoriale – in modo che a novembre, nella grande assemblea finale pubblica – non a caso nella memoria di san Carlo, che istituì i Sinodi minori – voteremo le deliberazioni raggiunte e le consegneremo all’Arcivescovo, perché decida lui e le promulghi.

A proposito della Commissione sinodale, spicca la nutrita presenza di laici e anche la buona percentuale di donne. Scelta dettata dalle esigenze della pastorale migratoria? Effetto Francesco?

È un effetto Ambrogio e san Carlo! (ride). L’idea è di chiamare una Chiesa intera a ragionare e abbiamo voluto che la Commissione riflettesse il popolo di Dio che cambia, per cui c’è anche una buona presenza di persone che vengono dal mondo della migrazione.

In effetti talvolta si pensa ad un Sinodo come ad un momento di pura riflessione teorica. Ne emergeranno, invece, indirizzi pratici per l’intera Chiesa diocesana.

Il Sinodo ha due obiettivi: uno di riflessione e di conversione pastorale, spirituale e mentale della Chiesa e dei singoli; l’altro effettivamente è deliberativo, “produttivo”. Dovremo prendere decisioni, ad esempio, su come organizzarci con le tante strutture che abbiamo, come immaginare che di queste strutture sono destinatari anche i cattolici non italiani, come immaginare e organizzare meglio la presenza delle Chiese ortodosse nei nostri edifici, soprattutto nelle nostre chiese – già in 33 chiese ospitiamo comunità ortodosse – e come favorire tutto quel lavoro di meticciato che si manifesta anche in una presenza religiosa plurale agli oratori estivi – i copti, ad esempio, utilizzano alcuni dei nostri oratori. L’idea è che il Sinodo, più che normare, debba riuscire a mostrare a tutto il corpo ecclesiale le opportunità che si creano aprendoci all’altro.

Quindi con il Sinodo pensate di rivolgervi anche agli immigrati che professano altre religioni?

Di sicuro, soprattutto al mondo islamico. Il mondo della migrazione è anzitutto islamico, sebbene anche il mondo asiatico inizi a strutturarsi partendo da una presenza buddista significativa. Qui a Milano, ad esempio, i buddisti srilankesi hanno aperto un loro tempio in via Ripamonti. Un luogo interessante.

Non soltanto comunità cattolica, ma anche non soltanto comunità cristiana. Vi attendete ricadute anche sul resto della società civile?

Siamo convinti che essendo il Cattolicesimo ancora molto radicato la riflessione avrà ripercussioni civili, soprattutto nella capacità di dare serenità ad un tema che, come sentiamo anche in questi giorni, rischia di polarizzare in un modo ancora troppo superficiale la campagna elettorale. La domanda vera diventa: come costruire un futuro insieme elaborando le emozioni? Nel documento lo si dice bene nel secondo capitolo: si tratta di vedere in faccia la paura, che non è solo la paura provata dagli italiani, ma anche quella dei già arrivati da tempo, degli arrivati da poco, dei profughi. Si tratta di guardare questa paura per elaborarla, ascoltarla e far capire che di paura non si vive.

Pensa che il Sinodo possa costituire un modello per iniziative simili in altre diocesi italiane? È auspicabile che lo possa divenire?

Non saprei. Questa è una necessità che abbiamo sentito noi, ma sarei ingenuo a dire che è una necessità che ha solo il territorio di Milano. È una necessità che penso sia molto presente in Italia, ma non solo. Sono convinto che ogni Chiesa troverà lo strumento per rispondere a questo stimolo. Ecco, più che diffondere lo strumento sinodale – ben venga, se vogliono – sarebbe bello che ogni Chiesa trovasse il modo per rispondere a questo stimolo assumendolo come occasione per crescere, altrimenti corriamo il rischio di regredire come corpo sociale.

(Simone Varisco. Intervista realizzata per Migranti-press, mensile della Fondazione Migrantes, n. 2, febbraio 2018)

Restiamo in contatto

Iscriviti alla newsletter per aggiornamenti sui nuovi contenuti

© Vuoi riprodurre integralmente un articolo? Scrivimi.

Sostieni Caffestoria.it


Lascia un commento

This site uses Akismet to reduce spam. Learn how your comment data is processed.