Funerali laici o il funerale di un laico credente? C’è confusione attorno alle esequie di Franco Zeffirelli. La medesima che esiste sul modo di essere laici.
La grande corsa mediatica scatenata dalla morte di Franco Zeffirelli non ha mancato di portare con sé qualche inevitabile confusione. Su tutte, la natura “laica” della cerimonia funebre del regista. Più di un cronista, infatti, in riferimento alle esequie ha utilizzato con disinvoltura la locuzione di «funerali laici» ospitati all’interno del Duomo di Firenze. Un accostamento paradossale, tanto più che la cerimonia è stata presieduta dal card. Giuseppe Betori. Lo stesso arcivescovo di Firenze, fra i più diretti testimoni della fede del regista di “Gesù di Nazareth”, ha ricordato durante l’omelia il legame di Zeffirelli con il Cattolicesimo.
Presto svelata la ragione del fraintendimento. La celebrazione – si badi – dei funerali di un laico all’interno del Duomo di Firenze è cosa rara. E ben altra cosa rispetto ad un “funerale laico”, per definizione privo di ogni connotazione religiosa. Più nel profondo, però, l’incomprensione si consuma attorno al modo stesso di essere “laici”. Non la sana laicità che implica autonomia delle realtà terrene dalla sfera ecclesiastica, ma non certo dall’ordine morale e di fede, bensì un laicismo giacobino e dissacrante, comunemente anti-cristiano, inteso come esclusione della religione da ogni ambito della società e, nella migliore delle ipotesi, come suo confino nell’angustia del sentimento privato (e nascosto). Religione dell’anti-religione. La moda recente, d’altronde, lo afferma chiaramente: laici sono Ettore Scola e Umberto Eco, Giorgio Albertazzi e Paolo Villaggio, Dario Fo e Franca Rame (solo per citarne alcuni), uomini e donne di spettacolo che hanno scelto la forma dei funerali civili.
Ma non Franco Zeffirelli. Che, anzi, conquista un nuovo record postumo, entrando nel ristrettissimo gruppo di laici ai quali sono state aperte le porte di Santa Maria del Fiore. Ultimo in ordine di tempo il poeta Mario Luzi, fra le maggiori voci del Novecento, scomparso nel 2005. «Io non sono un uomo di Chiesa, ma il Cristianesimo è implicito a tutto ciò che io ho pensato e scritto», disse di sé. «Il Cristianesimo ha il Cristo, è nel Cristo. Se questa divinità si è messa sul piano degli uomini con questo emissario – Gesù – è il colmo della bontà, dell’interesse per l’uomo. Il Cristo è interessante e nutritivo per tutti». Prima di Mario Luzi fu la volta del “sindaco santo” di Firenze, Giorgio La Pira, morto nel 1977 e del quale la Chiesa cattolica ha avviato la causa di beatificazione nel 1986. «Tutto si può capire di La Pira con la fede, niente si può capire di lui senza la fede», disse di lui il card. Giovanni Benelli, nell’omelia dei funerali.
Testimoni, ognuno a proprio modo e con l’umana debolezza del peccato e della contraddizione, che non esiste una sola laicità, ma diverse, come molteplici sono i modi di intenderla e di viverla, talvolta fra loro opposti. Testimoni laici che, in luogo dei funerali civili, continuano a scegliere l'”inciviltà” scomoda di una fede sempre più controcorrente.
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