Francesco e i Paesi “meno di 1”. Il piccolo resto che fa la differenza

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Estonia, Emirati Arabi, Marocco, Bulgaria, Macedonia del Nord. Paesi dove il Cattolicesimo (e talvolta l’intero Cristianesimo) è minoranza. Il “piccolo resto” che può cambiare l’Europa e il mondo. Come in Oriente.

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Dalle grandi adunate ai Paesi nei quali il Cattolicesimo è minoranza. Gli ultimi viaggi di papa Francesco hanno un elemento in comune: l’incontro con comunità cattoliche (e talvolta con intere comunità cristiane) che sono minoranza.

È la situazione macroscopica di Emirati Arabi Uniti e Marocco, Paesi a netta maggioranza islamica visitati dal Pontefice rispettivamente nel febbraio e nel marzo scorsi, dove i cattolici raggiungono il 10% e lo 0,09%. Differente, ma altrettanto contenuta in termini numerici, è però la presenza del Cattolicesimo in alcuni Paesi europei. È il caso dell’Estonia e della Lettonia, due delle tre Repubbliche baltiche visitate da Francesco nel settembre 2018: 20% di cattolici in Lettonia e addirittura meno dello 0,5% in Estonia. E che dire, infine, di Bulgaria e Macedonia del Nord, dove Francesco si è recato questa settimana? Nel Paese est-europeo, a fronte di una maggioranza di cristiani ortodossi, i cattolici non sono più di 70 mila, vale a dire meno dell’1% del totale della popolazione. Inferiore all’unità anche la percentuale dei cattolici in Macedonia del Nord, pari a circa lo 0,72%.

Presenze marginali? Tutt’altro. Il valore della presenza cristiana, anche e soprattutto laddove è minoranza, è riconosciuto – e spesso combattuto. Chiese che riflettono ancora meglio la “santa estraneità” dei cristiani nel mondo, troppo spesso sottovalutata, se non ignorata. Testimonianza indispensabile anzitutto alla comunità cristiana occidentale, assuefatta ad un ruolo – almeno tradizionalmente – predominante in termini numerici, e che giunge a stupirsi, prima ancora che ad addolorarsi, per le persecuzioni sperimentate dai cristiani nel resto del mondo, a cominciare dall’incomprensibile strage nello Sri Lanka.

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Nondimeno, i cristiani svolgono un fondamentale ruolo politico e sociale, tanto più in quelle aree di conflitto dove sono gli unici ad essere mediatori e costruttori di pace. È il caso di molti contesti del Vicino e Medio Oriente, dall’Egitto all’Iraq, senza considerare lo snodo importantissimo della Terra Santa. Il numero dei cristiani in Medio Oriente è da anni in diminuzione a causa di fattori per lo più riconducibili all’emigrazione, spesso sull’onda della persecuzione religiosa ed etnica. La diffusione di ideologie salafite e jihadiste, fino a pochi decenni fa estranee alle comunità musulmane in Siria e in Egitto, ha giocato un peso tristemente significativo nella sorte dei cristiani, con esiti da genocidio.

Sono questi, come e più di altri, il biblico “piccolo resto” della comunità cristiana, più vicini – talvolta tragicamente – all’essenza del Vangelo. Più propensi a subire che non ad infliggere, a partire che non ad invadere, a custodire il silenzio che non a fare chiasso. Un silenzio spesso rumorosissimo. Eredi di quel “resto di Israele”, fedele alle radici sante dei patriarchi e dei profeti, dal quale a più riprese rinvigorì l’eterno e sempre nuovo popolo di Dio, la Gerusalemme nuova.

A cominciare dall’Europa, dove calo numerico ed esigenze di ricostruzione si legano indissolubilmente al malaffare diffuso anche nella Chiesa cattolica. Pedofilia, pederastia, malversazioni e scandali economici hanno già presentato il conto in Paesi come il Cile, gli Stati Uniti e l’Irlanda. «Non abbiate paura di essere i santi di cui questa terra ha bisogno», ha detto Francesco in Bulgaria. Fattore non secondario, alle colpe delle gerarchie ecclesiastiche si assomma un diffusa conflittualità, propensa alla polarizzazione, tra gli stessi fedeli e alimentata dalla Rete. Che nel suo linguaggio binario, fatto di zeri e di uno, di “mi piace” e di “non mi piace”, non ammette resti.

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