Nazismo cristiano e terrorismo islamico? L’esperienza di Benedetto XVI

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Nazismo storia superata? Tutt’altro. Il terrorismo che si dice islamico lo ha reso di nuovo d’attualità. Da una frase di Benedetto XVI e da qualcosa che – come lui – qualcuno ricorda ancora.

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«C’erano i “Cristiani Tedeschi” – oggi non lo sa più nessuno – che erano completamente dominanti». Così Benedetto XVI nelle sue Ultime Conversazioni, rispondendo ad una domanda del giornalista e co-autore del libro, Peter Seewald. Un passo sul quale nessuno si è soffermato, perché, nella vastità degli spunti offerti dal libro, questo sembra essere soltanto il ricordo di un’epoca ormai passata. Eppure, in un testo e in un Pontefice emerito di così straordinaria attualità, un riferimento del genere acquista una dimensione che lo accosta al contesto mondiale di oggi.

Proprio dei Cristiani Tedeschi avevo parlato di recente, se ricordate. Pur con tutte le differenze del caso, infatti, non sfuggono le molte similitudini con l’odierno rapporto fra terrorismo internazionale che si dice islamico ed Islam. Nelle scorse settimane avevo scritto che non basta proclamarsi qualcosa – o qualcuno – per esserlo davvero. Se fosse vero il contrario, infatti, avremmo dovuto dare credito al Nazismo che a più riprese, sin dalla sua nascita, si proclamò (anche) cristiano. Un’evidente bestialità per chiunque abbia del senno, ma che non impedisce ancora oggi ad alcuni detrattori di sostenere questa identificazione e incolpare così la Chiesa (cattolica) delle nefandezze hitleriane.

Strumentalizzazione della fede
Erano gli anni Venti – i primi del Partito Nazionalsocialista Tedesco dei Lavoratori – quando Hitler e buona parte dell’establishment del nuovo movimento si professavano difensori dei valori del Cristianesimo. «E così io credo come sempre che il mio comportamento è in accordo col volere dell’Onnipotente Creatore. Fin quando mi reggerò in piedi sarò contro il Giudeo difendendo l’opera del Signore». Era il 1924 e così scriveva Adolf Hitler nel manifesto del Nazionalsocialismo, il Mein Kampf. Qualcosa di inconcepibile per chi, a posteriori, ha ben presenti le stragi naziste. Ma anche per chi quella porzione di storia l’ha vissuta in prima persona.

Chiesa cattolica e Nazismo
«Anche mio padre sentiva che i vescovi avrebbero dovuto essere più chiari», ricorda Benedetto XVI nelle Ultime Conversazioni. «C’erano temperamenti diversi, d’accordo. Ma non abbiamo mai avuto la sensazione che la Chiesa avrebbe aderito al Nazismo». Anche dopo che il 20 luglio 1933 la Santa Sede siglava un concordato con la Germania nazista e nel corso degli anni ’30 molte personalità ecclesiastiche rimanevano convinte che con il Nazismo sarebbe stato possibile giungere ad una forma di collaborazione, tanto più alla luce dell’affine anticomunismo. A levarsi contrario fu allora soprattutto il ruggito del card. Clemens August Graf von Galen, “il Leone di Münster” come lo soprannominarono i giornali dell’epoca, anima della resistenza cattolica al Nazismo, significativamente beatificato da Benedetto XVI il 9 ottobre 2005 in uno dei suoi primi atti da pontefice, segno tangibile dell’attenzione riservata da Ratzinger a questa dolorosa e complessa pagina di storia.

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Cristiani Tedeschi al servizio di Hitler
Diverso fu il destino della Chiesa evangelica (luterana), uscita in frantumi dall’esperienza nazista. È in essa, infatti, che nel 1932 ebbe origine la corrente dei Deutsche Christen, i Cristiani Tedeschi. «Un credo cristiano conforme alla specie, rispondente allo spirito tedesco di Lutero e al sentimento di pietà eroica», si legge nel documento programmatico in 10 punti del 26 maggio 1932, atto fondativo del gruppo. L’influenza dell’ideologia nazista era fortissima: non ci si limitò a cercare delle affinità con il Nazismo, ma si volle piegare il Cristianesimo stesso alle esigenze dell’ideologia hitleriana. Era il cosiddetto Positives Christentum, il “cristianesimo positivo”, negativo per tutti gli altri, costruito sulla falsariga del programma nazionalsocialista del 1920. In sintesi, un presunto Cristianesimo profondamente distorto, menomato dell’Antico Testamento – ricettacolo di «magnaccia e mercanti di bestiame»1 –, deformato nel Nuovo, con un Cristo divenuto emblema dell’arianesimo eroico, e contaminato dalla concezione nazista del mondo, infarcita di violenza e paganesimo, dominata dalla persona e dall’opera di Hitler. Ad incarnarlo la Deutsche Evangelische Kirche, la Chiesa evangelica tedesca, e il suo vescovo, Ludwig Müller. Un cambiamento di direzione che coinvolse anche gli edifici di culto, orientati a nord – verso il “Padre di tutti”, l’Allvater, Odino – come la Lutherkirche di Lubecca o la chiesa dedicata a Lutero ad Amburgo, nel quartiere di Wellingsbüttel, mentre i più accesi fra i Cristiani Tedeschi, come Propst Ernst Szymanowski, si “radicalizzarono” a tal punto da entrare nelle SS.

Gioventù hitleriana e cuccioli del Califfato
«Si sapeva che alla lunga la Chiesa avrebbe dovuto scomparire, insieme al sacerdozio. Per noi era chiaro che in quella società non avremmo avuto un futuro», ricorda Benedetto XVI nelle Ultime Conversazioni. Era il destino degli studenti cattolici minacciati dal fanatismo della Hitlerjugend, la Gioventù hitleriana, fondata nel 1926 per accogliere giovani fra i 10 e i 18 anni, plasmati per divenire «buoni cittadini» e preparati a servire nelle forze armate attraverso l’addestramento militare. Blut und Ehre, sangue e onore, era il loro motto. Del primo ne fu versato parecchio, proprio e altrui. Vedere la guerra – ogni guerra – con gli occhi dei bambini è spaventoso. I bambini sono le vittime principali di ogni guerra, anche di quella in Siria e Iraq. Non solo come vittime, però, ma anche come carnefici: bambini soldato o kamikaze, come il 12enne di Gaziantep, in Turchia, che lo scorso 21 agosto è stato trascinato a forza da due adulti a farsi esplodere ad un festa di matrimonio curda, causando fra l’altro la morte di 29 bambini e adolescenti. In un video l’Isis li chiama “cuccioli del Califfato”: qualcosa che non ha nulla a che fare con l’infanzia, se non perché rubata, per una formazione politico-religiosa che non esiste. Fanciulli coperti di nero, un’alternanza di studio coranico e addestramento alla violenza: una scuola dell’odio, che si rivolge ai giovani occidentali che hanno perso ogni orientamento e parecchio eroismo, nella speranza di radicalizzarli con qualcosa che non è né l’una né l’altra cosa. Agendo sui piccoli, l’Isis punta a creare l’uomo nuovo jihadista, l’ideale di ogni totalitarismo. Di nuovo.

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Violenza in nome di Dio
«La Chiesa [luterana] confessa di aver usato invano il nome di Gesù Cristo perché se ne è vergognata dinanzi al mondo e non si è opposta con sufficiente energia all’abuso che si faceva di quel nome a fini iniqui: ha permesso che il nome di Cristo servis­se a coprire la violenza e l’ingiustizia». Era il 1945 e con queste ed altre parole, la Chiesa luterana offriva a Stoccarda la propria ammissione di colpa. Un’autocritica che aveva alle spalle gli scritti del giovane pastore evangelico Dietrich Bonhoeffer, nei quali aveva messo a nudo la connivenza delle Chiese protestanti con il Nazismo. Troppo tiepide e preoccupate delle proprie posizioni nella società, secondo il giovane teologo tedesco. «Dopo il 1945 la grande maggioranza dei luterani non si è confrontata con il proprio filo-nazismo. Venivano piuttosto criticate le “forze di occupazione” e la “giustizia dei vincitori”. È triste quanto in ritardo sia iniziata un’analisi critica», spiega lo storico Stephan Linck, incaricato un paio di anni fa dalla Chiesa evangelica del Nord della Germania di indagare le infiltrazioni naziste nel Protestantesimo evangelico. Un lavoro delicato e complesso, sempre rifiutato per oltre mezzo secolo. È sin troppo scontato leggere un parallelismo – anzi, una lezione della Storia – con l’odierna situazione di parte del mondo islamico.

Religione e spirito critico
«È corretto affermare che ogni religione, per rimanere nel giusto, al tempo stesso deve anche essere sempre critica della religione. Chiaramente questo vale, sin dalle sue origini e in base alla sua natura, per la fede cristiana». Così scriveva Benedetto XVI, già da pontefice emerito, il 21 ottobre 2014, nel suo messaggio per l’intitolazione a suo nome della ristrutturata Aula Magna della Pontificia Università Urbaniana.

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Uno spirito critico che se è proprio del Cristianesimo, non può mancare di coinvolgere anche l’Islam, tanto più laddove il nome di Dio «servis­se a coprire la violenza e l’ingiustizia». La Storia richiama sempre più il mondo islamico a fare conti con la realtà di chi, richiamandosi ai dettami del Corano, motiva la violenza del terrorismo internazionale, e soprattutto con chi, dall’interno dell’Islam orante, fornisce una sponda religiosa a quella stessa violenza. Ogni identificazione fra Islam e violenza, però, passa attraverso la follia e l’odio di chi perpetra le stragi. E talvolta attraverso le semplificazioni di chi pretenderebbe di spiegarle con le stesse parole dei terroristi, riconoscendo a loro – così come ai nazisti – una credibilità che certamente non meritano.

1. Alfred Rosenberg, Der Mythus des 20. Jahrhunderts (Il mito del XX secolo), 1930, p. 114. Insieme al Mein Kampf di Hitler, il libro è considerato il manifesto ideologico del Nazionalsocialismo.

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