Le pietre, il pane e il forno del cesaropapismo

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Sin dall’antichità lo Stato, specialmente nelle sue forme più pervasive, non ha disdegnato di utilizzare forme e strumenti propri del divino. Fu così per Augusto, che presentò sé stesso come salvatore della civiltà ed istitutore di una pax universale. Non è difficile riconoscere in ciò l’atteggiamento dei tanti Cesari contemporanei – entità o singole personalità – portatori di pace e benessere universale, sfornatori di progresso che pretenderebbero di recare acqua al proprio mulino e il pane del proprio forno a Pietro.

Il recente convegno vaticano sulla condotta assunta dal mondo cattolico al confronto con il Primo conflitto mondiale ha ben evidenziato come all’inizio del Novecento la Santa Sede non temette di sostenere la fermezza della pace, conscia del conseguente isolamento in un mondo agli albori del dramma bellico. Né ebbe paura di assumere posizioni allora invise anche a quella parte di clero e fedeli sedotta dai nazionalismi, che non risparmiarono alla Chiesa di essere scossa dalla divisione, se è vero che, come sottolinea Gianpaolo Romanato, docente di Storia contemporanea all’Università di Padova e tra i massimi studiosi della figura di Pio X, molti vescovi, sacerdoti e semplici fedeli cattolici «finirono per schierarsi con i propri governi [e] solo la Santa Sede continuò a lanciare appelli alla pace».

La Chiesa dovette allora affrontare il pericolo di essere minata nella sua cattolicità, strumentalizzata da interessi nazionali, corteggiata da poteri in crisi di popolarità, consci dell’esistenza nell’uomo di bisogni impossibili da soddisfare con i soli beni materiali. Uno scenario apparentemente distante, eppure così attuale. A 96 anni dalla fine della Grande Guerra, mentre il mondo è attraversato da un multiforme conflitto globale, sostenuto da «sistemi economici che per sopravvivere devono fare la guerra» – come ha ricordato Papa Francesco nei giorni scorsi – Cesare non ha cessato di interessarsi delle cose di Pietro.

«Si è sviluppata in estesi circoli della teologia, in modo particolare in ambito cattolico, una reinterpretazione secolaristica del concetto di “regno”»1, intendendo con ciò dare maggiore attualità e concretezza al ruolo della spiritualità nella vita dell’uomo, orientandola alla pace, all’equità, al benessere economico e alla salvaguardia dell’ambiente come fini ultimi e compiti precipui di ogni religione. In tale contesto, ogni entità religiosa, svuotata dei suoi slanci verso il divino, diviene uno dei metodi per il compimento del benessere globale, una fra le numerose e sostanzialmente equivalenti vie possibili, sponda preternaturale ad un autoritarismo politico sempre più scarsamente legittimato. È, in fondo, il vecchio adagio del panem et circenses in salsa spiritual.

Una visione umanitaristica ed utilitaristica – nulla affatto estranea ad una parte del clero e dell’opinione pubblica cristiani – sulla quale il Papa si è pronunciato sin dai primi mesi del suo pontificato. «La Chiesa non è un negozio, non è un’agenzia umanitaria, la Chiesa non è una ONG», ammoniva nell’ottobre dello scorso anno. «La Chiesa è mandata a portare a tutti Cristo e il suo Vangelo; non porta sé stessa – se piccola, se grande, se forte, se debole, la Chiesa porta Gesù». È la tentazione del pensiero unico, della uniformità egemonica, ma anche del trasformare la pietra in pane», concludendo con il dare «pietre al posto del pane»2. Ancora poche settimane fa, parlando ai rappresentati delle religioni riuniti nell’università cattolica di Tirana, Papa Francesco è tornato a ribadire la necessità di dare «testimonianza della propria identità […] senza mascherarla, senza ipocrisia».

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Il rischio, ben presente al Papa e all’agenda pontificia, è quello di ridurre la Chiesa alle logiche mondane di soggettivizzazione dell’esperienza religiosa e di assoggettamento del testo biblico alla mentalità tecnicistica del mondo. Un asservimento a quelle logiche – primariamente economiche – verso le quali Papa Francesco ha più volte messo in guardia e che sin troppi scandali hanno procurato anche alla Chiesa, ultimi in ordine cronologico in terra tedesca e italiana. «Sete di denaro, di potere, corruzione, divisioni, crimini contro la vita umana e contro il creato», li aveva riassunti il Pontefice pochi giorni dopo la sua elezione.

Logiche sclerotizzate che non solo «con l’orgoglio della loro saccenteria, hanno fatto del Terzo Mondo il Terzo Mondo in senso moderno»3, ma che hanno poi frammentato le pietre della miseria, materiale ed esistenziale, nei tanti “sud del mondo” di casa nostra. Logiche politicamente corrette che spingono ad addentrarsi nella fumosa cortina oltre la quale Marta ha estromesso Maria e con lei la parte migliore che non le sarà tolta.

1 Joseph Ratzinger – Benedetto XVI, Gesù di Nazaret, Rizzoli, Milano, 2007, p. 76.
2 Ibid., p. 56.
3 Ivi.

Nell’immagine: Duccio di Buoninsegna, Tentazione di Cristo sul monte, Maestà del Duomo di Siena, scomparto di predella, 1308-11, New York, Frick Collection.

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