Giubileo della Misericordia finito? Si può prorogare

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Si è concluso ieri, con la chiusura della Porta Santa a San Pietro, il Giubileo straordinario della Misericordia. Papa Francesco ha già precisato che «anche se si chiude la Porta santa, rimane sempre spalancata per noi la vera porta della misericordia, che è il Cuore di Cristo», così come non dovrebbero chiudersi «mai le porte della riconciliazione e del perdono». Una verità teologica che potrebbe anche diventare un atto di proroga del Giubileo: non sarebbe la prima volta.

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Accadde ad esempio in seguito al Giubileo del 1575 proclamato da Gregorio XIII, il primo dopo il Concilio di Trento. Per l’organizzazione dell’evento il Pontefice volle accanto a sé a Roma due personalità di spicco del panorama religioso dell’epoca, Carlo Borromeo e Filippo Neri, ai quali affidare l’assistenza spirituale e materiale dei pellegrini.

L’Arcivescovo di Milano, già figura dominante del terzo periodo conciliare e dell’opera di rinnovamento della Chiesa nella direzione indicata da Trento, colse nell’Anno Santo l’opportunità di un rilancio della spiritualità anche nella diocesi ambrosiana. Non stupisce quindi che, in un Giubileo nel complesso molto partecipato, quello milanese fu uno dei gruppi più numerosi fra quelli giunti in pellegrinaggio a Roma.

Forse anche per questo, oltre che per la fama di santità che già circondava l’Arcivescovo, Carlo Borromeo ottenne da Gregorio XIII una “proroga milanese” del Giubileo, con il permesso di elargire al popolo ambrosiano, nell’anno successivo, gli stessi benefici dell’Anno Santo appena conclusosi a Roma – prime fra tutte le indulgenze – similmente a quanto già ottenuto da Gian Galeazzo Visconti nel 1391.

Nel decreto attuativo vennero confermate le quattro chiese giubilari del 1391, vale a dire il Duomo e le basiliche di Sant’Ambrogio, San Lorenzo Maggiore e San Simpliciano, oltre alle chiese ad libitum di Santo Stefano, Santa Maria di Brera, San Francesco e Santa Maria della Rosa. Era il febbraio 1576 e il Giubileo di Milano, che già si annunciava ottimamente frequentato, con grande affluenza in città di pellegrini da ogni parte della diocesi ed oltre, non sarebbe durato che poche settimane.

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Già in aprile, infatti, i primi casi di peste a Venezia e Mantova consigliarono al governatore spagnolo di Milano, Antonio de Guzmán, di limitare i pellegrinaggi in città, vietandoli poi del tutto quando a luglio si registrarono i primi episodi anche a Milano. Era l’inizio dell’epidemia che sarebbe passata alla storia come la peste di san Carlo. Il 25 giugno 1576 si chiuse ufficialmente il Giubileo in Milan, sotto auspici ben diversi dall’euforia che ne aveva accompagnato l’apertura. «Chome finite che fu il santo Giubilei l’an santo in Roma, l’an del 1575, il Santo Padre di Roma papa Gregorio decimo terzo mandò il santo Giubilei a Milan, e comence a li 12 de febrar del 1576 […] e finì li 25 del mese de giunio 1576, dappoi che fu finit il santissimo Giubilei comence la peste in Milan ciovè moria» (Diario di un popolano milanese durante la peste del 1576).

Un evento che se fermò il Giubileo, non spense la fede dei milanesi, che trovarono in Carlo Borromeo, unica autorità rimasta in città dopo la fuga delle cariche civili, un sicuro punto di riferimento. La carità mostrata dall’Arcivescovo, non disgiunta dalla penitenza e da un sano senso pratico, fecero della peste di san Carlo una delle epidemie meno virulente di quel periodo, non paragonabile a quella che si sarebbe registrata in Lombardia nel 1630, al tempo dell’episcopato di Federico Borromeo, cugino di Carlo, ritratta con sapienza emotiva da Alessandro Manzoni nei Promessi Sposi.

Nell’immagine: Giovan Battista Crespi detto il Cerano, San Carlo consola gli appestati alle capanne, inizio del XVII secolo, Milano, Duomo di Milano.

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