Bimbi nati sul letto del Papa, fattorie e musica: storie da Castel Gandolfo

Una lettura di 22 minuti

A Castel Gandolfo c’è chi costruì fattorie e chi dava feste con i giovani. E poi c’è il letto del papa: vi morirono due Pontefici, ci dormirono a decine e vi nacquero anche una 50ina di bambini. Intime testimonianze di storia, che gettano nuova luce sul rapporto fra i Papi e la loro storica residenza estiva.

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Verrà inaugurata domani la nuova destinazione museale di Castel Gandolfo. Amata fin dal Seicento da tutti i predecessori di Francesco, la storica residenza ai Castelli ha accolto i Pontefici nei loro momenti più intimi. Di Castel Gandolfo il brianzolo Pio XI coltivò il carattere rurale, di buen retiro fuori dall’urbe romana, destinando nel 1929 i terreni circostanti Villa Barberini all’attività agricola. Un ritorno della Chiesa al mondo rurale e una simbolica vicinanza ai problemi dei contadini della Penisola. Una piccola fattoria, con campi, pollai e mucche da latte, dotata di attrezzature all’avanguardia, come mungitrici meccaniche e incubatrici per i pulcini.

Ebbe modo di goderne anche il successore di papa Ratti, Pio XII. Che il nobile – anche di natali – Pastor Angelicus nutrisse una particolare passione per il mondo agricolo può forse stupire, ma non è un caso isolato nella sua biografia. La Positio super vita et virtutibus redatta per la causa di canonizzazione di Pio XII annota come il giovane Pacelli, nunzio in Germania, amasse percorrere a piedi la campagna tedesca, intrattenendosi con i locali. Suor Pascalina Lehnert, dal 1917 segretaria e governante di Pacelli, ricorda come un giorno, forse per provare ad intavolare un dialogo con lui, l’allora nunzio chiese ad un giovane pastore: «Che fai tutto il giorno vicino alle tue mucche?», e questi rispose: «Sei tanto stupido da non capire che sorveglio le mucche? E tu che fai? Non potresti farmi i compiti?». E così, pazientemente, il futuro Pio XII tornò a cimentarsi nelle fatiche scolastiche (Positio, p. 113).

Profughi accolti a Castel Gandolfo da papa Pio XII Il rapporto di Pio XII con Castel Gandolfo, comunque, non si esaurì nella passione per la natura. Successore di Pietro durante una delle epoche più drammatiche della storia, nei giorni più difficili della seconda guerra mondiale Pio XII aprì le Ville di Castel Gandolfo alle migliaia di persone in fuga dagli orrori del conflitto e dalle retate dei tedeschi nei giorni dello sbarco degli alleati ad Anzio. Molti di essi erano ebrei. Centinaia di famiglie, alcune delle quali in attesa di un figlio. Proprio alle partorienti Pio XII mise a disposizione il proprio letto. Furono così una 50ina i bambini nati nella camera del Pontefice, chiamati in suo onore con i nomi di Eugenio o di Pio. I “figli del Papa”. Un episodio significativo, ma che è solo la goccia in un oceano nel quale le capacità di Pio XII hanno permesso di salvare non meno di 800mila ebrei dalla violenza nazista. Lo stesso letto accoglierà infine le spoglie del Pontefice dopo la morte, avvenuta il 9 ottobre 1958 ad 82 anni. Con la sua scomparsa, Pio XII allungò la lista degli uomini di Chiesa deceduti a Castel Gandolfo. Vent’anni dopo papa Pacelli, il 6 agosto 1978, sarebbe stata la volta di Paolo VI. Prima di loro, 3 cardinali (Giovanni Battista Savelli nel 1498, Angelo Mai nel 1854 e Luigi Lavitrano nel 1950) e 2 gesuiti (Luigi Centurione nel 1757 e Virginio Rotondi nel 1990).

Amante di Castel Gandolfo fu anche Giovanni XXIII, che di questa residenza estiva apprezzava la ritrovata libertà, che gli permetteva di tanto in tanto di evadere dalla vita di curia. «Papa Giovanni ogni tanto spariva», ricorda in una vecchia intervista all’Osservatore Romano Saverio Petrillo, storico direttore delle Ville Pontificie (l’intervista integrale è riportata in fondo a questo articolo). «Usciva da uno dei cancelli delle Ville senza avvertire nessuno e senza scorta. Se ne andava in giro per i Castelli, tra la gente. Una domenica mattina ci arrivò una telefonata che segnalava la presenza del Papa ad Anzio. Può immaginare la nostra sorpresa che lo credevamo nel suo appartamento. Più tardi una voce concitata ne annunciava la presenza a Nettuno. Successivamente ci avvertirono che il Papa era stato visto al lago. Immagini che momenti vivemmo quella mattina! Lui rientrò tranquillamente in tempo per guidare la recita dell’Angelus».

Anni '50. Pellegrino, in bicicletta fra i pellegrini. Particolarmente legato a Castel Gandolfo fu Giovanni Paolo II. «Con lui è un po’ cambiata la destinazione d’uso di questa residenza. Nel senso che è realmente diventata la residenza alternativa del papa», spiega Saverio Petrillo. «Veniva in periodi diversi dell’anno, soprattutto di ritorno dai viaggi o durante le feste. Faceva anche brevi soggiorni per preparare documenti, discorsi. Soprattutto nei primi anni ha rivitalizzato questo luogo. La sera incontrava i giovani. Ma era un modo per conoscere a fondo i diversi movimenti giovanili cattolici. Erano momenti veramente di festa. Si facevano falò, si cantava, si raccontava la propria vita e la propria esperienza. Ma soprattutto molti giovani hanno imparato a vivere cum Petro, con il papa. E questo è stato molto importante». Non stupisce, per un Pontefice che fin da sacerdote visse in mezzo ai giovani. Che dire, poi, dello sport? Dopo la decisione di Wojtyła di far costruire una piscina nelle Ville non mancarono le polemiche. «Furono polemiche strumentali», ricorda Petrillo. «Il Papa la usava soprattutto per motivi di salute. Aveva già qualche problema e gli avevano prescritto ore di nuoto per migliorare o comunque per tenere sotto controllo i suoi disturbi. Mi ricordo che una volta, proprio commentando le critiche circa le spese affrontate per costruire la piscina lui disse con umorismo: “Un conclave costerebbe molto di più”».

La fattoria voluta da Pio XI fece la felicità anche di un altro pontefice, Benedetto XVI, che amava tenersi informato sull’attività dei fattori. «Di lui quello che ci impressiona è la straordinaria delicatezza d’animo, la sua estrema sensibilità, la sua profonda spiritualità». Preghiera, silenzio, lavoro, ma anche musica. Prevalentemente di sera e rigorosamente classica: Mozart, Bach, Beethoven. «Per noi è molto bello sentire le note del suo pianoforte», rivela Petrillo. «Ed è una cosa che ci riempie di gioia perché significa che Benedetto XVI si sente veramente a casa sua». È lì, in quella che definiva la sua «seconda casa», che Benedetto XVI si recò in elicottero all’indomani della sua rinuncia al ministero petrino, il 28 febbraio 2013, rimanendovi fino al 2 maggio successivo. Le sue ultime parole pubbliche da pontefice, pronunciate dalla loggia centrale del Palazzo Pontificio, sono un inno al Creato e alla preghiera. «Cari amici, sono felice di essere con voi, circondato dalla bellezza del Creato e dalla vostra simpatia che mi fa molto bene», disse allora Benedetto XVI, papa fino alle 20 di quel giorno. «Vorrei ancora, con il mio cuore, con il mio amore, con la mia preghiera, con la mia riflessione, con tutte le mie forze interiori, lavorare per il bene comune e il bene della Chiesa e dell’umanità. E mi sento molto appoggiato dalla vostra simpatia. Andiamo avanti insieme con il Signore per il bene della Chiesa e del mondo».

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Un “andare avanti insieme” che sarebbe più volte tornato nel lessico del suo successore. Proprio con Francesco si inaugura per Castel Gandolfo una nuova età, all’insegna dell’apertura, anche dell’Appartamento Papale. Una scelta che guarda alla sobrietà, ma anche una decisione più simbolica che effettiva per il Pontefice argentino che in effetti a Castel Gandolfo non ha mai passato le vacanze e che nei pochi giorni di riposo estivo rimane a Santa Marta. Non un grande sacrificio per Francesco, del quale è nota la scarsa propensione ai viaggi, confermata di recente da lui stesso. «Questo viaggio sarà breve, grazie a Dio: in tre giorni torneremo a casa», ha ammesso il Pontefice salutando i giornalisti su volo Roma-Tbilisi, il 30 settembre scorso.

Il programma di domani prevede alle 10.00 l’inaugurazione dell’apertura pubblica dell’Appartamento Papale, con gli interventi del direttore dei Musei Vaticani Antonio Paolucci, di quello delle Ville pontificie Osvaldo Gianoli, e del curatore del sito, Sandro Barbagallo. Seguirà alle 11.00 la visita delle sale dell’Appartamento Papale riservata alla stampa e ad un gruppo ristretto di persone e quindi un concerto di musica popolare cinese nel cortile del Palazzo Apostolico, “La bellezza ci unisce”, simbolo del nuovo corso fra Vaticano e Repubblica Popolare Cinese.

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L’intervista di Mario Ponzi a Saverio Petrillo, pubblicata sull’Osservatore Romano del 27 agosto 2008:

Cinque papi in campagna

Quando inizia la sua avventura nelle Ville di Castel Gandolfo, in questo mondo tanto singolare?

Sono entrato per la prima volta nelle Ville Pontificie esattamente cinquant’anni fa. Era il giugno del 1958. Devo dire che l’inizio non fu dei migliori. Il 9 ottobre morì Pio XII. Fu un evento che mi rattristò moltissimo e che ho ancora impresso nella mente. Prima di entrare in questo ambiente pensavo che il papa fosse sempre circondato da una folta schiera di persone, pronte a rispondere a ogni suo desiderio. Quando capii che Pio XII stava morendo mi resi conto di quanto fosse invece solo. Non c’era nessuno. Anche perché mancava il segretario di stato e mancava il camerlengo, che fu poi subito eletto dai cardinali durante la sede vacante. Con stupore vidi che la salma di quel grande pontefice veniva trattata in modo approssimativo. Il medico del papa, Riccardo Galeazzi Lisi, fece una sorta di imbalsamazione, usando solo alcune pomate. Il corpo fu provvisoriamente sistemato nella Sala degli Svizzeri. Solo il giorno dopo, prima dell’esposizione al pubblico, fu rivestito con gli abiti pontificali. Ci rimasi proprio male. Mi consolò la grande fiumana di persone che dal giorno dell’esposizione della salma sfilò davanti al feretro. Ricordo una manifestazione popolare splendida. Tantissimi tornavano per la seconda volta in questo palazzo. Come è noto Pio XII aprì le porte delle Ville per dare rifugio a quanti tentavano di sfuggire alle retate dei tedeschi nei giorni dello sbarco degli alleati ad Anzio. C’erano anche molte delle mamme alle quali il papa aveva ceduto la propria stanza da letto perché erano incinte. In quella stanza nacquero cinquanta bambini. Moltissimi, oggi uomini fatti, si chiamano proprio come lui, Eugenio o Pio. Per due di loro, gemelli, c’è anche un grazioso aneddoto. La donna che si prese cura di loro appena nati inavvertitamente tolse i laccetti al braccio con i nomi dati loro durante il battesimo. Quindi era divenuto impossibile distinguerli. Fu la mamma in un certo senso a ribattezzarli, poiché stabilì autonomamente chi si sarebbe chiamato Eugenio e chi Pio.

E di Giovanni XXIII cosa ricorda in particolare?

È stato un periodo che definirei innovativo. Papa Giovanni ogni tanto spariva. Usciva da uno dei cancelli delle Ville senza avvertire nessuno e senza scorta. Se ne andava in giro per i Castelli, tra la gente. Una domenica mattina ci arrivò una telefonata che segnalava la presenza del papa ad Anzio. Può immaginare la nostra sorpresa che lo credevamo nel suo appartamento. Più tardi una voce concitata ne annunciava la presenza a Nettuno. Successivamente ci avvertirono che il papa era stato visto al lago. Immagini che momenti vivemmo quella mattina! Lui rientrò tranquillamente in tempo per guidare la recita dell’Angelus dal balcone di Palazzo. Un’altra volta a Genazzano ha rischiato di rimanere schiacciato dall’affetto della folla che lo aveva riconosciuto. E sarebbe andata male se non fosse stato per la presenza casuale di un capitano dei carabinieri che lo infilò in macchina per riportarlo alle Ville. Ma per lui era come se non fosse accaduto nulla. Al contatto con la gente non rinunciò mai.

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Poi venne l’epoca di Paolo VI.

Di papa Giovanni Battista Montini ho un ricordo particolare. La settimana prima del conclave che lo elesse, il cardinale arcivescovo di Milano era ospite qui da noi dal suo vecchio amico, il direttore delle Ville di allora, Emilio Bonomelli. Si era rifugiato qui per nascondersi dalla curiosità dei tanti cronisti che lo assediavano poiché si parlava di lui proprio come del prossimo papa. Io ricordo perfettamente quella mattina del 19 giugno del 1963 quando partì per andare alla messa di apertura del conclave. Noi eravamo tutti schierati davanti al cancello per salutarlo. Il portiere, che aveva una certa confidenza con lui lo salutò dicendogli: “Padre Santo, tanti auguri!”. Bonomelli incenerì quel buon uomo con lo sguardo: guai fare un simile augurio a un cardinale che entra in conclave! Ma quando Montini tornò da noi era papa. Di lui ricordo la grande riservatezza. Quando veniva, trascorreva la prima settimana dedicandosi a un suo personalissimo ritiro spirituale. Pregava e basta. Poi riprendeva la sua naturale attività. Con commozione ricordo la festa dell’Assunta del 1977 quando il papa inaugurò la chiesa della Madonna del Lago. In quella occasione, al termine dell’omelia, a braccio disse: “Chissà se avrò mai più la possibilità di trascorrere ancora questa bella festa con voi. Colgo comunque questa occasione per abbracciarvi tutti e per ringraziarvi per quanto mi avete dato”. Si commosse e trasmise a tutti noi quella sua stessa commozione. E fu proprio l’ultima festa dell’Assunta che passò con noi; morì infatti il 6 agosto dell’anno successivo. Solo allora ripensammo alle sue parole di un anno prima. La sua morte si annunciò sin dal mattino di quella domenica. Non ebbe la forza di pronunciare l’Angelus. Non ne fummo stupiti. Ci fu un grande via vai di medici, di infermieri che portavano bombole d’ossigeno dal vicino ospedale. Sperammo fino all’ultimo di veder smentiti i nostri timori. Ma quando il via vai cessò ci mettemmo tutti spontaneamente a pregare. Abbiamo accompagnato così la sua morte. Per tre giorni la salma è rimasta esposta qui da noi. È stata una processione continua sino a quando un semplice carro funebre del Comune con un nastro nero trasferì la salma a Roma.

Papa Albino Luciani invece qui non è mai venuto neppure da cardinale?

Per Giovanni Paolo I abbiamo un grande rimpianto; quello di non essere riusciti a mostrargli il nostro affetto.

È stata poi la volta di papa Karol Wojtyla.

La mia storia con Giovanni Paolo II è iniziata ancor prima della sua elezione. La domenica prima del conclave che lo avrebbe eletto, mi telefonò monsignor Andrzej Deskur. Mi chiese se poteva venire qui alle Ville in compagnia dell’arcivescovo di Cracovia – “Un bravo cardinale, grande lavoratore”, mi disse – perché aveva desiderio di trascorrere qualche ora in solitudine per pregare. Naturalmente vennero insieme. Pranzarono nella trattoria che è proprio qui sotto al Palazzo – tra l’altro successivamente in un’udienza ad alcuni castellani il papa riconobbe la signora proprietaria della trattoria e la ringraziò ancora per “quelle squisite fettuccine” – e poi si trattenne nella Villa a passeggiare pregando. Quando annunciarono il nome dell’eletto, mentre molti pensavano si trattasse di un africano, io mi sentii orgoglioso di poter spiegare a tutti chi fosse in realtà. Con lui è un po’ cambiata la destinazione d’uso di questa residenza. Nel senso che è realmente diventata la residenza alternativa del papa. Veniva in periodi diversi dell’anno, soprattutto di ritorno dai viaggi o durante le feste. Faceva anche brevi soggiorni per preparare documenti, discorsi. Soprattutto nei primi anni ha rivitalizzato questo luogo. La sera incontrava i giovani. Ma era un modo per conoscere a fondo i diversi movimenti giovanili cattolici. Erano momenti veramente di festa. Si facevano falò, si cantava, si raccontava la propria vita e la propria esperienza. Ma soprattutto molti giovani hanno imparato a vivere “cum Petro”, con il papa. E questo è stato molto importante.

Ricorda qualcosa di particolare della sua esperienza accanto a Giovanni Paolo II?

La sua era una presenza viva. Nel senso che quando era qui tra noi, usciva veramente a ogni ora. A volte anche di sera tardi. D’inverno, anche quando era freddo, usciva ugualmente. Si avvolgeva in un mantello nero, e qualche volta indossava anche un cappuccio di lana, sempre nero. Poi ricordo le feste che faceva con i bambini, i figli dei dipendenti. Loro quando lo vedevano arrivare di lontano, si nascondevano dietro i cespugli. E quando il papa passava accanto a loro, uscivano d’improvviso gridando e andandogli incontro. Sembrava che giocassero a nascondino con lui. Ne era felice e si prestava sempre volentieri ai loro giochi. Per i bambini era diventato un appuntamento fisso. Tra l’altro il papa andava spesso anche nelle case dei dipendenti che vivono all’interno delle Ville. Gli piaceva conoscere le loro famiglie, capire come vivessero. Gli offrivano un caffè, un tè, qualche pasticcino, proprio come si fa con un amico che ti viene a trovare. Era molto bello e tutti qui conservano un bellissimo ricordo di questo suo modo di stare tra loro.

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Lei ricorderà le polemiche seguite alla sua decisione di fare costruire una piscina nelle Ville.

Furono polemiche strumentali. Il papa la usava soprattutto per motivi di salute. Aveva già qualche problema e gli avevano prescritto ore di nuoto per migliorare o comunque per tenere sotto controllo i suoi disturbi. Era un papa sportivo, ma questo c’entra davvero poco con la piscina. Si tratta di una piscina di soli 18 metri ed è tuttora attiva e funzionante. Papa Wojtyla l’ha usata tantissimo. Mi ricordo che una volta, proprio commentando le critiche circa le spese affrontate per costruire la piscina lui disse con umorismo: “Un conclave costerebbe molto di più”. Questo per far capire quanto l’esercizio fisico lo aiutasse a sopportare gli sforzi del suo faticoso pontificato. Amava scherzare sul suo essere un papa sportivo. Spesso ci ricordava che in presenza di altri confratelli ripeteva che i cardinali polacchi erano più sportivi di quelli italiani: il cinquanta per cento di quelli polacchi praticava infatti almeno uno sport. E di cardinali polacchi c’erano solo lui e Wyszynski. Fu durante il suo pontificato, nel 1986, che fui nominato direttore delle Ville Pontificie. Era infatti morto Carlo Ponti, che era stato direttore dal 1971.

E ora papa Benedetto XVI.

Di lui quello che ci impressiona è la straordinaria delicatezza d’animo, la sua estrema sensibilità, la sua profonda spiritualità. Lui conosceva bene le Ville perché almeno una volta l’anno, solitamente per il suo onomastico, si concedeva un giorno di riposo e veniva qui. Dunque in un certo senso ciò ha facilitato il suo inserimento in questo ambiente, al quale si è subito affezionato. A noi per esempio ha fatto un gran piacere sentirgli dire sin da subito: “Castel Gandolfo è la mia seconda casa”. Lavora molto in questo ambiente silenzioso. E poi per noi è molto bello sentire le note del suo pianoforte. Non è certo il primo papa che suona uno strumento. Per esempio, Pio XII suonava il violino, ma non ha mai suonato qui nelle Ville, o almeno nessuno lo ha mai sentito. Ora invece ci è dato di poter ascoltare, prevalentemente di sera, sonate di Mozart, Bach o Beethoven, eseguite dal papa. Ed è una cosa che ci riempie di gioia perché significa che Benedetto XVI si sente veramente a casa sua.

Le Ville non solo ospitano il papa ma in qualche modo provvedono anche a fornire per lui alcuni prodotti agricoli. Ci vuole parlare della piccola fattoria ai margini della Villa?

È un’istituzione. Peraltro antica. Quando nel 1929 la Villa Barberini pervenne alla Santa Sede, Pio XI fece acquistare dei terreni confinanti dalla parte di Albano e destinò questi terreni ad attività agricola. L’intento era quello di sottolineare l’interesse della Chiesa per il mondo rurale. Poiché amava fare le cose al meglio, sempre, volle che questa fattoria, seppure piccola nelle dimensioni, fosse dotata di attrezzature d’avanguardia. Una delle prime mungitrici meccaniche, per farle un esempio, fu introdotta nelle Ville al tempo di Pio XI, così come, sempre in quel tempo, furono introdotte le prime incubatrici per i pulcini. Oggi è estesa su una ventina di ettari. La parte più consistente è costituita da ventisei mucche da latte, circa cinque o seicento litri al giorno.

E dove finisce tutto questo latte?

A parte la fornitura per il Palazzo Pontificio, lo vendiamo all’Annona, la dispensa del Vaticano. Ma anche a qualche caffè qui della zona affinché ne possano godere anche i castellani. In passato fornivamo anche l’Ospedale del Bambino Gesù, cosa che ormai non avviene più poiché ormai gli ospedali si servono di catering completi.

Ha parlato di fornitura per il Palazzo. Ciò significa che arriva dal Vaticano una sorta di lista della spesa da soddisfare?

La tradizione di fornire prodotti per il papa comincia nel 1929. Giornalmente ci vengono richiesti dei prodotti tra quelli che produciamo. E noi li inviamo.

La fornitura al Vaticano è giornaliera?

Sì, avviene tutti i giorni. Le racconto un episodio. Durante la seconda guerra mondiale temendo che il camioncino che partiva tutte le mattine non potesse arrivare a destinazione per via dei combattimenti – cosa che peraltro non accadde mai – il direttore delle Ville, preoccupato di non far mancare mai il latte al papa, inviò in Vaticano un vaccaro con sette mucche da latte. Così approntarono una stalla nel viale dei Quattro Cancelli, nei giardini vaticani. Le vacche furono trasferite su un camion, a notte fonda. Giunto il veicolo al cancello, il problema fu convincere le guardie svizzere a lasciarlo passare. Temevano infatti un agguato. Solo il muggito delle vacche, stanche per il viaggio e in una situazione non certo comoda, convinse gli svizzeri che effettivamente non c’era alcun pericolo e fecero passare il camion. Così le mucche restarono in Vaticano dal gennaio del 1944 sino alla liberazione di Roma.

Che cos’altro si produce nelle Ville?

Uova, un centinaio; olio, tra i dieci e i quindici quintali all’anno; poi frutta e altri prodotti agricoli. L’esubero viene venduto all’Annona. Molto importante è poi la produzione floreale. Tutte le piante e i fiori che abbelliscono i giardini delle Ville sono prodotti nelle nostre serre. A Natale facciamo una produzione straordinaria di stelle di Natale, e con la loro vendita riusciamo a coprire le spese per riscaldare le serre.

Quante persone lavorano nelle Ville?

Complessivamente abbiamo un organico di cinquantasei persone. Metà sono tecnici per la manutenzione ordinaria in ogni settore, e metà sono quelli che operano nella fattoria. È insomma una grande famiglia che, devo dire, lavora in piena armonia.

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3 commenti su “Bimbi nati sul letto del Papa, fattorie e musica: storie da Castel Gandolfo”

  1. è stato un vero piacere leggervi! Grazie, perché viene dato un aspetto umano, familiare, di grande sensibilità dei nostri papi e delle persone che vivono accanto a loro! Grazie ancora.

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